sabato 25 marzo 2023

"Prima che Abramo fosse, Io sono"

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 8, 46-59.
In illo témpore: Dicébat Iesus turbis Iudaeórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei áudit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Iudaéi, et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et daemónium habes? Respóndit Iesus: Ego daemónium non hábeo: sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego áutem non quaero glóriam meam: est qui quaerat, et iúdicet. Amen, amen dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in aetérnum. Dixérunt ergo Iudaéi: Nunc cognóvimus quia daemónium habes. Abráham mórtuus est, et prophétae: et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in aetérnum. Numquid tu maior es patre nostro Abráham, qui mórtuus est? et prophétae mórtui sunt? Quem teípsum facis? Respóndit Iesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego áutem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum, et sermónem eius servo. Abráham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gávisus est. Dixérunt ergo Iudaéi ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abráham vidísti? Dixit eis Iesus: Amen, amen dico vobis, ántequam Abráham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut iácerent in eum: Iesus áutem abscóndit se, et exívit de templo.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 8, 46-59.
In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: "Chi di voi può accusarmi di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio". Risposero dunque i Giudei e gli dissero: "Non diciamo forse bene che tu sei un samaritano e un posseduto dal demonio?" Gesù rispose: "Non sono posseduto dal demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io invece non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se qualcuno avrà servito la mia parola, non gusterà la morte in eterno". Gli dissero dunque i Giudei: "Ora sappiamo che sei posseduto dal demonio. Abramo è morto e pure i profeti e tu dici: Chi avrà servito la mia parola non gusterà la morte in eterno. Sei forse più grande del nostro padre Abramo, che è morto, o dei profeti, che sono morti? Chi pretendi di essere?" Gesù rispose: "Se io glorífico me stesso, la mia gloria è nulla; è il Padre mio che mi glorifica, che voi dite essere vostro Dio, ma non lo conoscete: io invece lo conosco e se dicessi di non conoscerlo sarei simile a voi, un bugiardo. Ma lo conosco e servo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò perché vide il mio giorno: vide e gioì". Gli dissero dunque i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?" Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono". Allora raccolsero delle pietre per scagliarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

La quinta domenica di Quaresima è nota nella forma straordinaria del rito romano come Prima Domenica di Passione, perché già ci introduce verso l'apice del Mistero della nostra salvezza, che è la Passione di Cristo.

Nel brano di vangelo che la Chiesa ci propone quest'oggi, Gesù compie una teofania, cioè dimostra la propria natura divina, senza però accompagnarla da segni straordinari, come avvenne nel Giordano o sul monte Tabor. La teofania di questo brano è una semplice dichiarazione verbale, che Gesù compie a testimonianza contro coloro che offendevano la sua dignità di Figlio di Dio.

La domanda iniziale di Gesù - se dico la verità, perché mi offendete? - interroga profondamente anche noialtri che ci diciamo cristiani. Quante volte, infatti, pur riconoscendo che una certa dottrina proviene dalla Chiesa, ci rifiutiamo di crederla perché contraria alle nostre personali convinzioni, ai nostri interessi, o peggio: alle nostre passioni, che spadroneggiano sulla nostra volontà e persino sulla nostra ragione.

Quando rifiutiamo una verità rivelata da Dio, commettiamo un peccato molto grave, addirittura uno dei più gravi, uno dei sette peccati contro lo Spirito Santo, definito in teologia morale "impugnazione (cioè rifiuto, opposizione) della verità conosciuta". E Gesù ci dice una verità tremenda in questo brano: chi rifiuta la verità, non è da Dio.

Gli scribi e i farisei avevano ben capito che Gesù era il Messia promesso da Dio a Israele, ma non vollero accettarlo per invidia (cfr. Matteo 27,18; Marco 15,10). Essi non accettavano che un uomo cresciuto in una città ignobile come Nazareth, figlio di un carpentiere, potesse davvero essere più grande di Mosè e dei profeti, anche se tutta la vita, tutte le opere e tutti i segni da lui compiuti dimostravano che le cose dovevano stare esattamente così.

Com'è debole la natura umana corrotta dal peccato e priva della grazia di Dio! Anche dinanzi alle maggiori evidenze divine, l'uomo preferisce prostrarsi dinanzi alle proprie passioni per servirle. Quante volte ci riempiamo la bocca di concetti nobili come la libertà, eppure dimentichiamo che le più grandi catene non vengono dall'esterno, ma dall'interno, e sono le nostre passioni.

Per questo, dei tre grandi nemici dell'uomo, il primo in ordine di pericolosità è la nostra stessa carne, poi il diavolo e infine il mondo.

Quando impareremo a vincere le nostre passioni, allora avremo tolto gli impedimenti più grandi alla realizzazione della nostra perfezione naturale e saremo quindi più ben disposti ad accogliere i doni divini che ci perfezionano spiritualmente. "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Giovanni 8,32), dice il Signore.

E la verità grande che Cristo rivela oggi è la seguente: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono". Non è una frase sgrammaticata questa che troviamo nel vangelo. Io-sono, infatti, è il nome stesso di Dio, così com'è rivelato nell'Antico Testamento, è il nome usato da Dio per rivelarsi a Mosè nel roveto ardente. Gesù sta dicendo ai Giudei che Egli è Dio, che esiste da prima di Abramo e anzi da prima dell'esistenza dell'intero universo.

Ecco perché i Giudei, presi dall'ira, vollero subito lapidare Gesù: perché essi sapevano cosa Gesù intendesse dire e quelle parole dovettero suonare alle loro orecchie come vere e proprie bestemmie, anche se la vita e le opere di Gesù avevano confermato questa sua natura messianica e divina.

"Ma Gesù si nascose e uscì dal tempio". Non era ancora giunto il momento della morte, della Redenzione del genere umano.

Gaetano Masciullo

domenica 19 marzo 2023

Perché San Giuseppe è Patrono della Chiesa universale?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 1, 18-21.
Cum esset desponsáta mater Iesu María Ioseph, ántequam convenírent, invénta est in útero habens de Spíritu Sancto. Ioseph autem vir eius, cum esset iustus, et nollet eam tradúcere, vóluit occúlte dimíttere eam. Haec autem eo cogitánte, ecce Angelus Dómini appáruit in somnis ei, dicens: Ioseph, fili David, noli timére accípere Maríam cóniugem tuam: quod enim in ea natum est, de Spíritu Sancto est. Páriet autem fílium: et vocábis nomen eius Iesum: ipse enim salvum fáciet pópulum suum a peccátis eórum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 1, 18-21.
Essendo Maria, la Madre di Gesù, sposata a Giuseppe, prima di abitare con lui fu trovata incinta, per virtù dello Spirito Santo. Ora, Giuseppe, suo marito, essendo giusto e non volendo esporla all’infamia, pensò di allontanarla segretamente. Mentre pensava questo, ecco apparirgli in sogno un Angelo del Signore, che gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua sposa, poiché colui che è nato in lei è opera dello Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, cui porrai nome Gesù, perché egli libererà il suo popolo dai suoi peccati".

"Credo la comunione dei santi". Recitiamo questa frase ogni qualvolta professiamo il Credo apostolico. Se ci soffermiamo seriamente su questo dogma di fede, allora capiamo che i santi - cioè coloro che vivono nella grazia di Dio - cooperano l'uno per l'altro.

E' questa comunione a formare la Chiesa, il corpo mistico di Gesù Cristo. E i santi non sono solo coloro che vivono in grazia su questa terra, ma anche e soprattutto coloro che hanno superato il cammino di prova di questa vita terrena e adesso godono della vita piena in paradiso, dove vedono Dio "faccia a faccia" (1Corinzi 13,12).

Sembra paradossale, ma le anime dei santi partecipano più pienamente della vita di coloro che sono vivi su questa terra. "Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi" (Matteo 22, 32). E quindi le preghiere dei santi celesti sono più potenti, cioè più efficaci delle nostre, perché i loro meriti sono più grandi. Consideriamo inoltre che non tutti i santi godono della stessa beatitudine. In Paradiso sussiste infatti una gerarchia tra i santi, così come sussiste una gerarchia tra gli angeli.

Non potrebbe essere altrimenti, visto che ognuno di noi possiede meriti e demeriti differenti davanti a Dio. Inoltre, è lo stesso Gesù che ci parla di questa gerarchia dei santi, nel momento in cui dice nel vangelo: "il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui" (Matteo 11, 11). Si riferiva qui alla santità di Giovanni Battista. 

San Tommaso d'Aquino insegna che la dulia o venerazione, cioè l'onore che dobbiamo tributare ai santi, è più grande se prestata "alle creature che hanno una particolare affinità con Dio" (cfr. Tommaso d'Aquino, S.Th. II-II, q. 103, a. 4, arg. 2), perché maggiori sono i loro meriti. Per questa ragione, la creatura cui va dato il massimo grado di venerazione è la Vergine Maria, dalla cui carne immacolata è stato generato il corpo dello stesso Cristo ed è stata pertanto possibile l'Incarnazione.

Subito dopo la Vergine Maria, occupa un posto di particolare onore san Giuseppe, il quale fu eletto da Dio come padre putativo del Messia promesso a Israele. Un anno fa, sull'Osservatore romano era comparso un articolo di Michela Murgia a dir poco offensivo nei riguardi di questo grandissimo santo, nel quale si presentava l'espressione "padre putativo" come riduttiva e addirittura svalutativa. (Clicca qui se vuoi approfondire). Michela Murgia ha etichettato san Giuseppe addirittura come "maschio beta" ed è stupefacente constatare come queste amenità, queste sciocchezze, siano state pubblicate da uno dei massimi organi di stampa della Chiesa cattolica.

Mettiamo ordine e parliamo di Giuseppe di Nazaret secondo verità. San Giuseppe è stato un vero uomo, un vero santo, perché ha esercitato massimamente le virtù e in particolare la virtù della giustizia. Nel vangelo in effetti Giuseppe non parla mai, ma non perché viene posto in secondo piano, bensì perché è un uomo che agisce, che fa i fatti, un uomo sapiente e concreto.

L'unico attributo che l'evangelista riconosce a Giuseppe è quello di essere uomo giusto. Quando egli venne a sapere che Maria era incinta per opera dello Spirito Santo, Giuseppe dovette decidere: denunciare Maria e farla condannare a morte per salvare il proprio onore dinanzi agli uomini, pur sapendo che ella era innocente, oppure proteggerla, sposarla e custodire il Figlio di Dio fatto uomo per salvare il proprio onore dinanzi al Padre celeste. Come sappiamo, egli scelse la seconda opzione. Ma fu una scelta tutt'altra che semplice, piena di timori e preoccupazioni.

Nel corso della storia della Chiesa, i papi hanno riconosciuto a san Giuseppe diversi onori e diversi titoli che ci illustrano e spiegano meglio la funzione che la sua intercessione assume davanti a Dio e davanti agli uomini. Sisto IV, Clemente X, Clemente XI e Benedetto XIII sono stati i primi a elevare lodi particolari a questo santo. Ma quest'oggi ci soffermeremo su un titolo particolare di san Giuseppe.

San Giuseppe è onorato infatti come patrono universale della Chiesa cattolica. Questo ruolo è stato proclamato solennemente da papa Pio IX, l'8 dicembre 1870.

Il papa spiega nella Dichiarazione che, così come nell'Antico Testamento si narra di Giuseppe figlio di Giacobbe, che divenne soprintendente di Egitto per salvare i popoli del Medio Oriente dalla carestia, così nel Nuovo Testamento si narra di un nuovo Giuseppe, anch'egli figlio di un uomo chiamato Giacobbe, che divenne custode di Cristo, il cui corpo mistico è appunto la Chiesa.

Segue dunque che soprattutto in tempi difficili, non solo della storia della Chiesa (come quello che viviamo ormai da troppi anni a questa parte), ma anche della propria storia individuale, l'affidamento e l'intercessione di san Giuseppe si fanno quanto mai efficaci e necessari.

La carestia in Egitto, di cui si parla nella Genesi, è immagine della scarsità di giustizia nella società. La giustizia è infatti - tra le quattro virtù teologali - quella più orientata alla relazione con il prossimo. Non può esserci una società sana che non conosca il concetto di giustizia. Non poteva dunque che essere il giusto san Giuseppe il modello perfetto da presentare alla società, specialmente la società cristiana. In lui infatti vediamo come in uno specchio l'essenza del padre, quindi dell'educatore, ma anche dell'imprenditore, del lavoratore, del marito paziente e laborioso, di colui che sa sopportare i periodi di difficoltà economica e di povertà e che sa lodare Dio nei momenti di prosperità, il modello degli esuli, ma anche il modello dei sacerdoti, che sono chiamati a custodire e amministrare i sacramenti con la stessa tenerezza e la stessa attenzione che san Giuseppe ebbe nei confronti del Bambinello Gesù.

Gaetano Masciullo

sabato 18 marzo 2023

Cos'è la Domenica della Letizia?

 

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 6, 1-15.
In illo témpore: Ábiit Iesus trans mare Galilaéae, quod est Tiberíadis: et sequebátur eum multitúdo magna, quia vidébant signa, quae faciébat super his, qui infirmabántur. Súbiit ergo in montem Iesus: et ibi sedébat cum discípulis suis. Erat áutem próximum Pascha, dies festus Iudaeórum. Cum sublevásset ergo óculos Iesus, et vidísset quia multitúdo máxima venit ad eum, dixit ad Philíppum: Unde emémus panes, ut mandúcent hi? Hoc áutem dicébat tentans eum: ipse enim sciébat quid esset factúrus. Respóndit ei Philíppus: Ducentórum denariórum panes non suffíciunt eis, ut unusquísque módicum quid accípiat. Dicit ei unus ex discípulis eius, Andréas frater Simónis Petri: Est puer unus hic, qui habet quinque panes hordeáceos, et duos pisces: sed haec quid sunt inter tantos? Dixit ergo Iesus: Fácite hómines discúmbere. Erat áutem foenum multum in loco. Discubuérunt ergo viri, número quasi quinque míllia. Accépit ergo Iesus panes, et cum grátias egísset, distríbuit discumbéntibus: simíliter et ex píscibus quantum volébant. Ut áutem impléti sunt, dixit discípulis suis: Collígite quae superavérunt fragménta, ne péreant. Collegérunt ergo, et implevérunt duódecim cóphinos fragmentórum ex quinque pánibus hordeáceis, quae superfuérunt his, qui manducáverant. Illi ergo hómines cum vidíssent quod Iesus fécerat signum, dicébant: Quia hic est vere Prophéta, qui ventúrus est in mundum. Iesus ergo cum cognovísset, quia ventúri essent ut ráperent eum, et fácerent eum regem, fugit íterum in montem ipse solus.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 6, 1-15.
In quel tempo, Gesù se ne andò aldilà del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che egli faceva su coloro che erano infermi. Gesù salì quindi sopra un monte e qui si sedette con i suoi discepoli. Era infatti prossima la Pasqua, festa dei Giudei. Quando dunque Gesù alzò gli occhi, e avendo visto che una enorme moltitudine veniva da lui disse a Filippo: "Dove compreremo il pane perché questi ne mangino?". Disse infatti ciò per metterlo alla prova: egli infatti sapeva cosa stava per fare. Filippo gli rispose: "Una quantità di pane del valore di duecento danari non è sufficiente per costoro, perché ognuno riceva un piccolo pezzo". Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma cosa è questo per tanta gente?". Ma Gesù disse: "Fate sedere gli uomini". C'era infatti molta erba sul posto. E quegli uomini si misero a sedere ed erano quasi cinquemila. Gesù prese dunque i pani, rese grazie e li distribuì a coloro che si erano seduti, e così fece per i pesci, finché ne vollero. Saziati che furono, disse ai suoi discepoli: "Raccogliete gli avanzi, affinché non vadano a male". Li raccolsero e riempirono dodici canestri di frammenti dei cinque pani di orzo che erano avanzati a coloro che ne avevano mangiato. E questi, quindi, veduto il segno fatto da Gesù, dissero: "Costui è veramente quel profeta che doveva venire nel mondo". Ma Gesù, sapendo che sarebbero venuti a prenderlo con la forza per farlo re, fuggì di nuovo da solo sul monte.

La Tradizione della Chiesa definisce la Quarta Domenica di Quaresima con il titolo di Domenica della Letizia (o Domenica Laetare), dal nome dell'introitus che da secoli si pronuncia all'inizio della celebrazione: Laetáre, Ierúsalem - "Allietati, Gerusalemme, e voi tutti, che la amate, esultate con essa: rallegratevi voi che foste tristi ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni" (Isaia 66,10-11).

Finora il cammino quaresimale ci ha messo in guardia dalle tentazioni del Nemico, ci ha invitato a perseverare con la promessa della gloria e della giustizia alla fine dei tempi, ci ha poi mostrato che il regno di Satana e dei suoi servi è destinato a soccombere con il segno della liberazione del sordo-cieco.

Adesso la Chiesa propone secondo Tradizione il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il sacerdote veste non più i paramenti violacei, ma quelli rosa, come se fossero già frammisti al bianco della resurrezione. Il senso di questa letizia all'interno della liturgia è quello di invitare alla perseveranza, alla fine ormai della Quaresima: si intravede già infatti la Settimana di Passione, punto di arrivo della missione terrena di Nostro Signore Gesù Cristo.

E la perseveranza non deve essere motivo di afflizione e durezza per il cristiano, ma di letizia appunto, sapendo che il Paradiso inizia già in questa vita. Come si ricollega tutto ciò al vangelo proclamato quest'oggi?

La moltiplicazione dei pani e dei pesci è una prefigurazione dell'eredità che Gesù Cristo ha lasciato alla sua Chiesa. La moltitudine, infatti, è immagine della stessa Chiesa, che nei progetti di Dio è chiamata a estendersi e a coincidere con la stessa umanità. E qual è l'eredità che Cristo ci ha lasciato se non il massimo dei Sacramenti, cioè l'Eucarestia?

Quando Cristo vede la folla, ne intuisce la fame. Fuori di metafora, Cristo vede nell'uomo il bisogno della grazia, cioè dell'amicizia con lui. La domanda che Gesù pone all'apostolo Filippo - "Dove compreremo il pane perché questi ne mangino?" - è una domanda di prova. Filippo è l'apostolo "assetato di dottrina celeste": sarà lui a dire più tardi: "Signore, mostraci il Padre e ci basta" (Giovanni 14,8), al che Gesù risponderà: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre" (Giovanni 14,9). E' anche però l'apostolo che rappresenta quella parte di Chiesa che ha maggiore difficoltà a vedere oltre i segni sensibili.

Eppure è così che Dio opera ordinariamente. Siccome siamo creature corporali, non puri spiriti come gli angeli, noi conosciamo ogni cosa attraverso i sensi e la vita della carne riflette la vita dello spirito. Per questo, Dio si è fatto Uomo - non solo per riscattarci, ma anche per rivelarsi.

Filippo e gli altri apostoli infatti non comprendono ancora perfettamente che ogni bene - sia esso materiale sia spirituale - proviene dal Padre e dalla mediazione infinita di Cristo. Ma siccome Dio è giustizia (in tempo di Quaresima è meglio non dimenticarlo), è necessario per la nostra salvezza saper meritare i beni da Dio.

Giustizia infatti è dare a ciascuno quello che merita, misericordia invece è dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno. Ma in Dio giustizia e misericordia coincidono: non può essere giusto tralasciando la misericordia, o misericordioso agendo ingiustamente. Lo vediamo bene in questo episodio. Gesù vede la folla e vede che ha bisogno di cibo, materiale e spirituale. Ecco la misericordia.

Ma sa anche che il cibo va comprato: il verbo che Gesù usa nella domanda che rivolge a Filippo infatti è proprio questa: "Dove compreremo il pane?". In questo senso si nota la giustizia sempre legata alla misericordia divina.

Il digiuno che la Chiesa ha fatto in questo cammino di penitenza è il prezzo che, unito alla Passione di Cristo, ci ottiene dal Padre celeste tutti i beni, riassunti nell'Eucarestia: non è un caso infatti che la parola greca eucaristhia significa "ringraziamento", come se in essa e attraverso di essa noi siamo grati a Dio per ogni bene ottenuto in questa vita.

Gaetano Masciullo

sabato 11 marzo 2023

Come agisce il Diavolo secondo il Vangelo?

 

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 11, 14-28.
In illo témpore: Erat Iesus eiíciens daemónium, et illud erat mutum. Et cum eiecísset daemónium, locútus est mutus et admirátae sunt turbae. Quídam áutem ex eis dixérunt: in Beélzebub príncipe daemoniórum éiicit daemónia. Et álii tentántes, signum de coélo quaerébant ab eo. Ipse áutem ut vidit cogitatiónes eórum, díxit eis: Omne regnum in seípsum divísum desolábitur, et domus supra domum cadet. Si áutem et sátanas in seípsum divísus est, quómodo stabit regnum eius? Quia dícitis in Beélzebub me eiícere daemónia. Si áutem ego in Beélzebub eiício daemónia, fílii vestri in quo eiíciunt? Ideo ipsi iúdices vestri érunt. Porro si in dígito Dei eiício daemónia: profécto pervénit in vos regnum Dei. Cum fortis armátus custódit átrium suum, in pace sunt ea, quae póssidet. Si áutem fórtior eo supervéniens vícerit eum, univérsa arma eius áuferet, in quibus confidébat, et spólia eius distríbuet. Qui non est mecum, contra me est; et qui non cólligit mecum, dispérgit. Cum immúndus spíritus exíerit de hómine, ámbulat per loca inaquósa, quaérens réquiem, et non invéniens, dicit: Revértar in domum meam unde exívi. Et cum vénerit, ínvenit eam scopis mundátam, et ornátam. Tunc vadit, et assúmit semptem álios spíritus secum nequióres se, et ingréssi hábitant ibi. Et fiunt novíssima hóminis illíus peióra prióribus. Factum est áutem, cum haec díceret, extóllens vocem quaédam múlier de turba, dixit illi: Beátus venter, qui te portávit, et úbera, quae suxísti. At ille dixit: Quinímmo beáti qui áudiunt verbum Dei, et custódiunt illud.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 11, 14-28.
In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio ed esso era muto. E non appena cacciò il demonio, il muto parlò e le folle ne rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: "Egli caccia i demoni in virtù di Belzebù, il principe dei demoni". Altri poi, per tentarlo, gli chiedevano un segno dal cielo. Ma egli, avendo scorto i loro pensieri, disse loro: "Qualunque regno diviso in se stesso cadrà in rovina, e una casa cadrà sull’altra. Se anche Satana è diviso in se stesso, come sussisterà il suo regno? Perché voi dite che io scaccio i demoni in virtù di Belzebù. Se io scaccio i demoni in virtù di Belzebù, in virtù di chi li scacciano i vostri figli? Per questo, saranno essi i vostri giudici. Se io con il dito di Dio scaccio i demoni, allora è venuto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte e armato custodisce il proprio atrio, allora è al sicuro tutto ciò che egli possiede. Ma se un altro più forte di lui lo sovrasta e lo vince, porta via tutte le armi in cui egli riponeva la sua fiducia e ne spartisce le spoglie. Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde. Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, vaga per luoghi privi di acqua, cercando riposo, e, non trovandolo, dice: 'Ritornerò nella mia casa, da dove sono uscito'. E, giungendo, la trova spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed entrano ad abitarvi e la fine di quell’uomo è peggiore di prima". Ora avvenne che, mentre diceva queste cose, una donna alzò la voce tra la folla e gli disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno che hai succhiato!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono".

Nella prima Domenica di Quaresima, la Chiesa ci aveva messo in guardia sull'esistenza del diavolo e sulle sue tentazioni. Dopo averci poi parlato con l'evento della Trasfigurazione della gloria di Dio che i perseveranti riceveranno in eredità alla fine dei tempi, ecco che nella terza Domenica di Quaresima si ritorna a parlare del diavolo e di quali tecniche egli si serve per far cadere l'uomo nel peccato mortale.

Infatti, se è vero che la Quaresima è il periodo in cui il cristiano è chiamato a convertirsi per cambiare vita e ambire alla santificazione e perfezione di se stesso, allora è necessario che egli venga a conoscenza del proprio avversario, così come conviene a un generale di un esercito conoscere le tecniche e le strategie del nemico prima di muovergli battaglia.

Il vangelo di quest'oggi dunque, nelle parole di Gesù Cristo, ci insegna alcune cose molto importanti circa il modo di agire di Satana, cioè di quello spirito angelico che per superbia rifiutò la grazia di Dio e cadde nella condizione infernale.

Ricordiamo infatti, dal Catechismo di san Pio X, che tre sono i grandi nemici dell'uomo: la carne (cioè se stessi in quanto macchiati dal peccato originale), il mondo (cioè le potenze, le mode e le ideologie che imperversano contro Dio nella società) e appunto il diavolo.

Lo spirito impuro che aveva preso possesso dell'uomo di cui si parla in questo brano era un demone muto: la parola cophos però indica non un semplice muto, ma un sordo-cieco, che di conseguenza è anche muto. Metaforicamente, questo episodio ci insegna quindi che il diavolo pone impedimenti all'ascolto della Parola di Dio, a comprendere le verità rivelate e a professare quella fede che ci salva. Gesù solo però ci dona la vista della fede, l'ascolto della parola e la professione della verità.

Ma ecco che i farisei interpretano malignamente il miracolo: Gesù scaccerebbe i demoni in quanto sotto il loro controllo. Ma ecco che Gesù controbatte e utilizza un argomento molto interessante: "Qualunque regno diviso in partiti contrari va in perdizione e una casa rovina sull’altra. Se anche Satana è in discordia con se stesso, come sussisterà il suo regno?".

Questa affermazione potrebbe essere interpretata male, a causa dei limiti delle traduzioni in lingue contemporanee. Qui Gesù non sta dicendo che il regno di Satana è unito, anche perché sappiamo che solo il regno di Dio è uno e perpetuo, mentre i demoni sono disuniti e infatti anche le ideologie mondane si combattono l'una contro l'altra senza riuscire a partecipare pienamente della verità divina.

Qui Gesù ci sta dicendo che i regni divisi al loro interno crollano e che anche il regno di Satana come quello dei farisei è in discordia con se stesso, preannunciando quindi la fine del regno del diavolo e dei suoi servi.

Prosegue poi con il dire che quando un uomo forte è armato con le virtù, questi può resistere bene alle tentazioni del Maligno; ma se le sue virtù, cioè le sue armi, sono deboli, egli prima o poi soccomberà e il diavolo "distruggerà le sue armi", cioè infonderà in lui nuovi vizi, e la grazia in quell'uomo andrà perduta.

Gaetano Masciullo

sabato 4 marzo 2023

Cosa significa la Trasfigurazione?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 17, 1-9.
In illo témpore: Assúmpsit Iesus Petrum, et Iacóbum, et Ioánnem fratrem eius, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies eius sicut sol: vestiménta áutem eius facta sunt alba sicut nix. Et ecce apparuérunt illis Móyses et Elias cum eo loquéntes. Respóndens áutem Petrus, dixit ad Iesum Dómine: Bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum, et Elíae unum. Adhuc eo loquénte, ecce nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube dícens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Iesus, et tétigit eos, dixítque eis: Súrgite, et nolíte timére. Levántes áutem óculos suos, néminem vidérunt, nisi solum Iesum. Et descendéntibus illis de monte, praecépit eis Iesus, dícens: Némini dixéritis visiónem donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 17, 1-9.
In quel tempo, dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato in loro presenza: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la neve. Ed ecco apparire loro Mosè ed Elia, i quali conversavano con lui. Pietro disse a Gesù: "Signore, è bene che noi stiamo qui, se vuoi faremo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li circondò e una voce dalla nuvola disse: "Questo è il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto, ascoltàtelo". E i discepoli, udito ciò, caddero col viso a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù, accostatosi, li toccò e disse: "Alzatevi e non temete". Ed essi, alzati gli occhi, videro Gesù solo. Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: "Non parlate ad alcuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo sia resuscitato dai morti".

Alla fine del capitolo 16 di Matteo, Gesù aveva detto ai discepoli che è necessario per una persona che vuole dirsi cristiana e salvarsi prendere la croce e seguire la dottrina di Cristo (Matteo 16, 24-25) in vista del Giudizio definitivo che egli darà sul mondo (Matteo 16,27). Aveva poi concluso promettendo ai discepoli che alcuni tra loro non sarebbero morti prima di vedere il modo con cui il Figlio dell'uomo un giorno sarebbe venuto nel suo regno (Matteo 16,28).

Quest'ultima promessa è appunto la promessa della Trasfigurazione, la quale - come scrive san Girolamo - rappresenta proprio la gloria che Cristo assumerà su se stesso il giorno della sua Parrusia, cioè del suo ritorno e giudizio. Gesù volle aspettare sei giorni - Luca dice otto giorni, ma questa differenza è dovuta a due modi diversi di contare tipici dell'antichità: Matteo conta solo i giorni intermedi, mentre Luca include anche il giorno della promessa e il giorno della Trasfigurazione - per realizzare la sua promessa, perché sei sono le età del mondo portate a perfezione, secondo il linguaggio simbolico antico.

A livello pedagogico, Gesù aspetta a realizzare la promessa per non suscitare nei restanti apostoli nessun sentimento di invidia e, allo stesso tempo, per fomentare nei tre scelti il desiderio di quella visione gloriosa.

Come mai Gesù scelse proprio Pietro, Giacomo e Giovanni? Il motivo è semplice. Gli apostoli non occupavano tutti la stessa importanza, pur essendo tutti destinati a diventare i primi vescovi della Chiesa cattolica. Pietro era il vertice della Chiesa, in quanto primo papa; Giacomo è stato il primo vescovo di Gerusalemme e primo tra gli apostoli a subire il martirio; Giovanni, indicato dal vangelo come "il discepolo che Gesù amava", era tra i dodici il teologo, quello più predisposto ad apprendere la sapienza delle cose divine. Gli stessi tre apostoli accompagneranno Cristo nell'agonia del Getsemani.

Nella seconda Domenica di Quaresima, pertanto, la Chiesa vuole proporre ai fedeli la stessa lezione che Gesù Cristo propose ai tre apostoli. Egli li portò su una montagna, il Tabor, perché è necessario distaccarsi dalle cose sensibili per elevare la propria mente verso le cose divine. In altre parole, il lavoro ascetico dell'esercizio della virtù è una condizione necessaria per partecipare della gloria divina.

Il corpo di Cristo fu trasfigurato e divenne bianco, tanto che anche le sue vesti furono travolte dal fulgore e cambiarono aspetto. I tre apostoli ricevettero la grazia di vedere dunque come sarà Gesù quando giudicherà il mondo alla fine dei tempi. E' molto bello quanto si legge nella Glossa, cioè il commento che gli anonimi monaci medievali avevano fatto alla Bibbia, a proposito delle vesti trasfigurate di Gesù: esse rappresentano i santi, perché in Isaia si legge: "Di tutti costoro tu ti rivestirai", che sono candidi come la neve perché in essi non ci sarà più la minima macchia di peccato (Isaia 49,18).

La Trasfigurazione è perciò anche una delle tante teofanie del vangelo, cioè un'occasione in cui Cristo manifesta la propria natura di Dio. Non è infatti in quanto uomo che Cristo giudicherà gli individui, ma in quanto Dio.

C'è poi da chiedersi: perché apparvero Mosè ed Elia, e perché Gesù si mostrò mentre conversava con loro? Ci sono diverse ragioni. Primo, perché molti ritenevano che Gesù fosse Mosè o Elia redivivo, ma così facendo tolse ogni dubbio agli apostoli e fece capire che egli era uno ben superiore a tutti i personaggi dell'Antico Testamento. Secondo, perché testimoniò davanti ai suoi apostoli contro i farisei, i quali lo accusavano di trasgredire la Legge di Mosè e di offendere la gloria del Padre, che egli invece rispettava sia l'una sia l'altra e per farlo ha chiamato i testimoni migliori, cioè Mosè, cui fu consegnata la Legge, ed Elia, che fu testimone più degli altri profeti della gloria divina.

Terzo, per ribadire che la vita del cristiano impone il saper affrontare - secondo giustizia e nella verità - i poteri tirannici di questo mondo. Mosè infatti affrontò il Faraone, Elia affrontò il re Acab ed entrambi rischiarono la vita. Cristo invece affronterà lo Stato ebraico e lo Stato romano, gli eletti e i pagani, e perderà la vita per acquistarci il paradiso. Così saranno chiamati a fare anche gli apostoli e i suoi successori.

Quarto, perché Gesù è il compimento delle promesse fatte da Dio sin dal peccato originale. Infatti, Mosè ed Elia rappresentano le due parti dell'Antico Testamento, secondo la dicitura ebraica, cioé la Legge e i Profeti.

Infine, la nube che avvolge Cristo e la voce che si ascolta proveniente dal cielo mostrano agli apostoli la natura trinitaria di Dio. La voce infatti è la voce di Dio Padre, che chiama Gesù ancora una volta, dopo la teofania del Battesimo nel Giordano, "Figlio mio prediletto". La nube luminosa invece rappresenta lo Spirito Santo, che avvolge nella sua carità, unisce il Padre e il Figlio e procede verso il mondo per elargire i suoi santi doni.

Il Padre quindi dice: "Questo è il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto: ascoltatelo". Cosa significa l'espressione "in cui mi sono compiaciuto"? E' un'espressione che in realtà ci fa capire che il Padre e il Figlio sono un'unica cosa in quanto alla divinità. Uno solo è infatti Dio, composto di tre relazioni diverse e sussistenti. Il Padre si compiace nel Figlio perché la volontà di uno è perfettamente riprodotta nella volontà dell'altro. San Pietro volle costruire tre tende, perché sapeva che a Gerusalemme i farisei complottavano per uccidere Gesù, e così facendo sperava di sottrarre Gesù dalle insidie che lo attendevano.

Ma la frase del Padre insegna a Pietro che la volontà di Cristo è la volontà del Padre: è dunque la stessa volontà divina quella che conduce Gesù sul Calvario. Dal Tabor al Calvario: la Quaresima procede nella consapevolezza che il Signore verrà glorioso a giudicarci.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...