sabato 27 gennaio 2024

La Settuagesima e i sette periodi della Storia

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 20, 1-16.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: Símile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne áutem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod iústum fúerit, dabo vobis. Illi áutem abiérunt. Íterum áutem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero áutem factum esset, dicit dóminus víneae procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes áutem et primi, arbitráti sunt quod plus essent acceptúri: accepérunt áutem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt, et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi, et aestus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non fácio tibi iniúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo áutem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculos tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, páuci vero elécti.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 20, 1-16.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, il quale andò di prima mattina a assumere degli operai per la sua vigna. Essendosi accordato con gli operai per un denaro al giorno, li inviò nella sua vigna. E uscito fuori, circa all’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: "Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quello che sarà giusto". E anche quelli andarono. Uscì di nuovo circa all’ora sesta e all’ora nona e fece lo stesso. Circa all’ora undicesima uscì ancora e ne trovò altri e disse loro: "Perché state qui tutto il giorno in ozio?" Quelli risposero: "Perché nessuno ci ha presi". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella mia vigna". Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama gli operai e paga ad essi il salario, cominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti dunque quelli che erano andati circa all’undicesima ora, ricevettero un denaro ciascuno. Venuti poi i primi, pensarono di ricevere di più: ma ebbero anch’essi un denaro ciascuno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un’ora e li hai eguagliati a noi che abbiamo portato il peso della giornata e del caldo". Ma egli rispose a uno di loro e disse: "Amico, non ti faccio ingiustizia: non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi quello che ti spetta e vattene: voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso dunque fare come voglio? O sei invidioso [è cattivo il tuo occhio] perché io sono buono? Così saranno ultimi i primi e primi gli ultimi. Molti infatti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti".

La riforma successiva al Concilio Vaticano II ha apportato significative modifiche al calendario liturgico cattolico, coinvolgendo non solo il rito romano. Tra le diverse abolizioni, una di esse riguarda il Tempo di Settuagesima. Il colore liturgico adottato dalla Domenica di Settuagesima (notando la somiglianza con 'Quaresima' e il significato di "settanta giorni prima della Pasqua") è il viola, simbolo della penitenza. La Settuagesima introduce così alla penitenza propria del periodo quaresimale, preparando gradualmente le menti per questo periodo.

Questa consuetudine si diffuse nella Cristianità, specialmente tra i benedettini, intorno al V secolo. Inizialmente, si cominciò ad anticipare il digiuno quaresimale di una settimana (Quinquagesima). Tuttavia, questa pratica devozionale fu inizialmente guardata con diffidenza dalle autorità ecclesiastiche. Tre sinodi - Orlèans I (511), Orange I (441) e Orange II (529) - proibirono l'uso del digiuno di Quinquagesima, con l'obiettivo di "mantenere l'unità delle usanze" (si vedano gli Atti del Concilio di Orlèans I, canone 26).

Nel corso del tempo, questa pratica si diffuse sempre di più tra i monasteri benedettini, sia maschili che femminili, grazie all'influenza di san Massimo di Torino (+ 420) e san Cesario di Arles (+ 543). Di conseguenza, sempre più vescovi furono persuasi della utilità pedagogica di preparare i fedeli attraverso il digiuno anticipato. Questo contribuì a completare il digiuno di quaranta giorni proprio della Quaresima. Inizialmente, si cercò di far iniziare il digiuno dalla prima Domenica di Quaresima (escludendo le domeniche, durante le quali non si digiunava) e terminare al Giovedì Santo, ma ciò non raggiungeva il numero di quaranta giorni.

Grazie all'intervento di papa san Gregorio VII (+1085), venne ufficialmente deliberato che il periodo di digiuno e preparazione alla Quaresima dovesse avere inizio tre settimane prima, precisamente con la prima domenica di Settuagesima. Attualmente, coloro che seguono il calendario liturgico secondo la forma straordinaria del rito romano (la cosiddetta "Messa in rito antico" o "Messa tridentina", come spesso erroneamente indicata), osservano ancora il Tempo di Settuagesima.

Tuttavia, quale potrebbe essere il significato di queste tre settimane preparatorie alla Quaresima? In accordo con la tradizione cattolica, il numero sette è simbolo di perfezione. Secondo i maestri medievali, anche il digiuno, per ottenere la perfezione (ossia l'efficacia a livello spirituale), dovrebbe durare settanta giorni (7x10).

Un secondo significato va analizzato. Gli antichi cristiani suddividevano la storia in sette età del mondo, in particolare san Beda il Venerabile (+735): dalla creazione di Adamo al diluvio; dal diluvio alla chiamata di Abramo; dalla chiamata di Abramo alla consegna della Legge a Mosè; dalla consegna della Legge all'unzione di Davide; dall'unzione di Davide alla cattività di Israele in Babilonia; dalla cattività babilonese alla nascita di Cristo; infine, dalla nascita di Cristo alla sua parusia, che rappresenterà la fine della storia. Sette periodi caratterizzati, in qualche modo, dalla penitenza e dalla preghiera, nell'attesa di "cieli e terra nuovi" che si manifesteranno dopo il Giudizio di Cristo sul mondo. Da notare, infatti, che anche le settimane di Pasqua sono sette, simboleggianti la perfezione del "mondo nuovo".

La settimana di Settuagesima ci invita a meditare sulla prima fase del mondo, dalla creazione di Adamo al diluvio universale, un periodo contrassegnato dall'evento cardine del peccato originale, fondamentale nella nostra fede cattolica. Essere cattolici significa accettare questo dogma centrale. La soteriologia cristiana, culminante nella Passione e Resurrezione di Cristo, trova il proprio fondamento nel peccato dei nostri progenitori. Il peccato originale è l'origine della nostra condizione penitenziale sulla terra, e Gesù è venuto per redimerci da questa condizione primordiale attraverso la sua morte.

A differenza del peccato personale, il peccato originale ha corrotto non solo la nostra natura spirituale, ma anche quella fisica, trasmessa da generazione in generazione come una sorta di tara genetica. Ogni individuo nasce colpevole agli occhi di Dio. Un peccato così grave, di valore infinito, richiedeva un merito di espiazione altrettanto infinito. Questa necessità portò al grande amore di Dio per l'umanità, spingendolo a assumere la carne umana per espiare la colpa di Adamo, pur essendo perfettamente innocente.

Riflettiamo sullo spirito di penitenza che i nostri progenitori, Adamo ed Eva, mantennero per tutta la vita a causa di quel peccato. Morirono nella fede del Messia promesso (cfr. Genesi 3,15) e oggi sono ricordati come santi. Meditiamo dunque sul significato del peccato originale, e crediamo fermamente che Cristo è venuto per redimerci da una colpa "genetica" così invincibile che, altrimenti, ci avrebbe escluso dalle porte del Paradiso.

Gaetano Masciullo

sabato 20 gennaio 2024

La Rivelazione non sarà più esclusiva di Israele

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13.

In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis potes me mundáre. Et exténdens Iesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra eius. Et ait illi Iesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod praecépit Móyses, in testimónium illis. Cum áutem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum, et dicens: Dómine, puer meus iacet in domo paralyticus, et male torquétur. Et ait illi Iesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites et dico huic: Vade, et vadit; et álii: veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Áudiens autem Iesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen dico vobis, non invéni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham, et Isaac, et Iacob in regno coelórum: fílii autem regni eiiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus, et stridor déntium. Et dixit Iesus centurióni: Vade, et sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 8, 1-13.

Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi». E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato». E subito la sua lebbra scomparve. Poi Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro». Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò». Ma il centurione riprese: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa». All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va', e sia fatto secondo la tua fede». In quell'istante il servo guarì.

Nel vangelo di oggi, si narrano due miracolose guarigioni che, benché apparentemente separate, sono unite da un profondo significato spirituale. La Chiesa le annunzia entrambe nella stessa domenica. Il primo episodio riguarda la completa purificazione di un lebbroso per opera di Gesù. L'evangelista menziona che il lebbroso "adorava" Cristo, suggerendo così che, nonostante la terribile malattia che lo affliggeva, avesse compreso la vera identità di Gesù di Nazareth come il Messia promesso, addirittura l'Incarnazione stessa di Dio. La cultura ebraica riconosce infatti, ancora oggi, che Dio solo merita adorazione.

La preghiera del lebbroso è chiara: "Signore" (notare che egli non chiama Gesù "Rabbì", ma "Adonai", titolo riservato a Dio), "se vuoi, puoi purificarmi". La risposta di Gesù, che agisce come Dio, è immediata: "Lo voglio: sii purificato". La volontà umile e santamente rassegnata del lebbroso ("...se vuoi...") incontra la volontà onnipotente e operante di Dio. La Chiesa interpreta questo evento storico anche simbolicamente: il lebbroso rappresenta l'intero Israele, ferito dal peccato, non solo quello originale, ma soprattutto quello della superbia e dell'invidia, che avevano oscurato la vista dei farisei e degli scribi, impedendogli di riconoscere Gesù come vero Dio.

Tuttavia, Israele desiderava essere guarito da Cristo. Da qui l'ordine di Gesù al lebbroso di mantenere il silenzio, di conservare quell'umiltà che aveva meritato il miracolo - "Guarda di non dirlo ad alcuno" - e di seguire la Legge di Mosè: "Va', mostrati ai sacerdoti e offri quanto prescritto da Mosè, affinché serva loro da testimonianza". Si fa riferimento a quanto stabilito nell'Antico Testamento, in Levitico 14, 1-32, che descrive un elaborato rituale di sacrifici di riparazione da offrire al Signore, sacrifici che devono essere eseguiti esclusivamente dai sacerdoti nel Tempio.

In questo contesto, Gesù ha due obiettivi. Primo, vuole comunicare l'aspetto sacerdotale della redenzione. Infatti, in virtù del suo essere "sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek", Cristo offre il proprio sangue - la propria stessa vita - a Dio Padre, riscattando gli uomini di buona volontà dalla lebbra del peccato originale, e non più con il sangue di tortore e agnelli. In secondo luogo, Gesù vuole comunicare - questa volta ai sacerdoti, cioè alle massime autorità ebraiche - la propria natura divina. I sacerdoti, conoscendo le Scritture, avrebbero dovuto capire dalla testimonianza del lebbroso e dalla prova della guarigione che Gesù era il Messia promesso a Israele, e che egli aveva realmente natura divina. Tuttavia, i Dottori di Israele compresero che Gesù era Dio, ma per invidia rifiutarono di riconoscerlo e adorarlo.

Così, si collega a questo dramma il secondo miracolo, cioè la guarigione del servo paralitico del centurione romano. Se le autorità ebraiche dimostrano di non avere fede nel Dio che si è rivelato ai loro padri, i pagani, a cui Dio non ha dato un testamento, mostrano una fede più meritoria. Infatti, Gesù risponde estasiato dopo la professione di fede del romano: "Non ho trovato una fede così grande in Israele".

Il punto sollevato è davvero intrigante. La fede, infatti, non costituisce un semplice sentimento, ma piuttosto una virtù conferita da Dio, non ottenibile mediante unicamente le risorse umane, e consiste nell'adeguamento dell'intelletto alle verità rivelate da Dio. Tuttavia, sorge la domanda: come poteva un romano accettare verità che ignorava, non conoscendo il Dio di Israele né avendo la consapevolezza dell'avvento del Messia nel mondo? Nonostante ciò, Gesù giudica la fede del centurione superiore a quella di Israele! San Tommaso d'Aquino spiega che la virtù della fede può manifestarsi in due forme: implicita ed esplicita. Formalmente, la fede si identifica con quella esplicita, ossia la virtù di coloro che comprendono le verità rivelate e vi credono. Tuttavia, nelle Scritture, incontriamo individui dotati di fede implicita, ossia coloro che, pur consapevoli dell'esistenza di una divinità, intuiscono con la forza intellettuale alcune verità perfezionabili tramite la rivelazione, o credono nella parola del Signore senza comprenderla appieno.

Secondo il Dottore Angelico, se alcuni furono salvati senza ricevere una rivelazione diretta, ciò non avvenne senza la fede nel Mediatore. Pur non possedendo una fede esplicita, avevano una fede implicita nella Provvidenza divina, credendo che Dio sia il liberatore degli uomini nei modi che a lui piacciono, come rivelato a coloro che già conoscono la verità. La fede implicita rappresenta una predisposizione dell'uomo, ispirata da Dio, a credere in verità imperscrutabili e ad essere disposti a credervi indipendentemente dalla loro natura. Il centurione possedeva questo tipo di fede: credeva in Dio, nella sua Provvidenza, e riconosceva che Gesù aveva a che fare con Dio, in qualche misura.

Quando Cristo critica la mancanza di fede in Israele, si riferisce alle autorità sacerdotali a cui aveva inviato il lebbroso precedentemente. Queste figure avrebbero dovuto possedere una fede esplicita nel Messia, eppure peccavano di superbia e invidia. Ecco il paradosso: la fede implicita del centurione supera la fede esplicita dei sacerdoti. Da ciò emerge la profezia di Cristo sulla Chiesa cattolica e sulla Nuova Alleanza con un nuovo sacerdozio eterno: "Molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli". La Rivelazione non sarà più esclusiva di Israele, ma si estenderà a tutti gli uomini di buona volontà.

Gaetano Masciullo

sabato 13 gennaio 2024

Gesù mostra la propria Divinità a Cana

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 2, 1-11.

In illo témpore: Núptiae factae sunt in Cana Galilaéae: et erat mater Iesu ibi. Vocátus est áutem et Iesus et discípuli eius ad núptias. Et deficiénte vino, dicit mater Iesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Iesus: Quid mihi et tibi est, múlier? nondum venit hora mea. Dicit mater eius minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant áutem ibi lapídeae hydriae sex pósitae secúndum purificatiónem Iudaeórum, capiéntes síngulae metrétas binas vel ternas. Dicit eis Iesus: Impléte hydrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Iesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut áutem gustávit architriclínus aquam vinum factam, et non sciébat unde esset, minístri áutem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est: tu áutem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Iesus in Cana Galilaéae: et manifestávit glóriam suam et credidérunt in eum discípuli eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11.

In quel tempo, vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e lì vi era la madre di Gesù. E alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù rispose: "Che c'è tra me e te, o donna? La mia ora non è ancora venuta". Disse sua madre ai domestici: "Fate tutto quello che egli vi dirà". Ebbene, vi erano lì sei giare di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù disse loro: "Riempite d’acqua le giare". E le riempirono fino all’orlo. Gesù disse: "Adesso attingete e portate al maestro di tavola". E portarono. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapeva donde l’avessero attinta, ma i domestici lo sapevano; chiamato lo sposo gli disse: "Tutti servono da principio il vino migliore e danno il meno buono quando sono brilli, ma tu hai conservato il vino migliore fino ad ora". Così Gesù, in Cana di Galilea, dette inizio ai miracoli e manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il miracolo alle nozze di Cana è il primo "segno" divino compiuto da Gesù nella sua vita pubblica, raccontato esclusivamente da Giovanni. Questo evento offre numerosi spunti di riflessione e meditazione. Esploreremo alcune di queste riflessioni.

Paragonando questo segno con altri miracoli che Gesù realizzerà in futuro (pensiamo alle numerose guarigioni), la trasformazione dell'acqua in vino potrebbe sembrare qualcosa di sorprendente, quasi magico. Tuttavia, dalla prospettiva biblica, il vino e l'acqua sono due simboli di grande significato, conservati entrambi nella liturgia eucaristica.

L'acqua, simbolo dell'umanità, rappresenta la vita e la purezza, ma nell'antichità poteva anche trasformarsi in un veicolo pericoloso di malattie infettive. L'ambivalenza dell'acqua tra la vita e la morte rifletteva la condizione dell'essere umano agli occhi dell'antico popolo di Israele (e non solo), che comprendeva la dualità tra santità e peccato.

In contrasto, il vino veniva considerato la bevanda della gioia e, allo stesso tempo, un alimento con proprietà terapeutiche. San Paolo addirittura suggerisce a Timoteo, in una delle sue lettere, di consumare vino per alleviare i problemi di stomaco: "Smetti di bere soltanto acqua, ma fa' uso di un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni" (1Timoteo 5, 23).

Storicamente, si ritiene che tutte le bevande alcoliche abbiano avuto origini mediche e siano state successivamente adottate come bevande di piacere, considerato che l'alcol era un efficace anestetico naturale e una difesa contro le avversità invernali. Il vino, quindi, simboleggia la divinità.

Il miracolo di Cana è, quindi, un insegnamento di Gesù ai suoi discepoli e alla Chiesa, non solo attraverso le parole, ma anche mediante gesti e simboli, che spesso influenzano la mente umana più profondamente dei concetti e delle frasi.

Le giare colme d'acqua trasformate in vino da Gesù simboleggiano gli individui, uniti dalla stessa natura (quella umana), la quale può essere redenta e trasformata in Dio solo attraverso il tocco e la volontà di Gesù Cristo, inviato dal Padre appositamente per la nostra redenzione.

Un elemento finale, cruciale e spesso trascurato, in questo episodio è il ruolo di Maria, madre di Gesù. Leggiamo infatti che è Maria a chiedere a Cristo di compiere il miracolo per gli sposi. La risposta di Gesù, tuttavia, potrebbe risultare sorprendente: "Che c'è tra me e te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". Etimologicamente, la domanda di Gesù significa letteralmente: "Cosa importa di questa cosa a me o a te?".

Pertanto, Gesù aggiunge alla domanda: "Non è ancora giunta la mia ora", sottolineando che, poiché il momento di rivelarsi al mondo come redentore sulla Croce non è ancora arrivato, neanche il momento di santificare l'uomo è giunto.

La domanda di Gesù diventa ancor più straordinaria quando consideriamo la reazione di Maria. Invece di tacere o contestare, procede come se avesse ottenuto una risposta positiva da parte di Gesù alla sua richiesta d'aiuto e, rivolgendosi ai servi, dice loro: "Fate quello che vi dirà".

Il contributo di Maria in questo episodio enfatizza l'importanza dell'intercessione della preghiera dei santi nel nostro legame con Dio. In particolare, l'intercessione di Maria, l'unica donna concepita senza il peccato originale e la creatura con i meriti più elevati agli occhi di Dio, assume un ruolo significativo. Senza la preghiera di Maria, gli sposi quel giorno sarebbero probabilmente rimasti senza vino (e, al di là della metafora, l'umanità avrebbe rischiato di perdere la grazia).

La domanda di Gesù acquisisce un altro significato, evidenziato da sant'Agostino. Infatti, la domanda di Gesù è parafrasata dal Dottore di Ippona in questo modo: "La parte in me che sta per compiere il miracolo non è quella che hai generato tu, ma quella che è stata generata dallo Spirito Santo". La domanda dovrebbe quindi essere interpretata alla lettera. Cosa c'è tra Maria e Gesù? La risposta è chiara: la natura umana, ma una natura perfettamente umana, libera dal peccato originale. Grazie a questo grande merito, la natura divina di Cristo riscatta l'acqua contaminata della natura umana.

sabato 6 gennaio 2024

I tre pilastri dell'educazione cristiana


Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 2, 42-52.
Cum factus esset Iesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Ierosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Iesus in Ierúsalem, et non cognovérunt paréntes eius. Exstimántes áutem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Ierúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos, et interrogántem eos. Stupébant áutem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis eius. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit mater eius ad illum: Fíli, quid fecísti nobis sic? Ecce pater tuus, et ego doléntes quaerebámus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quaerebátis? Nesciebátis quia in his, quae Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et mater eius conservábat ómnia verba haec in corde suo. Et Iesus proficiébat sapiéntia, et aetáte, et grátia, apud Deum, et hómines.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 2, 42-52.
Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che, dopo tre giorni, lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori e li ascoltava e li interrogava e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco che tuo padre e io, addolorati, ti cercavamo". Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio?". Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth e stava soggetto a essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e agli uomini.

In occasione della celebrazione della Sacra Famiglia di Nazareth, la Chiesa ci invita a riflettere sul "quinto mistero della gioia", secondo la dicitura utilizzata nella recita del rosario, nella Tradizione cattolica. Possiamo immaginare l'inquietudine che pervase Giuseppe e Maria quando si resero conto di aver smarrito il dodicenne Gesù durante il ritorno da Gerusalemme a Nazareth. 

I genitori di Gesù notarono la sua assenza dopo "una giornata di cammino", quasi giunti a Nazareth. La loro ricerca durò tre giorni, un richiamo simbolico ai tre giorni di Cristo nel sepolcro prima della Resurrezione, sottolineando ancora una volta il mistero centrale della Croce nella storia della redenzione. Come durante i tre giorni di smarrimento Gesù predicava ai Dottori della Legge, introducendoli nella Nuova Alleanza, così, nei tre giorni nel sepolcro, Gesù annunciò la Redenzione e riscattò i giusti dalle tenebre.

L'evangelista Luca conclude che Gesù cresceva "in sapienza, in età e in grazia". La Chiesa ci mostra in questo modo liturgicamente il supremo obiettivo dell'educazione e dell'istruzione genitoriale. I genitori sono chiamati a coltivare la prole secondo tre pilastri fondamentali.

"Sapienza", che indica il complesso delle virtù naturali acquisibili con le sole forze umane: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. I genitori devono avviare un'educazione moralmente solida. "Età", che denota la cura della dimensione psicofisica del figlio, comprendendo le esigenze legate al corpo. Gesù, pur essendo Dio, ha vissuto una vita umana completa, fornendone un modello, compresa la crescita. "Grazia", che rappresenta il rapporto tra Dio e l'essere umano. I genitori devono assicurarsi che i figli crescano nella grazia di Dio e comprendano come rimanere in questo stato, poiché rimane il tesoro più grande da conseguire in questa vita.

Gaetano Masciullo

venerdì 5 gennaio 2024

Tre doni per indicare la finalità dell'Incarnazione

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 2, 1-12.

Cum natus esset Iesus in Béthlehem Iuda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Ierosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Iudæórum? Vidimus enim stellam eius in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Ierosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Iudæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Iuda, nequaquam mínima es in princípibus Iuda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israël. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre eius, hic genuflectitur et procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam.

Seguito del Santo Vangelo secondo Matteo 2, 1-12.

Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: "Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo". Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. Adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i príncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.

Il termine greco "Epifania" si traduce come "manifestazione del Signore". Durante le festività natalizie, abbiamo visto come il neonato Gesù abbia voluto (e dovuto) rivelare la propria natura messianica a individui specifici, che simboleggiavano l'intera umanità. Abbiamo visto la sua manifestazione ai pastori, simbolo di Israele e della Chiesa, e successivamente ai due profeti nel Tempio, raffiguranti i santi. 

Rimane, pertanto, l'ultima rivelazione ai Magi, che simbolicamente rappresentano l'intero mondo ancora non illuminato dalla fede cristiana. Gesù era indubbiamente il Messia promesso al popolo di Israele, ma la sua missione redentrice era destinata a tutti gli uomini di buona volontà, non ai soli ebrei.

Questa promessa è simboleggiata dalla visita dei Magi, i quali non appartenevano al popolo ebraico, ma erano sacerdoti di una religione orientale, il mazdeismo (erroneamente chiamato zoroastrismo). Questa antica religione, esistita per molti secoli prima dell'avvento di cristianesimo e islam, credeva in un solo Dio chiamato Ahura-Mazda e aspettava un Messia chiamato Saoshyant, che curiosamente significa "salvatore", come il nome ebraico di Gesù.

Questo spiega perché i Magi, provenienti dall'Impero dei Sasanidi, partirono dall'Oriente verso la Giudea, aspettandosi la venuta del Messia. Il vangelo secondo Matteo ci rivela che i Magi erano consapevoli della natura di Gesù Cristo e del suo futuro luogo di nascita in Giudea. Arrivati a Betlemme, su indicazione di Erode, i Magi offrirono alla famiglia di Gesù tre doni preziosi (l'oro, l'incenso e la mirra), ciascuno con un significato specifico. 

L'oro simboleggia infatti la regalità di Cristo, l'incenso rappresenta la sua divinità, e la mirra indica la sua natura umana e mortale. In questo modo, la manifestazione di Cristo attraverso i Magi sottolinea anche il fine dell'Incarnazione: la Redenzione universale, il riscatto del genere umano dal peccato originale sulla croce, e la sottomissione di tutto il creato al legittimo Re dell'Universo.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...