sabato 26 agosto 2023

Gesù afferma il proprio Sacerdozio eterno

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 17, 11-19

In illo témpore: Dum iret Iesus in Ierúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilǽam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Iesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes eius, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Iesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.

Seguito del Santo Vangelo secondo Luca 17, 11-19

In quel tempo, recandosi Gesù a Gerusalemme, attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli corsero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono distanti e, alzando la voce, esclamarono: "Gesù, Maestro, abbi pietà di noi". E come Egli li vide, disse: "Andate, mostratevi ai sacerdoti". Ora avvenne che mentre andavano furono purificati. Ma uno di quelli, come vide che era guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce e cadde con la faccia a terra ai piedi di Gesù, ringraziandolo; e questi era samaritano. Allora Gesù disse: "Non sono stati guariti dieci? E gli altri nove dove sono? Non è stato trovato chi tornasse indietro e desse gloria a Dio, se non questo straniero?" E gli disse: "Alzati, va', poiché la tua fede ti ha salvato".

Il vangelo che la Chiesa proclama nella XIII Domenica dopo Pentecoste ha ancora al centro la figura di un samaritano, questa volta non più soggetto di una parabola del Divin Maestro, bensì un lebbroso, che insieme ad altri nove uomini affetti dallo stesso terribile morbo si dirigono verso Gesù per supplicare la guarigione. Possiamo presumere che di queste dieci persone solo lui era samaritano, mentre gli altri nove erano galilei, o addirittura giudei. Se analizziamo attentamente la dinamica che l'evangelista Luca descrive in questa pagina di vangelo, scopriremo un grande tesoro di spiritualità.

La Legge di Mosè prescriveva ai lebbrosi, una volta purificati, di dirigersi dai sacerdoti in Gerusalemme, affinché constatassero l'avvenuta ed effettiva guarigione, e solo in un secondo momento i lebbrosi guariti potevano essere riammessi nella società civile. Il sacerdote dell'Antica Alleanza, dunque, aveva solo il potere di riconoscere la guarigione del lebbroso, ma non aveva il potere di guarire. Nel momento in cui il Cristo dice ai dieci lebbrosi: "Mostratevi ai sacerdoti", egli sta implicitamente facendo riferimento alla loro reale guarigione.

Tuttavia, di questi dieci lebbrosi, nove di essi vanno effettivamente dai sacerdoti, sia per ottemperare alla Legge di Mosè sia per obbedire a quanto Gesù stesso aveva ordinato loro. Come mai dunque il decimo lebbroso viene lodato da Gesù, anche se ha apparentemente contravvenuto a quest'ordine? L'evangelista san Luca ci sta qui indicando che quel decimo lebbroso samaritano è stato l'unico a capire che il vero Sommo Sacerdote non era nel Tempio a Gerusalemme, bensì tra la Galilea e la Samaria: era proprio quel Gesù di Nazareth! Nel tornare indietro, "lodando Dio a gran voce" e cadendo "con la faccia a terra ai piedi di Gesù, ringraziandolo", quel samaritano sta ottemperando al precetto meglio degli altri nove, perché ha saputo intravedere fino in fondo la verità della Parola di Dio. In questo modo, l'evangelista san Luca sembra collegarsi a quanto scrive l'evangelista san Giovanni, in un'episodio che vede ancora come protagonista una persona samaritana, la donna al pozzo, cui Gesù rivolge queste parole profetiche: "Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4, 21-24). Il lebbroso, pur essendo samaritano, ha saputo adorare il Padre nel Figlio in spirito e verità.

Ma c'è un senso allegorico molto importante di questa pagina evangelica sul quale è opportuno spendere qualche altra parola. I samaritani erano di fatto equiparati dai giudei ai pagani, perché essi avevano corrotto nella loro religione gli elementi puri della religione mosaica con elementi delle religioni pagane cananee, che circondavano la regione di Israele. Ma bisogna fare attenzione: il Signore Gesù non sta giustificando gli errori dottrinali dei samaritani, com'è anche evidente dal passaggio secondo san Giovanni pocanzi citato. Nella figura del lebbroso samaritano guarito è piuttosto nascosto ciascuno di noi, che pur non appartenendo per sangue al popolo giudaico siamo tuttavia chiamati alla redenzione e alla salvezza eterna. Il vangelo del Regno non è destinato ai soli ebrei, ma a tutti gli uomini di buona volontà. In questo modo, il Signore Gesù ci guarisce dal peccato originale e personale, che come una lebbra ci rende impotenti, incapaci di agire bene, e ci uccide lentamente dal di dentro. Il Signore invece è venuto a donarci la vita e "darcela in abbondanza" (Gv 10, 10).

Gaetano Masciullo


sabato 19 agosto 2023

Il Buon Samaritano è Nostro Signore

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 10, 23-37

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens iustificáre seípsum, dixit ad Iesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Iesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Ierúsalem in Iéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera eius, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in iuméntum suum, duxit in stábulum, et curam eius egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Iesus: Vade, et tu fac simíliter.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 10, 23-37

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete. Vi dico, infatti, che molti profeti e re vollero vedere le cose che vedete voi e non le videro, e udire le cose che udite voi e non le udirono". Ed ecco che un dottore della legge si alzò per tentare il Signore, e disse: "Maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?" Gesù rispose: "Che cosa è scritto nella legge? Che cosa vi leggi?" E quello: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente: e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai detto bene: fa' questo e vivrai". Ma quegli, volendo giustificarsi, chiese a Gesù: "E il prossimo mio chi è?" Allora Gesù prese a dire: "Un uomo, mentre discendeva da Gerusalemme a Gerico, si imbatté nei briganti, che lo spogliarono e, feritolo, se ne andarono lasciandolo semivivo. Avvenne allora che un sacerdote discendesse per la stessa via: visto quell’uomo, passò oltre. Similmente un levita, passato vicino e avendolo visto, si allontanò. Ma un samaritano, che era in viaggio, arrivò vicino a lui e, vistolo, ne ebbe compassione. Accostatosi, fasciò le ferite versandovi l’olio e il vino e, postolo sulla propria cavalcatura, lo condusse in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, presi due denari, li dette all’albergatore, dicendo: Abbi cura di questi, e quanto spenderai in più te lo rimborserò al mio ritorno. Chi di quei tre ti sembra che sia stato prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei briganti?" Il dottore rispose: "Colui che ebbe compassione". E Gesù gli disse: "Vai e fa' lo stesso anche tu".

La parabola del Buon Samaritano è certamente una di quelle più strumentalizzate e fraintese oggi sui pulpiti, e viene spacciata come una giustificazione evangelica di una riduzione filantropica della religione, cioè dell'idea che ciò che davvero interessa a Dio è l'amore per il nostro prossimo o - come si suol dire di questi tempi - la "giustizia sociale". Questo modo di concepire Dio, in verità molto grossolano e anzi umano, umanissimo, è costantemente contraddetto dalla Scrittura e dal Magistero perenne della Chiesa.

Per questo motivo la Chiesa oggi non proclama semplicemente la parabola del Buon Samaritano, ma anche il contesto in cui essa fu raccontata dal Signore. Un Dottore della Legge, infatti, cioè un ebreo osservante che studiava e conosceva a menadito la Scrittura, fa una domanda apparentemente banale a Gesù: cosa devo fare per ottenere la vita eterna, cioè per salvarmi? Si tratta però di una domanda fondamentale, anzi la domanda per eccellenza per l'essere umano. Dinanzi ai limiti dell'esistenza terrena, a cominciare dalla vecchiaia, le malattie, i lutti, fino ad arrivare alla stessa morte personale, esiste un modo per "salvarsi" e vivere in eterno? Una domanda strana, se posta in bocca a uno studioso della Scrittura, che bene dovrebbe conoscere la risposta data da Dio a Mosè, ai patriarchi e ai profeti dell'antico Israele. Ecco perché l'evangelista scrive: "si alzò per tentare il Signore". L'intenzione iniziale del Dottore era inquisitrice, era cioè quella di vedere se fosse possibile cogliere in fallo Gesù, forse perché ancora non riusciva a riconoscerlo come Maestro o come un bugiardo. Il Signore, pur conoscendo l'intenzione del Dottore, non reagisce con veemenza, anzi quasi sembra rispettare il suo dubbio e la sua volontà di testare l'origine celeste di quel Gesù di Nazareth.

La risposta di Gesù pertanto è a sua volta una domanda, come a dire: "Tu sei un Dottore e leggi ogni giorno la Scrittura, che risposta vi trovi al suo interno?" Infatti è nella Parola di Dio che troviamo ogni risposta alle nostre domande, sia quelle esistenziali sia quelle della vita di tutti i giorni. La risposta che il Dottore riporta potrebbe essere indicata come il riassunto di tutta la Scrittura: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente: e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai detto bene: fa' questo e vivrai". Una risposta apparentemente semplice, ma in realtà difficilissima da vivere. Amare Dio con tutta la mente, con tutta l'anima, con tutto il cuore e con tutte le forze significa amare Dio con tutto il nostro essere, integralmente. Chi di noi riesce a farlo? 

Amare Dio con la mente significa avere il dono della Fede, che illumina l'intelligenza e ci fa conoscere chi è Dio. Amare Dio con l'anima significa avere il dono della Speranza, perché l'anima è per gli antichi l'insieme di tutte le emozioni, e la Speranza è quella virtù che orienta i nostri desideri verso i beni superni. Amare Dio con tutto il cuore significa avere il dono della Carità, dove il cuore non è l'amore umanamente inteso, bensì la volontà. Amare Dio con tutte le nostre forze significa avere ed esercitare tutte le virtù naturali: prudenza, fortezza, giustizia e temperanza.

Solo a questo punto si inserisce la parabola del Buon Samaritano, dacché il comandamento proferito dal Dottore prosegue dicendo: "e il prossimo tuo come te stesso". Come a dire che l'amore verso il fratello segue l'esercizio di tutte quelle altre virtù. Solo chi esercita fede, speranza, carità e virtù naturali può amare il proprio fratello, e non esercitare un'ipocrita filantropia, che davanti agli uomini si manifesta come atto di bontà, ma spesso è mossa dalla vanagloria. La Scrittura precisa in maniera interessante: come te stesso, e non: più di te stesso.

Ma la Chiesa ci insegna anche a vedere nella Parabola in questione l'insegnamento che il primo buon samaritano è lo stesso Signore Gesù. L'uomo colpito, derubato e lasciato tramortito dai briganti infatti rappresenta tutto il genere umano, che in Adamo è stato colpito, derubato delle virtù naturali e soprannaturali e lasciato semivivo, cioè in condizione di peccato mortale, dal brigante spirituale che è Satana. Il sacerdote e il levita, cioè le religioni umane dei gentili, ma anche il sacerdozio dell'Antico Testamento, sono passati di fianco all'uomo tramortito, ma non hanno voluto né potuto assisterlo e salvarlo. In quelle religioni non c'è la virtù che salva. Il Buon Samaritano, invece, è in grado di farlo. I samaritani erano reietti dai giudei, e così Gesù è divenuto abominio per Israele. Da notare che l'uomo discendeva da Gerusalemme a Gerico, cioè dalla Città di Dio verso la Città dell'uomo, quando fu attaccato.  

Il Buon Samaritano versa sulle ferite dell'uomo semivivo olio e vino, che sono riferimenti e segni dei sacramenti che guariscono e rafforzano (si pensi alla Confermazione, ma anche all'Unzione degli infermi) e del Sacramento che nutre (Eucarestia); poi lo conduce in un albergo, che è immagine della Chiesa. Ed ecco che egli paga con due denari l'albergatore, con la promessa che "il di più" sarà elargito al suo ritorno. Ecco infatti che Cristo ha dato alla Chiesa tutti i carismi necessari per prendersi cura dell'uomo ferito e risanarlo, con la promessa che al suo ritorno, alla fine dei tempi quando verrà a giudicare i vivi e i morti, ma anche nel momento del giudizio particolare di ciascuno di noi, Egli ci darà "il di più", cioè il premio per i nostri meriti.

Gaetano Masciullo

lunedì 14 agosto 2023

Maria ci mostra il destino ultimo dell'Umanità

 

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 1, 41-50

In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen eius, et misericórdia eius a progénie in progénies timéntibus eum.

Séguito del S. Vangelo secondo Luca 1, 41-50

In quel tempo, Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Da dove mi arriva questo onore che la Madre del mio Signore venga da me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino ha sussultato nel mio grembo. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore!" E Maria rispose: "L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva; ecco infatti che da ora tutte le generazioni mi chiameranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su coloro che lo temono.

Un dogma è una verità di fede creduta "sempre, ovunque e da tutti" (come insegna san Vincenzo di Lerino), il che significa che il dogma che la Chiesa festeggia il 15 agosto, quello dell'Assunzione in Cielo in corpo ed anima della Beata Sempre Vergine Maria, pur essendo stato proclamato ufficialmente solo di recente, cioè nel 1950 da papa Pio XII con la Cost. Ap. Munificentissimus Deus, esso è stato in realtà creduto costantemente sin dall'epoca apostolica. Non potrebbe essere altrimenti, perché non si tratterebbe di rivelazione pubblica e di deposito della Fede cattolica.

Gli obiettori - protestanti in primis, i cultori del Sola Scriptura - sostengono che nella Bibbia non si parla espressamente di questa assunzione in Cielo, dunque il dogma sarebbe un'invenzione della Chiesa romana. Ma questo è falso, e i protestanti come gli altri impugnatori di questo venerabile dogma mariano asseriscono ciò che asseriscono perché ignorano (tipico degli eretici di ogni risma) la storia della Chiesa universale. A partire dal VI secolo, infatti, la data del 15 agosto viene presentata sia in Oriente sia in Occidente come la data per festeggiare l'Assunzione di Maria o, come dicono i cristiani orientali, la Dormizione di Maria, a sottolineare che ella fu preservata dalla morte che accomuna tutti gli altri uomini e le altre donne a causa del peccato originale.

Questa ricorrenza festiva era così diffusa che ci fa capire che tale verità di fede era già largamente creduta da tempo addietro, ma notiamo che non se ne parla mai in maniera preparatoria durante sinodi, concili o altri documenti legislativi della Chiesa, come avviene per esempio durante il Concilio di Efeso (431), dove si proclamò il dogma della Maternità divina di Maria, il dogma mariano principe, da cui tutti gli altri discendono. Se non ci furono documenti o assemblee di preparazione al dogma, sottolinea un grande teologo come Réginald Garrigou-Lagrange O.P., allora questo significa che esso era ben radicato nelle coscienze dei credenti, e se non vi sono testimonianze largamente esplicite prima del VI secolo significa che i cristiani preferivano non mettere troppo l'accento sulla questione per una ragione pastorale fin troppo ovvia: la maggioranza dei cristiani proveniva da religioni pagane, e il culto di venerazione verso la Madre di Dio assunta in Cielo poteva essere fraintesa da quelli e farli ricadere in nuovi culti idolatrici, confondendo la creatura con il Creatore.

La Tradizione apostolica ci insegna che gli apostoli furono i testimoni dell'Assunzione di Maria, o almeno san Giovanni, che a Efeso custodiva la Vergine Santa come se fosse la propria madre. Ma questo dogma ci insegna diverse cose, utili per la spiritualità cristiana dei nostri tempi.

Anzitutto, ci insegna che il nostro destino non è la morte e non è neanche un'aldilà etereo, bensì un'unione eterna di corpo e anima. Dio non ci ha creati angeli, puri spiriti, ma corpi, cioè unione indissolubile di anima e corpo. Gesù Cristo ci ha già mostrato questa verità fondamentale dell'uomo con la sua Resurrezione, ma poiché quella fu anche e forse anzitutto una manifestazione al contempo della divinità di Gesù e dell'avvenuto Sacrificio redentivo, l'Assunzione ci ricorda invece anzitutto che per la stessa potenza di quel Dio che ha risuscitato Cristo dai morti un giorno saranno restituite anche a noi le nostre membra corporali: i giusti risorgeranno per una vita piena, gli empi per una vita di dannazione. 

Il corpo di Maria - come del resto quello di Gesù - fu già esente da ogni macchia durante la vita terrena, eppure il corpo che fu assunto in Cielo, trasfigurato dalla gloria di Dio, fu un corpo diverso, rinnovato. La natura umana dell'uomo prima della caduta originale, pur essendo perfetta in se stessa, è di gran lunga inferiore alla natura beata della quale i risorti del Paradiso potranno godere per l'eternità. E questa verità ci è mostrata dal fatto che tale corpo glorioso di Maria è capace di atti che neanche il corpo di Eva, prima del peccato, era in grado di fare.

Maria è infatti la nuova Eva, come Cristo è il nuovo Adamo. Dalla prima Eva vennero il peccato e la morte, dalla seconda Eva vennero la grazia e la vita. La prima Eva generò vita orizzontalmente (unendosi a suo marito), la seconda Eva generò redenzione verticalmente (unendosi a suo Figlio). Queste due coppie primordiali (Adamo ed Eva - Gesù e Maria) formano una croce mistica e ideale che riscatta l'umanità su un livello sia naturale sia soprannaturale, per la forza però del solo Cristo, che sulla croce ha redento tutte le ferite umane del peccato, originale e personale.

Gaetano Masciullo

sabato 12 agosto 2023

Il Signore guarisce la nostra sordità e il nostro mutismo spirituale

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum 7, 31-37

In illo témpore: Exiens Iesus de fínibus Tyri, venit per Sidónem ad mare Galilǽæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas eius: et éxspuens, tétigit linguam eius: et suspíciens in cœlum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures eius, et solútum est vínculum linguæ eius, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 7, 31-37

In quel tempo, uscendo dal territorio di Tiro, Gesù venne per Sidone verso il mare di Galilea, attraversando la Decapoli. E gli conducono innanzi un sordo, scongiurandolo affinché gli imponga le mani. Allora, allontanandolo dalla folla, Gesù mise le sue dita nelle orecchie del sordo, con la saliva gli toccò la lingua e, guardando verso il cielo, sospirò dicendo: "Effeta! cioè: apriti". Subito le sue orecchie si aprirono, si sciolse il nodo della lingua e parlò rettamente. E Gesù comandò loro di non parlarne ad alcuno. Ma quanto più egli raccomandava il silenzio, tanto più quelli predicavano e lo esalvatano dicendo: "Ha fatto bene ogni cosa: ha fatto udire i sordi e parlare i muti".

Secondo l'insegnamento autorevole dei Padri e dei Dottori della Chiesa, questo sordomuto rappresenta la condizione di tutti gli uomini al di fuori di Israele, il popolo eletto. Non è un caso infatti che a parlare di questo miracolo sia Marco, discepolo di san Pietro, che destinò il proprio vangelo anzitutto ai pagani che si erano convertiti alla vera Fede, e in particolare ai credenti di Roma. 

Il vangelo parla di un sordo, ma il termine greco utilizzato dall'evangelista, nonché il gesto di Gesù di toccare sia le orecchie sia la lingua, ci dimostrano che in realtà si trattava di un sordomuto. Questi due difetti - quello della sordità e quello del mutismo - ci ricordano misticamente quale sia la condizione dell'uomo che non conosce il vangelo: proprio come un sordo, è incapace di ascoltare la voce di Dio o, se la ascolta, spesso non sa riconoscerla; proprio come un muto, è incapace di parlare, di lodare il Signore, ma anche di pregare per chiedere ciò che è buono e conveniente per sè e per i propri cari.

Da notare che, nella Scrittura, il mutismo è una condizione che ben si differenzia dalla virtù del silenzio, una virtù necessaria per potere esercitare l'umiltà: si pensi a san Benedetto da Norcia che poneva nella propria Regola la pratica del silenzio come uno dei gradini della scala santa che conduce all'umiltà perfetta. L'uomo silenzioso perché umile sa quando è conveniente parlare, e sa quando evitare parole di troppo, ma l'uomo "spiritualmente muto" usa il silenzio in maniera disordinata, cioè è pigro anche nella parola, e quando è chiamato a testimoniare, a correggere, ad ammonire, a consolare, a insegnare, è piuttosto portato a rimanere per i fatti suoi. Questo atteggiamento, spesso dettato dalla noia o dalla stanchezza, è però peccaminoso, e rischia di concretizzarsi in un peccato di omissione: non bisogna dimenticare, infatti, che molti atti di misericordia spirituali sono atti di parola: istruire gli ignoranti, consolare i dubbiosi, ammonire i peccatori. 

La prima cosa che Gesù fa è quello di separare il sordomuto dalla folla. Fuori di simbolo, affinché il Signore possa rigenerare l'uomo a vita nuova, è necessario che quello stesso uomo rinunci alle passioni mutevoli e alle idee false del mondo, che sono ciò che lo hanno reso spiritualmente in quella analoga condizione. In questo modo, da buon Medico divino, Cristo rimuove dall'anima dell'uomo le cause della sua malattia. Gesù quindi tocca le orecchie e la lingua del sordomuto con la propria saliva. Si tratta di un gesto forte: la lingua del sordomuto è secca, incapace di muoversi, di articolare parole di sapienza, mentre la lingua di Gesù è sana, e dalla bocca del Signore esce sapienza. L'atto di bagnare la lingua del muto con la propria saliva rappresenta l'atto divino di trasmettere la Sapienza - che è Cristo stesso - all'uomo di buona volontà. Ecco perché l'evangelista precisa che il sordo non iniziò a parlare fluentemente, ma "rettamente", cioè secondo verità.

Gaetano Masciullo


sabato 5 agosto 2023

La Trasfigurazione di Nostro Signore

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 17, 1-9

In illo témpore: Assúmpsit Iesus Petrum, et Iacóbum, et Ioánnem fratrem eius, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies eius sicut sol: vestiménta autem eius facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Moyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Iesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Iesus, et tétigit eos, dixítque eis: Surgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Iesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Iesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.

Seguito del Santo Vangelo secondo Matteo 17, 1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte; e, davanti a loro, si trasfigurò. II suo volto si fece splendente come il sole, le sue vesti divennero candide come la neve. Ed ecco, apparvero Mosè ed Ella, in colloquio con lui. Pietro allora, prendendo la parola, disse a Gesù: «Signore, è bene per noi stare qui. Se vuoi, facciamo qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentre egli ancora parlava, ecco una nube luminosa li avvolse, e una voce dalla nube disse: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale ho riposto la mia compiacenza: ascoltatelo». A questa voce, i discepoli caddero faccia a terra, e furono presi da grande spavento. Ma Gesù si accostò a loro, li toccò e disse: «Alzatevi e non abbiate timore». Ed essi, alzati gli occhi, non videro più alcuno, all'infuori di Gesù. Mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest'ordine: «Non fate parola ad alcuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo sia risorto dai morti».

Nel calendario tradizionale, il 6 agosto si commemora la Trasfigurazione di Nostro Signore sul monte Tabor alla presenza degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Questo avvenimento prodigioso fu conveniente per dimostrare alla Chiesa, che sarebbe nata dopo la Pentecoste, anzitutto che Gesù non è stato un semplice uomo, un semplice profeta di Dio, ma il Figlio di Dio incarnato e, in quanto Figlio, della stessa sostanza del Padre, cioè Dio egli stesso. Da notare che sono passati sette mesi esatti dall'Epifania, l'altra circostanza in cui Cristo ha manifestato - quella volta a tre Magi, a tre uomini pagani - la propria divinità.

Ciò che infatti gli apostoli videro è un uomo trasfigurato, cioè con una sembianza nuova, gloriosa: il volto splendente come il sole ci ricorda la sua natura divina e la sua natura di giustizia: "l'oriente ci ha visitati dall'alto" (Lc 1, 78), dice la Scrittura, e anche altrove: "allora spunterà il Sole di giustizia, sotto le ali del quale sta la salvezza, e voi saltellerete come vitelli di armento" (Mal 3, 20); le vesti candide come la neve ci ricordano che la gloria e la santità della Chiesa risiede nelle sue membra, perché nella Scrittura il corpo mistico di Cristo è la Chiesa e ciò che riveste questo Corpo sono proprio i santi: "vestiti a festa, o Gerusalemme, città del Santo; perché il non circonciso e l'impuro non ti attraverseranno più" (Is 52, 1). 

La convenienza della Trasfigurazione è bene insegnata dalla Chiesa nella preghiera liturgica precedente alle letture: "O Dio, [...] nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli". C'è dunque questo doppio fine della Trasfigurazione che ci manifesta la sua convenienza. Da un lato servì a confermare che Gesù è il Cristo, cioè il Messia, il Re-Sacerdote promesso da Dio all'umanità sin dalla caduta originale, l'unico in grado di salvare gli uomini da una colpa così amara e dai suoi effetti così devastanti. E per dimostrare che Gesù era proprio il Cristo, era necessaria la testimonianza di coloro che Dio aveva utilizzato come canali per annunciare al popolo dell'Antica Alleanza le sue promesse, e in particolare Mosè ed Elia. Ecco perché questi si fanno presenti, al fianco di Gesù sul Tabor, dinanzi agli apostoli, per comprovare quelle antiche profezie.

Ma la Trasfigurazione insegnò agli apostoli anche che, in virtù di Cristo, tutti i battezzati sarebbero stati figli di Dio come Gesù, sebbene per adozione e non per natura come lo è Lui. Lo si vede dalle parole che il Padre che proferisce dalla nube luminosa, cioè dallo Spirito Santo: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale ho riposto la mia compiacenza: ascoltatelo". In quel comandamento divino - ascoltatelo - soggiace la promessa di adozione, che ci renderà un giorno simili a Cristo nella gloria. 

La Trasfigurazione è evidentemente anche una manifestazione trinitaria: in un solo evento sono presenti il Figlio trasfigurato, il Padre che parla, lo Spirito Santo sottoforma di nube luminosa. Interessante anche notare che Gesù non decide di trasfigurarsi, cioè di manifestare in maniera eclatante la propria natura divina, a tutti i Dodici apostoli, ma solo a tre di essi: Pietro, Giacomo e Giovanni. In effetti, un solo testimone sarebbe stato di difficile credibilità, anche due testimoni avrebbero potuto mettersi d'accordo, ma tre testimoni che riferiscono gli stessi avvenimenti con la stessa precisione sono ritenuti di degna fede: "Un solo testimone non sarà sufficiente contro nessuno, qualunque ne sia il peccato o il delitto; ma tutto sarà stabilito sulla parola di due o tre testimoni" (Dt 19, 15).

Ma la scelta di Gesù di chiamare questi tre apostoli è significativa anche dal punto di vista simbolico. Questi tre apostoli infatti rappresentano in questa circostanza le tre virtù teologali che sono necessarie per raggiungere e partecipare della gloria di Cristo. San Pietro rappresenta la Fede: "Beato te, o Simone, figlio di Giona, perchè non la carne nè il sangue te l'ha rivelato; ma il Padre mio che è nei cieli" (Mt 16, 16); san Giacomo, figlio di Zebedeo, rappresenta la Speranza, perché sarà il primo apostolo a versare il proprio sangue per amore del vangelo; san Giovanni, infine, rappresenta la Carità: "ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è che ti tradisce?»" (Gv 13, 25).

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...