sabato 24 febbraio 2024

La Trasfigurazione: anticipo del Giudizio



Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 17, 1-9.
In illo témpore: Assúmpsit Iesus Petrum, et Iacóbum, et Ioánnem fratrem eius, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies eius sicut sol: vestiménta áutem eius facta sunt alba sicut nix. Et ecce apparuérunt illis Móyses et Elias cum eo loquéntes. Respóndens áutem Petrus, dixit ad Iesum Dómine: Bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum, et Elíae unum. Adhuc eo loquénte, ecce nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube dícens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Iesus, et tétigit eos, dixítque eis: Súrgite, et nolíte timére. Levántes áutem óculos suos, néminem vidérunt, nisi solum Iesum. Et descendéntibus illis de monte, praecépit eis Iesus, dícens: Némini dixéritis visiónem donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 17, 1-9.
In quel tempo, dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato in loro presenza: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la neve. Ed ecco apparire loro Mosè ed Elia, i quali conversavano con lui. Pietro disse a Gesù: "Signore, è bene che noi stiamo qui, se vuoi faremo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li circondò e una voce dalla nuvola disse: "Questo è il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto, ascoltàtelo". E i discepoli, udito ciò, caddero col viso a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù, accostatosi, li toccò e disse: "Alzatevi e non temete". Ed essi, alzati gli occhi, videro Gesù solo. Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: "Non parlate ad alcuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo sia resuscitato dai morti".

Alla conclusione del sedicesimo capitolo del vangelo secondo Marco, Gesù rivolse ai suoi seguaci l'impellente richiesta di abbracciare la croce e aderire saldamente alla dottrina che Egli impartiva (Marco 16, 24-25). Questa esortazione, proferita in vista del prossimo Giudizio che avrebbe pronunciato sul mondo (Marco 16, 27), si concretizzava nel doveroso impegno per chi aspirasse a professarsi cristiano e ottenere la salvezza. In aggiunta, Gesù concluse il discorso con una promessa solenne: alcuni dei discepoli non avrebbero conosciuto la morte prima di assistere alla manifestazione del Regno del Figlio dell'uomo (Marco 16, 28).

Questa promessa si riferisce all'evento della Trasfigurazione, descritta da san Girolamo come la visione della gloria che Cristo rivestirà nel giorno della sua seconda venuta e del giudizio. Gesù decise di attendere sei giorni, anche se Luca menziona otto giorni (una discrepanza comune nell'antichità dovuta a differenti modalità di conteggio), per adempiere alla sua promessa, poiché il numero sei, in una prospettiva simbolica antica, rappresentava le età del mondo, portate a perfezione con la venuta di Cristo, che segnò dunque l'inizio della settima e ultima età del mondo. Dal punto di vista educativo, la scelta di Gesù di ritardare la realizzazione della promessa era motivata dal desiderio di evitare risentimenti tra gli altri apostoli e, contemporaneamente, di accrescere l'ardente desiderio di visione gloriosa nei tre eletti.

Per quale motivo Gesù selezionò specificamente Pietro, Giacomo e Giovanni? La ragione è semplice: pur essendo destinati a diventare i primi vescovi della Chiesa cattolica, gli apostoli avevano ruoli differenti. Pietro, il primo papa, costituiva la cima della gerarchia ecclesiastica; Giacomo, primo vescovo di Gerusalemme, fu il primo apostolo a subire il martirio; Giovanni, noto come "il discepolo che Gesù amava", emergeva come il teologo tra i dodici, particolarmente incline a scrutare la sapienza delle cose divine.

La Chiesa presenta oggi ai fedeli la stessa lezione che Gesù Cristo impartì ai tre apostoli. Li guidò verso una montagna, il Tabor, poiché è essenziale separarsi dalle realtà sensibili per elevarsi verso le cose divine. In altre parole, l'ascesi nell'esercizio delle virtù rappresenta una condizione imprescindibile per condividere la gloria divina. Il corpo di Cristo fu trasfigurato, assumendo un candore che si estese persino alle sue vesti, investite da una luce abbagliante che ne modificò l'aspetto. I tre apostoli furono gratificati spiritualmente dalla visione di come apparirà Gesù al momento del Giudizio finale. La Glossa, un commento biblico attribuito ad anonimi monaci medievali, propone una riflessione suggestiva sulle vesti trasfigurate di Gesù, interpretandole come simbolo dei santi. Infatti, citando Isaia, si sottolinea che essi saranno candidi come la neve, privi di qualsiasi macchia di peccato (Isaia 49,18).

La Trasfigurazione si rivela quindi come una delle numerose teofanie presenti nei vangeli, manifestazioni in cui Cristo rivela la propria natura divina. Il giudizio sugli individui, infatti, non verrà espresso da Cristo in quanto uomo, ma in quanto Dio.

La presenza di Mosè ed Elia durante la Trasfigurazione solleva interrogativi. Innanzitutto, Gesù dissipò il dubbio di coloro che pensavano che egli potesse essere una reincarnazione di Mosè o Elia, dimostrando di essere incommensurabilmente superiore a tutti i personaggi dell'Antico Testamento. In secondo luogo, fornì un testimone contro le accuse dei farisei, i quali lo accusavano di trasgredire la Legge di Mosè e di oltraggiare la gloria del Padre. Gesù, rispettando sia la Legge sia la gloria del Padre, scelse i testimoni per eccellenza: Mosè, a cui fu affidata la Legge, e Elia, testimone straordinario della gloria divina tra tutti i profeti.

Mosè ed Elia erano presenti anche per ribadire che la vita del cristiano richiede la capacità di affrontare, con giustizia e verità, i poteri tirannici di questo mondo. Mosè affrontò il Faraone, Elia si confrontò con il re Acab, entrambi rischiando la vita. Allo stesso modo, Cristo affronterà lo Stato ebraico e quello romano, gli eletti e i pagani, sacrificando la sua vita per guadagnarci il paradiso. Gli apostoli e i suoi successori saranno chiamati a fare lo stesso. Gesù, infine, rappresenta il compimento delle promesse fatte da Dio sin dal peccato originale. Mosè ed Elia, secondo la prospettiva ebraica, simboleggiano le due parti dell'Antico Testamento: la Legge e i Profeti.

La nube che avvolse Cristo e la voce che risuonò dal cielo rivelarono agli apostoli la natura trinitaria di Dio. La voce, infatti, è quella di Dio Padre, che chiama Gesù "Figlio mio prediletto", ripetendo quanto detto durante la teofania del Battesimo nel Giordano. La nube luminosa, d'altra parte, simboleggia lo Spirito Santo, avvolgendo nella sua carità e unendo Padre e Figlio, procedendo verso il mondo per dispensare i suoi santi doni.

Il Padre dichiarò quindi: "Questo è il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto: ascoltatelo". L'espressione "in cui mi sono compiaciuto" sottolinea che il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella divinità. Infatti, c'è un solo Dio composto da tre relazioni distinte e sussistenti. Il Padre si compiace del Figlio perché la volontà di entrambi è perfettamente in armonia. San Pietro, desiderando costruire tre tende a causa delle insidie che minacciavano Gesù a Gerusalemme, apprende dalla frase del Padre che la volontà di Cristo è la volontà del Padre. La stessa volontà divina guiderà Gesù dal Tabor al Calvario.

Gaetano Masciullo

sabato 17 febbraio 2024

Le tre tentazioni: gola, vanagloria, avarizia

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaeum 4, 1-11.

In illo témpore: Ductus est Iesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et, cum ieiunásset quadragínta diébus, et quadragínta nóctibus, póstea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic ut lápides isti panes fíant. Qui respóndens dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Ángelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Iesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et osténdit et ómnia regna mundi, et glóriam eórum, et dixit ei: Haec ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Iesus: Vade, Sátana: scriptum est énim: Dóminum Deum tuum adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce Ángeli accessérunt, et ministrábant ei.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 4, 1-11.

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. E, avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. E accostàtosi il tentatore, gli disse: "Se sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pani". Ma egli rispose: "Sta scritto: 'Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio'. Allora il diavolo lo trasportò nella Città Santa e lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se sei il Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: 'Ha mandato gli Angeli presso di te, essi ti porteranno in palmo di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra'". Gesù rispose: "Sta anche scritto: 'Non tenterai il Signore Dio tuo'". Di nuovo, il diavolo lo trasportò sopra un monte altissimo e gli fece vedere tutti i regni del mondo e la loro magnificenza e gli disse: "Ti darò tutto questo se, prostrato, mi adorerai". Ma Gesù gli rispose: "Vattene, Satana, perché sta scritto: 'Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo'". Allora il diavolo lo lasciò ed ecco che gli si accostarono gli Angeli e lo servivano.

Dopo aver ricevuto il Battesimo, leggiamo che il Signore Gesù è indotto in tentazione nel deserto dallo Spirito Santo. Dopo i temi del peccato, del castigo, dell'ascesi, ecco il tema della tentazione. Il tempo della tentazione è il tempo in cui, con la voce del Padre, Gesù veniva dichiarato Figlio di Dio. Ciò vuol dire che la tentazione minaccia coloro che diventano figli di Dio mediante il Battesimo, come afferma Siracide 2,1: "Figlio, avvicinandoti al servizio di Dio, stai in giustizia e timore, e prepara la tua anima per la tentazione".

Il luogo della tentazione è bene indicato con il deserto, un luogo pietroso tra Gerusalemme e Gerico dove molti - dice il vangelo di san Luca - venivano assaliti dai briganti e uccisi. In effetti, molti, assaliti dalla tentazione, vengono spiritualmente uccisi dal diavolo con il peccato mortale. Gesù qui ci insegna a riconoscere la tentazione e vincerla. 

San Tommaso d'Aquino dice che sono cinque le ragioni per cui Dio induce in tentazione l'uomo non appena riceve la grazia di Dio, o con il Battesimo oppure con la Confessione: (1) affinché l'uomo comprenda se possiede o meno la virtù della giustizia; (2) per reprimere la superbia, che è l'inclinazione della natura corrotta a ritenersi pari a Dio; (3) per conoscere la potenza di Cristo, mediante la quale si confonde il diavolo; (4) per accrescere la fortezza; (5) per comprendere la propria dignità agli occhi di Dio, perché il diavolo attacca coloro che sono in grazia. Ecco perché non deve scandalizzare il fatto che lo Spirito Santo indusse Gesù alla tentazione. Questo non vuol dire che sia Dio a tentare, perché la tentazione di per sè è una cosa cattiva se finalizzata all'inganno, e Dio è solo bene, ma che sia Dio a muovere l'uomo Gesù verso la tentazione, e questa esposizione è una cosa buona, come abbiamo visto. Tant'è vero che la Scrittura dice: "L'amore di Cristo ci spinge" (2 Corinzi 5, 14). Lo Spirito Santo è chiamato Amore nella Scrittura, ed è amore del Padre e del Figlio, e questo movimento di esposizione dell'uomo alla tentazione è un movimento fatto per amore, perché ha come fine la nostra perfezione.

Da notare anche che nel vangelo leggiamo che Gesù inizia il digiuno subito dopo il Battesimo, e non dopo la tentazione. In questo modo il Signore ci insegna che le pratiche penitenziali non servono solo a espiare il debito di pena che contraiamo con il Signore quando pecchiamo, ma anche a prevenire il peccato stesso, perché esse approntano l'anima alla guerra spirituale. 

Notiamo dunque che Gesù a un certo punto "ebbe fame", ed è in questa sua manifestazione di umanità che satana si rende presente con la sua tentazione. Ora notiamo che il vangelo mostra tre generi di tentazione: la gola, la vanagloria, e l'avarizia. Il diavolo comincia sempre assediando la parte più debole dell'uomo, che è la carne, non lo spirito, perché peccando nella carne tutto l'uomo diviene mal disposto per ricevere e conservare la grazia. E dei vizi carnali, il più facile da vincere non è la lussuria, ma la gola. Satana dice: "Se sei il Figlio di Dio, ordina alle pietre di diventare pani". Qui vediamo che satana illude il tentato nella carne che non avrà conseguenze spirituali gravi, ma forse persino positive. Gesù con la sua risposta - "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" - insegna al tentato tre cose utili alla vittoria: (1) la necessità di meditare bene sulla Parola di Dio; (2) la necessità di non acconsentire nulla a ciò che il Nemico propone, anche se sembra privo di peccaminosità; (3) la necessità di fare solo ciò che porta a veri benefici, cioé alla gloria di Dio e al benessere integrale della persona umana, perché tutto il resto è vanità. 

Dopo aver assediato nella parte più debole dell'uomo, satana attacca facendo leva sulla vanagloria, che dei sette vizi capitali è la primogenita, la figlia prediletta della superbia. Quindi satana spinge Gesù a salire su un pinnacolo del Tempio di Gerusalemme, e lo invita a buttarsi giù. Questo è il paradosso della superbia, che vorrebbe portare in alto l'uomo, ma invece lo fa precipitare, come già satana precipitò. Ora la vanagloria, prima tra i vizi, danneggia la prima delle virtù, che è la prudenza: esporsi volontariamente al pericolo e alla tentazione è però non solo un atto imprudente, ma un peccato, perché siamo noi a voler tentare, mettere alla prova la potenza di Dio. Ecco perché la risposta di Gesù al diavolo è una risposta sapiente: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo".

Quindi, arriva la terza tentazione, quella dell'avarizia. Scrive san Paolo che "l'avarizia è la radice di tutti i mali". Attenzione: non è il peccato che genera tutti gli altri (quello è la superbia), ma quello che li nutre, come fa una radice con la pianta. Di conseguenza, dopo aver fallito nella gola e nella vanagloria, satana cerca di sconfiggere l'uomo nei desideri dei mezzi che conducono al piacere disordinato. Notiamo però che il diavolo è bugiardo nella promessa, e superbo nella richiesta: "Tutti i regni del mondo ti darò, se prostrandoti mi adorerai come Dio". Gesù dunque risponde cacciandolo e dicendo: "A Dio solo la gloria". Nel dire questo, Cristo insegna a riconoscere che tutti i beni temporali non provengono dal diavolo, ma da Dio, che li distribuisce e amministra secondo la sua imperscrutabile volontà, e ogni uomo risponderà dell'uso buono o malvagio che fa di tali beni temporali. Notiamo anche come il Signore Gesù ferma la tentazione, quando dice: "Va' via, satana", insegnandoci così che non bisogna mai dialogare con il Nemico, non bisogna mai coltivare il pensiero che riusciamo a riconoscere come pensiero diabolico.

Gaetano Masciullo

sabato 10 febbraio 2024

Quinquagesima: l'uomo è chiamato a vincere se stesso

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 18, 31-43.

In illo témpore: Assúmpsit Iesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Ierosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradétur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Iéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Iesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Iesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Iesus, iussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Iesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo.

Séguito del S. Vangelo secondo Luca 18, 31-43.

In quel tempo, Gesù prese a parte i Dodici e disse loro: "Ecco, andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto dai profeti sul Figlio dell’uomo. Poiché sarà dato nelle mani della gente e sarà schernito, flagellato e sputato: e dopo che l’avranno flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà". Ed essi non compresero nulla di tutto questo, un tal parlare era oscuro per essi e non comprendevano quel che diceva. E avvenne che, avvicinandosi a Gerico, un cieco se ne stava sulla strada mendicando. E udendo la folla che passava, domandava cosa accadesse. Gli dissero che passava Gesù Nazareno. E quegli gridò e disse: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me". E quelli che andavano avanti lo sgridavano perché tacesse. Ma egli gridava sempre più: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me". E Gesù, fermatosi, ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, lo interrogò dicendo: "Cosa vuoi che ti faccia?" E quegli disse: "Signore, che io veda!". E Gesù gli disse: "Vedi: la tua fede ti ha salvato". E subito vide, e lo seguiva magnificando Dio. E tutto il popolo, vedendo ciò, rese lode a Dio.

Gli antichi liturgisti interpretavano la guarigione del cieco di Gerico - scrive dom Guéranger - come simbolo dell’accecamento dei peccatori. Il cieco riacquistò la vista perché avvertiva il proprio stesso male e desiderava guarire. La santa Chiesa vuole che avvertiamo lo stesso desiderio e ci assicura che sarà esaudito. Ma per ottenere questa guarigione, l'uomo deve ben disporsi: ecco perché nella Domenica di Quinquagesima ci viene offerto un modello molto particolare su cui meditare.

Dopo aver meditato sul tema del peccato originale e del castigo divino, ecco che la Chiesa ci spinge a meditare sul tema della vocazione. Dio chiama l'uomo a cambiare vita e ad aderire pienamente alla sua santissima volontà, e in questa corrispondenza consiste la felicità piena dell'uomo, sin da questa vita.

Il cammino dell'uomo verso Dio è ascensionale, va dal basso verso l'alto, e l'acquisizione delle quattro virtù cardinali è il primo passo importante per intraprendere tale cammino. Ecco perché la Chiesa, nella Domenica di Quinquagesima, invita a considerare Abramo come modello del cristiano che, in cammino con Dio, perfeziona se stesso per poi accogliere la chiamata, la vocazione del Signore. Abramo è un uomo sagace e prudente. Per preservare la vita sua e di sua moglie Sara dall’avidità del faraone, egli la presenta alla corte egizia come sua sorella, piuttosto che come sua consorte (cfr. Genesi 12, 10-20), ma nel fare ciò non mente, perché ella era davvero sua parente. Ecco dunque la prima delle virtù cardinali, anzi il "cardine dei cardini", cioé la prudenza.

Ma Abramo non è solo un uomo prudente: è anche un uomo giusto. Le sue relazioni con il parente Lot sono un esempio di equità. Le loro proprietà, ricche di greggi, armenti, soldati e sudditi, rendevano difficile la convivenza nello stesso territorio. Quando scoppiò una disputa tra i sudditi di Abramo e quelli di Lot, il patriarca agì con saggezza: invece di innescare una guerra, scelse di dividere il territorio in modo equo, rispettando le esigenze di entrambe le tribù. “Non voglio discordia tra noi”, disse ad Lot, “siamo fratelli. Tutto il paese è davanti a noi. Separiamoci: tu a sinistra, io a destra; o viceversa” (Genesi 13, 8-9).

Abramo è anche modello di fortezza. Gli uomini dell’Antico Testamento, a partire da Abramo, erano sovrani e condottieri militari. Nel capitolo 14 di Genesi, scoppia una grande guerra tra popoli pagani e crudeli, minacciando la pace e la concordia delle tribù di Abramo e Lot. Durante alcune scorribande, i nemici pagani catturano Lot e molti dei suoi averi e dei suoi sudditi. La risposta di Abramo fu fulminea: radunati trecentodiciotto uomini, nell’oscurità della notte, colpisce il nemico, liberando il parente e tutta la sua tribù (cfr. Genesi 14, 1-16).

Abramo è anche modello di temperanza. Dopo aver sconfitto la confederazione pagana, il re di Sodoma offre ricchezze al grande patriarca, in cambio dei sudditi di Abramo. Tuttavia, Abramo rifiuta: “Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra: né un filo, né un legaccio di sandalo, niente prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abramo. Per me niente, se non quello che i servi hanno mangiato; quanto agli uomini che sono venuti con me, […] essi stessi si prendano la loro parte” (Genesi 14, 22-24). 

Dopo aver dimostrato la propria virtù naturale, Abramo riceve la rivelazione divina. Dio gli promette una discendenza numerosa, simbolo della Chiesa, e la nascita di un figlio, Isacco, prefigurazione del Redentore, Gesù Cristo. In seguito, il Signore cambia il nome di Abramo: “Non sarai più chiamato Abram, ma Abramo, perché ti renderò padre di molte nazioni” (Genesi 17, 5). I due nomi possono sembrare simili, ma in ebraico, Abram significa “padre esaltato” o “padre forte”. Questo nuovo nome, Abraham, "padre di una moltitudine", richiama invece la perfezione spirituale promessa da Dio.

Gaetano Masciullo

sabato 3 febbraio 2024

Sessagesima: Dio castiga il peccato

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 8, 4-15.

In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Iesum, díxit per similitúdinem: Éxiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres caéli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtae spinae suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Haec dícens clamábat: Qui habet áures audiénti, audiat. Interrogábant áutem eum discípuli eius, quae esset haec parábola. Quíbus ipse díxit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris áutem in parábolis: ut vidéntes non vídeant, et audiéntes non intélligant. Est áutem haec parábola: Semen est verbum Dei. Qui áutem secus viam, hi sunt qui áudiunt: deínde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audíerint, cum gáudio suscípiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus crédunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod áutem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus, et divítiis, et voluptátibus vitae eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod áutem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 8, 4-15.

In quel tempo, radunandosi una grandissima folla di popolo e accorrendo gente intorno a Gesù da tutte le città, Egli disse questa parabola: "Andò il seminatore a seminare la sua semenza e, nel seminarla, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono; parte cadde sopra le pietre e, nata che fu, seccò, perché non aveva umore; parte cadde fra le spine e le spine che nacquero insieme la soffocarono; parte cadde in terra buona e, nata, fruttò cento per uno". Detto questo esclamò: "Chi ha orecchie per intendere, intenda". E i suoi discepoli gli domandavano che significasse questa parabola. Egli disse: "A voi è concesso di intendere il mistero del regno di Dio, ma a tutti gli altri solo per via di parabola: affinché, pur vedendo non vedano e udendo non intendano. La parabola dunque significa questo: la semenza è la parola di Dio. Ora, quelli che sono lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli caduti sopra la pietra sono quelli che udita la parola l’accolgono con allegrezza, ma questi non hanno radice: essi credono per un tempo, ma nell’ora della tentazione si tirano indietro. La semenza caduta tra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma a lungo andare restano soffocati dalle sollecitudini, dalle ricchezze e dai piaceri della vita e non portano il frutto a maturità. La semenza caduta in buona terra indica coloro che in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata e portano frutto mediante la pazienza.

Con la Domenica di Sessagesima (sessanta giorni prima di Pasqua), ci troviamo ad affrontare il secondo tema penitenziale, ovvero il Diluvio universale, che segna l'inizio della "seconda età del mondo", come dicevano i maestri medievali. In termini più diretti, oggi la Chiesa ci ricorda una verità di fede, forse scomoda, ma non per questo falsa, ossia che Dio castiga i peccati, spesso sin da questa vita. 

La punizione per i peccati è una diretta conseguenza del peccato, sia esso originale o personale. All'epoca di Noè, l'umanità viveva immersa nella malizia e nell'iniquità. "La terra è dunque piena di iniquità per causa loro, ed ecco io li sterminerò dalla terra" (Genesi 6, 13b) - questa è la terribile sentenza divina che possiamo leggere nella Scrittura. Ancora oggi, tuttavia, gli uomini vivono per lo più immersi nella malizia e nell'iniquità, sebbene Dio si sia incarnato e abbia sofferto personalmente per salvare gli uomini dal peccato e dalle sue conseguenze.

È interessante soffermarsi sulla parola "iniquità", che rappresenta uno dei tanti modi in cui la Scrittura indica il peccato originale e gli innumerevoli peccati personali che ne derivano, come da una fonte contaminata. Il termine "iniquità" deriva dal latino "non aequus", che significa "disuguale". Questa etimologia ci suggerisce che la condizione umana nel peccato originale comporta una situazione di disuguaglianza, sia nei confronti degli altri individui sia nei rapporti con Dio. La giustizia originale, ora perduta, implicava invece una condizione di uguaglianza tra gli uomini e Dio.

Tuttavia, non illudiamoci. Non è possibile ripristinare l'uguaglianza su questa terra, data la nostra attuale condizione di peccatori. Tutte le utopie politiche moderne, le grandi ideologie del Novecento che rischiano ancora oggi di trascinare l'umanità in guerre sanguinose e inutili - mi riferisco al socialismo in tutte le sue forme, dal comunismo più radicale al nazismo e al fascismo, fino alla "democrazia liberale" di stampo keynesiano, ma anche alle utopie travestite con termini religiosi cristiani, come il millenarismo - vengono disapprovate dalla dottrina cattolica: non è possibile stabilire una società egualitaria su questa terra.

Addirittura, la dottrina cattolica ci insegna che non è giusto cercare l'uguaglianza in questa vita. La giustizia suprema di Dio ci ha posto in uno stato di iniquità e disuguaglianza, e attraverso questa disuguaglianza possiamo riscattarci (per quanto possibile) compiendo il bene. Possiamo dunque comprendere che la disuguaglianza è un castigo nel senso più nobile del termine: ciò che ci rende casti, puri. Talvolta ci soffermiamo sull'idea di castigo come qualcosa di negativo, quasi una crudeltà gratuita e sadica, ineluttabile. Tuttavia, chi di noi, quando era bambino, non è stato messo in castigo dai propri genitori per le marachelle? E chi di noi, da adulti, percepisce oggi quel castigo come un atto malvagio dei genitori? Sappiamo che quella punizione aveva lo scopo di educarci e migliorarci.

Ancora di più, Dio, che è Padre ed è, per così dire, un genitore migliore di tutti i genitori del mondo, fa lo stesso. La disuguaglianza, se diventa una risorsa per il nostro miglioramento spirituale e materiale, diventa una ricchezza. Gli uomini al tempo di Noè avevano trasformato la propria disuguaglianza in iniquità, una fonte di malizia, e furono sommersi dal castigo del Diluvio, che simbolicamente rappresenta l'annegamento nei propri vizi e la perdizione eterna dell'uomo peccatore, ma anche la purificazione dell'uomo giusto attraverso il Battesimo.

Noi possiamo cancellare la nostra iniquità solo attraverso la grazia di Dio, proveniente dai sacramenti, dalla preghiera e dall'esercizio della carità. In questo modo, la nostra condizione di iniquità, sebbene non possa essere del tutto rimossa almeno fino alla Resurrezione dei corpi, può diventare una condizione di beatitudine e di felicità piena e autentica.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...