sabato 28 maggio 2022

L'Ascensione di Cristo

 

Jeronimo Nadal, Ascensione di Cristo in Cielo (1593)

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20.
In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum, et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, praedicáte Evangélium omni creatúrae. Qui credíderit, et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, haec sequéntur: In nómine meo daemónia eiícient: linguis loquéntur nobis: serpéntes tóllent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super aegros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in coelum, et sedet a déxtris Dei. Illi autem profécti, praedicavérunt ubíque, Dómino cooperánte, et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 14-20.
In quel tempo, Gesù apparve agli Undici, radunatisi per mangiare, e rinfacciò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: "Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non crederà, sarà candannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni; parleranno lingue nuove; prenderanno serpenti; e, se avranno bevuto qualcosa di mortifero, questo non farà loro male; imporranno le mani ai malati e questi guariranno". E il Signore Gesù, dopo aver parlato con essi, fu assunto in Cielo e siede alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la parola con i miracoli che la seguivano.

Tra la Pasqua di Resurrezione e l'Ascensione passano quaranta giorni. Il numero quaranta, nel linguaggio biblico, indica l'umanità nel suo cammino di penitenza e purificazione. Quaranta infatti erano stati i giorni della Quaresima, che avevano avuto come riferimento i quaranta giorni di Gesù nel deserto prima di iniziare il suo ministero terreno, e quaranta sono stati i giorni in cui il Cristo risorto apparve agli apostoli, bloccati nel cenacolo dal timore delle autorità giudaiche, durante i quali Gesù insegnò loro molte cose, tra le quali i fondamenti della liturgia.

Anche questi quaranta giorni che separano la Pasqua dalla Resurrezione, infatti, significano una purificazione della Chiesa, che si rende degna e si prepara a ricevere il grande dono della Pentecoste.

Lo stile della testimonianza evangelica di Marco, oggi proclamata dalla Chiesa durante la liturgia, è molto condensato e duro, com'è suo modo di scrivere. Non c'è una netta distinzione tra le prime apparizioni di Gesù agli apostoli, cui fa in realtà riferimento la prima parte del brano evangelico in cui leggiamo che Gesù sgridò gli apostoli per la loro durezza di cuore, e il racconto dell'Ascensione.

Il vangelo di Luca è un po' più preciso e ci indica che Gesù "condusse gli apostoli verso Betania" (Lc 24,50). Ma è negli Atti degli apostoli, scritto dallo stesso san Luca evangelista, che scopriamo che l'evento dell'Ascensione si è verificato per l'esattezza sul monte degli Ulivi.

Nello stesso luogo in cui era stato consegnato agli uomini per essere crocifisso, adesso è consegnato al Padre per essere glorificato ed esaltato nella sua divinità. San Tommaso d'Aquino sottolinea l'aspetto pedagogico dell'Ascensione, che si riflette sulle tre virtù teologali.

Infatti, la visione di Cristo che ascende al Cielo con il suo corpo è servita agli apostoli - e a noi che ci facciamo loro discepoli nella dottrina cristiana - "all'aumento della Fede", perché, venendo meno la percezione sensoriale della presenza di Cristo fra di noi, capiamo che Egli avvolge nella sua presenza tutto ciò che esiste e che facciamo; è servita "al sollevamento della nostra Speranza", perché capissimo che il Bene cui dobbiamo aspirare è in alto e quindi difficile da raggiungere e tuttavia non impossibile, perché ce l'ha promesso il buon Dio; è servita "ad innalzare l’affetto della Carità", cioè ad aggiustare la mira ai nostri desideri e orientarli verso le verità eterne e avere così una visione più completa sulla realtà (chi è in alto vede più lontano rispetto a chi è in basso).

Gaetano Masciullo

sabato 21 maggio 2022

Chiedete i Sette Doni dello Spirito Santo, e li riceverete

Camminando con Vassilissa: Bigliettino per Cresima

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 23-30.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum iam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli eius: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 23-30.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete e otterrete, affinché il vostro gaudio sia completo. Vi ho detto queste cose per mezzo di parabole. Ma viene il tempo che non vi parlerò più per mezzo di parabole, ma vi parlerò apertamente del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, poiché lo stesso Padre vi ama, perché avete amato me e avete creduto che sono uscito da Dio. Uscii dal Padre e venni nel mondo ed ora lascio il mondo e torno al Padre". Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco che ora parli chiaramente e non dici parabola alcuna. Adesso conosciamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno ti interroghi: per questo crediamo che tu sei venuto da Dio".

In cammino verso la Pentecoste, in questa Quinta Domenica dopo Pasqua, la Chiesa ci ricorda che il Signore Gesù ci ha promesso che qualunque cosa chiederemo a Dio nel nome suo - cioè nell'adesione di Fede al suo sacrificio redentore che ci ha liberato dal peccato antico - la otterremo, se conforme alla sua volontà e utile al nostro progresso spirituale.

Ma non è un caso che questa promessa viene proclamata e ribadita proprio nel cammino verso Pentecoste, perché così la Chiesa vuole ricordarci che la prima cosa che dobbiamo chiedere a Dio per mezzo del Signore Gesù sono quelle virtù soprannaturali che tradizionalmente sono note con il nome di sette doni dello Spirito Santo.

La Scrittura ci mostra la storia dell'uomo, vista dalla prospettiva della Fede, che culmina in Gesù Cristo, e in essa è rispecchiata la storia di ogni individuo che intende intraprendere il cammino della santità, cioè del proprio perfezionamento spirituale.

Gesù non è venuto ad abolire il Decalogo di Mosè, cioè la legge naturale cui ogni uomo è tenuto a obbedire, ma a darne compimento, cioè perfezione. L'obbedienza al Decalogo è semplicemente il primo passo di questa via impervia che è la santità. Certamente non si può essere santi senza rispettare la Legge naturale, ma allo stesso tempo non è sufficiente rispettare quella Legge per essere santi. C'è bisogno di un'unione intima con Dio.

La ragione aveva già insegnato ai filosofi pagani che ci sono quattro virtù naturali e fondamentali, sulle quali crescono tutte le altre: prudenza, fortezza, temperanza e giustizia. La Rivelazione, poi, con san Paolo, ci ha rivelato che ne esistono tre soprannaturali: fede, speranza e carità. Le prime possono essere acquistate con l'ascesi, le seconde solo con la grazia di Dio.

Ma nel vangelo, Gesù ci invita ad andare ben oltre. Egli ci invita a desiderare e chiedere i sette doni dello Spirito Santo. Questo è il motivo per cui insegna agli apostoli la preghiera del Pater (che è infatti una raccolta di sette preghiere, una per ogni dono) e questo è il motivo per cui, nel Discorso della montagna, Gesù parla delle Beatitudini, che significano il merito e il premio di ciascun Dono.

Quando si comprende questo parallelismo tra Virtù, Doni, Beatitudini e preghiere del Pater, tutto il magistero del Signore nel vangelo acquisisce un'altra luce. Possiamo elencare i Doni in due modi diversi.

Il primo modo è quello che si rifà alle virtù corrispondenti, elencate in ordine di importanza, così com'è possibile vedere nello schema qui sopra. La prudenza infatti è la più importante delle virtù e, nell'ambito delle virtù teologali, la fede genera la speranza e insieme esse generano la carità.

Il secondo modo è quello di seguire l'ordine proposto da Gesù stesso nel momento in cui ha insegnato il Pater e ha illustrato le Beatitudini, che è l'ordine con cui Dio infonde i Doni nei suoi santi.

I Doni dello Spirito Santo che dobbiamo chiedere a Dio sono dunque questi sette:

  1. Il Timore di Dio, che è il dono a sostegno della virtù teologale della Speranza. Esso indica quella virtù che ci spinge a non offendere Dio, non per paura dell'inferno (timore servile), ma per paura di separarsi da lui (timore filiale).
  2. La Pietà, che è il dono corrispondente alla virtù cardinale della Giustizia. A livello umano, la pietà è la virtù di venerazione che ogni individuo prova per natura nei riguardi dei propri genitori. A livello mistico, dunque, la pietà intesa come Dono dello Spirito Santo è quella virtù di venerazione che ci fa relazionare con Dio come con un Padre celeste.
  3. La Scienza, che è un dono corrispondente alla virtù teologale della Fede. Essa è quella virtù infusa che ci permette di distinguere con chiarezza le cose da credere da quelle da non credere.
  4. La Fortezza, che - come suggerisce il nome - è il dono corrispondente alla virtù cardinale della Fortezza. E tuttavia non bisogna distinguere la fortezza intesa come virtù cardinale dalla fortezza intesa come dono soprannaturale. Quest'ultima, infatti, è quella virtù che ci spinge a perseverare nella grazia anche a costo della vita, mentre quella naturale è la virtù che ci spinge a perseverare nel bene.
  5. Il Consiglio, che è la virtù corrispondente alla virtù cardinale della Prudenza. Esso è quella virtù infusaci da Dio che ci dirige verso le cose bene ordinate al fine eterno oppure verso quelle cose che ci sono necessarie per ben vivere, siano esse temporali o spirituali. E' ciò che in fondo chiediamo ogni qualvolta preghiamo per chiedere luce su qualcosa da fare.
  6. L'Intelletto, che è l'altro dono corrispondente alla virtù teologale della Fede. Esso è la virtù infusa che ci permette di comprendere a fondo nei misteri di Fede, cioè nei dogmi della verità rivelataci da Dio.
  7. La Sapienza, che è il dono corrispondente alla virtù teologale della Carità. Essa è l'apica della vita mistica e spirituali ed è un dono proprio dei santi. E' la vetta del cammino ripido che porta all'unione con il Signore e cui tutti noi dobbiamo ambire. Essa indica quella perfezione della mente umana che ci spinge a seguire la volontà dello Spirito Santo, quasi come se fosse un istinto.

Gaetano Masciullo

sabato 14 maggio 2022

Gesù promette la Pentecoste

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 16, 5-14.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia haec locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: éxpedit vobis ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto, et de iustítia, et de iudício. De peccáto, quidem, quia non credidérunt in me: de iustítia vero, quia ad Patrem vado, et iam non vidébitis me: de iudício autem, quia prínceps huius mundi iam iudicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quaecúmque áudiet, loquétur, et quae ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 5-14.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Vado a Colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E, venendo, Egli accuserà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi, ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che dovrà arrivare. Egli mi glorificherà, perché ciò che riceverà da me lo annunzierà anche a voi".

Nella Quarta Domenica dopo Pasqua, la Chiesa proclama nel brano di vangelo una delle profezie di Gesù sulla Pentecoste, cioè quella che sarà la confermazione dello Spirito Santo sugli apostoli e su Maria.

Il brano odierno si apre con parole che sembrano quasi esprimere amarezza e delusione da parte di Cristo. Dopo aver predetto che sarebbe andato "a Colui che mi ha mandato" (aveva infatti in questi termini profetizzato l'Ascensione, come ricordato domenica scorsa), Gesù si aspettava una domanda ben precisa dai suoi discepoli: "Dove vai?", domanda che a quanto pare non arriva.

In realtà, tutto questo appare contraddittorio, perché è proprio nel vangelo secondo Giovanni che ben due apostoli chiedono a Gesù: "dove vai?", in seguito a sue profezie riguardanti gli ultimi episodi della sua vita terrena: il primo a fare questa domanda è san Pietro, durante l'Ultima Cena (cfr. Gv 13,36), il secondo è san Tommaso, che lamentò: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?" (Gv 14,5). Pare strano dunque che adesso Gesù si lamenti del fatto che nessuno gli abbia chiesto dove vada.

La pedagogia che Gesù adopera con gli apostoli è infatti graduale. "Molte cose ho ancora da dirvi, ma adesso non ne siete capaci". Sembra quasi che voglia dire: "Adesso che dovete chiedermi dove vado, non lo fate". La Verità, cioè il depositum fidei, che la Chiesa nascente nella persona dei Dodici dovrà custodire e trasmettere, è lo stesso Cristo Signore: "Io sono la Verità" (Gv 14,6). Ma la Verità ha bisogno di un cuore ben disposto per essere accolta come ella merita di essere accolta. Un cuore ben disposto è una volontà che mette al secondo posto i propri desideri e al primo posto i diritti di Dio.

San Tommaso d'Aquino paragona i sette Sacramenti alle fasi della vita biologica dell'uomo, perché - egli dice - la vita del corpo è riflesso della vita dello spirito, e viceversa. I Sacramenti non sono una questione di intelletto (altrimenti saremmo gnostici, non cattolici). La Pentecoste, cioè l'istituzione di quello che poi sarà il Sacramento della Confermazione o Cresima, sarà per l'anima quello che la fine dell'adolescenza significa per il corpo fisico dell'essere umano.

La nutrizione, infatti, rafforza il corpo in se stesso e dà energie per ben svolgere le proprie funzioni: questo ruolo analogo è svolto nella vita dello spirito dall'Eucarestia. Ma la maturità del corpo serve per difendersi bene dai nemici esterni e questo ruolo analogo è svolto nella vita dello spirito dalla Confermazione.

Lo Spirito Santo è forza di Dio che procede dal Padre e dal Figlio: "ciò che riceverà da me lo annunzierà anche a voi". E la sua forza è dimostrata da una triplice azione nei confronti del mondo, cioè nei confronti di coloro che non vivono secondo Dio. Non è un caso che il verbo usato da Gesù è in latino arguo, cioè "accusare".

La triplice accusa riguarda anzitutto il peccato, cioè la rottura dell'Alleanza tra l'uomo e Dio, rottura che trova il proprio fondamento nella volontà di non aderire alla rivelazione di Cristo: da questa assenza di fede sorgono poi tutti gli altri peccati e trova radicamento la superbia, cioè il peccato originale. La seconda accusa riguarda la giustizia, "perché io vado al Padre e voi non mi vedrete più". Nell'Ottava di Pasqua il Signore ci aveva mostrato la Misericordia. Ora ci ricorda che è giusto che il mondo non gusti più della presenza di Cristo, se è questo che vuole. La terza accusa riguarda il giudizio, che è il fine ultimo della Storia: la sconfitta del suo principe, cioè del diavolo, colui che ha portato nel mondo peccato e morte.

Anche noi siamo chiamati, dopo gli apostoli, a portare nel mondo il fuoco e la spada dello Spirito Santo, con cui mostrare al mondo che si può essere vittoriosi solo nella Croce e nella Resurrezione della Verità incarnata.

Gaetano Masciullo

sabato 7 maggio 2022

Brevità o Eternità della Vita?

Resurrection Sunday! - YouTube

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 16, 16-22.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Módicum, et iam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis eius ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo, quid est hoc, quod dicit: Módicum? nescímus quid lóquitur. Cognóvit autem Iesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaéritis inter vos, quia dixi: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis, et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora eius: cum autem pepérerit púerum, iam non méminit pressúrae propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos ígitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 16-22.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Ancora un poco e non mi vedrete più e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre". Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: "Che significa ciò che dice: ancora un poco e non mi vedrete più e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quello che dice". E conobbe Gesù che volevano interrogarlo e disse loro: "Vi chiedete tra voi perché abbia detto: ancora un poco e non mi vedrete più e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà e nessuno vi toglierà il vostro gàudio".

Nella Quarta Domenica di Pasqua, la Chiesa cattolica proclama una delle profezie di Gesù riguardanti la sua Resurrezione. La domanda centrale del brano è quella che gli apostoli mormorano tra loro: "Che cos'è questo poco di cui parla?"

Con il senno di poi, noi sappiamo bene che il tempo tra la Passione di Cristo e la sua Resurrezione fu effettivamente poco. Ma dietro questo apparentemente banale riferimento cronologico, soggiace un significato molto più profondo ed esistenziale. Da una parte, infatti, Gesù parla di dolore breve, mentre dall'altra parla di gioia eterna.

Questo è infatti lo statuto del cristiano che vive secondo la volontà di Dio e fa proprio il merito della Croce. Ma attenzione alla specificazione fatta da Gesù: "voi piangerete e gemerete, laddove il mondo gioirà". Il mondo - cioè gli uomini che vivono secondo le mode, secondo i desideri carnali, secondo le ideologie, secondo le ispirazioni diaboliche - ha (contrariamente al cristiano) una gioia effimera e di conseguenza è destinato a un dolore eterno. E' una condizione esattamente contraria a quella del cristiano.

Il poco di cui parla Gesù fa riferimento quindi anzitutto alla condizione della vita terrena del cristiano. Molti, ingannando, insegnano che il fine della vita umana è quello di godere, perché la sofferenza non ha senso, e dopo la morte tutto tacerà e il nostro cervello si spegnerà come un computer privo di energia elettrica. Ma la promessa di Dio, colui che ha plasmato la natura dell'uomo, è diversa: "il vostro cuore gioirà e nessuno vi toglierà il vostro gaudio". Eppure, questo gaudio non è scontato.

Bisogna passare dal Tabor, quindi dal Calvario, e solo poi arrivare sul colle della Resurrezione. Non significa che Dio è sadico e che il cristiano deve desiderare la sofferenza più di ogni altra cosa al mondo. Il cristiano non è colui che ricerca il dolore, ma colui che sa accettare il dolore, perché si affida alla Provvidenza ineffabile del Signore, e nella preghiera chiede la luce per comprenderne il significato e il senso. Il cristiano è colui che si impegna a salire sul monte della virtù, che è sempre faticosa da acquistare, ed esige privazioni. Esige sacrifici.

In confronto alla vita eterna, la nostra vita terrena è estremamente breve. La Chiesa, dunque, proclama oggi questo vangelo per ricordarci di vivere proiettati secondo l'eternità e non secondo la caducità. Solo in questo modo saremo davvero degni di essere chiamati con il nome di cristiani. Non basta essere battezzati per essere veri cristiani. Non basta parlare di Dio e di Gesù per essere veri cristiani. E' necessario mettere le virtù al centro della propria vita, fare di esse il proprio pensiero costante: tutto deve essere orientato verso la virtù e tutto deve essere mosso dal desiderio della virtù. In questo modo, saremo graditi a Dio e risorgeremo con lui.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...