sabato 16 ottobre 2021

Perdonare "di cuore" il fratello: cosa significa?

 Il Vangelo del giorno. Commenti e approfondimenti: Giovedì ...

Vangelo della XXI Domenica dopo Pentecoste
(forma straordinaria del rito romano)

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 18, 23-35.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: "Assimilátum est regnum coelórum hómini regi, cui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum coepísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret unde rédderet, iussit eum dóminus eius venúmdari, et uxórem eius, et fílios, et ómnia quae habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: 'Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi'. Misértus autem dóminus servi illius, dimísit eum, et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: 'Redde quod debes'. Et prócidens consérvus eius, rogábat eum, dicens: 'Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi'. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi eius quae fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quae facta fúerant. Tunc, vocávit illum dóminus suus, et ait illi: 'Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum?'. Et irátus dóminus eius, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus coeléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris".

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 18, 23-35.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. E avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma, non avendo costui modo di pagare, il padrone comandò che fosse venduto lui, sua moglie, i figli e quanto aveva, e così fosse saldato il debito. Il servo, però, gettatosi ai suoi piedi, lo supplicava: 'Abbi pazienza con me e ti renderò tutto'. Mosso a pietà, il padrone lo liberò, condonandogli il debito. Ma il servo, partito da lì, trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento denari: e, presolo per la gola, lo strozzava dicendo: 'Pagami quello che devi'. E il compagno, prostratosi ai suoi piedi, lo supplicava: 'Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto'. Ma quegli non volle e lo fece mettere in prigione fino a quanto lo avesse soddisfatto. Ora, avendo gli altri compagni veduto tal fatto, se ne attristarono grandemente e andarono a riferire al padrone tutto quello che era avvenuto. Questi allora lo chiamò a sè e gli disse: 'Servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai pregato: non dovevi dunque anche tu aver pietà di un tuo compagno, come io ho avuto pietà di te?'. E, sdegnato, il padrone lo diede in mano ai carnefici fino a quando non avesse pagato tutto il debito. Lo stesso farà con voi il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello".

La parola qui illustrata dal Signore ha un fine molto chiaro: Dio perdonerà i nostri peccati, se impareremo a perdonare il fratello di cuore. Questa espressione - "perdonare di cuore" - è spesso fraintesa. E la ragione del fraintendimento è stata spiegata più volte nelle nostre riflessioni domenicali.

"Cuore" oggi è una parola che metaforicamente indica le passioni, le emozioni, l'amore inteso come sentimento. Il cuore indica un atto razionale, ossia il consenso della volontà. Si può dunque perdonare il prossimo perché si sa che è giusto perdonare, ma questo è un perdono imperfetto, anche se già meritevole agli occhi di Dio, perché compiamo un'azione misericordiosa per amor suo.

C'è poi appunto il perdono perfetto, quello che si esegue non solo per amore di Dio, ma anche per amore del prossimo perdonato. Si tratta evidentemente di un livello più alto di perdono e che tuttavia non è esente da prudenza. Infatti, il perdono del prossimo non deve essere incondizionato, ma disinteressato. Inoltre, il perdono (che costituisce la quinta opera di misericordia spirituale: "perdonare le offese") non deve andare a scapito della giustizia, perché giustizia e misericordia sono collegate tra loro come le due facce di una stessa medaglia.

Cosa significa un perdono disinteressato ma non incondizionato? Dalla parabola odierna, impariamo che neanche il perdono di Dio è incondizionato, cioé "senza condizioni". Infatti Gesù dice: "Se farete così, allora Dio farà altrettanto". La condizione del perdono divino è la nostra azione meritoria. E tuttavia, quel perdono è disinteressato, cioé "senza interesse": infatti, Dio è perfettamente beato, non guadagna nè perde niente della sua beatitudine con o senza le nostre offese, cioé i nostri peccati, eppure, poiché è Amore in pienezza, egli diffonde misericordia e giustizia, così come il Sole diffonde luce, calore e vita, pur rimanendo perfetto in se stesso. Allo stesso modo, il perdono umano non deve essere incondizionato: deve cioè dar conto dell'altrui pentimento.

Inoltre, il perdono non va mai a scapito della giustizia. Quando succede, si applica una versione distorta della misericordia. Cosa significa questo? Bisogna distinguere le esigenze di ognuna, pur tenendole congiunte, così come fa Dio. A livello umano, infatti, il perdono delle offese altrui è una questione morale, quindi intima e individuale, mentre la giustizia può assumere una dimensione sociale.

Non tutti i peccati sono reati (si intende qui come reato non la violazione della legge arbitrariamente imposta dagli uomini, ma la violazione del diritto e della legge naturale), ma tutti i reati sono peccati. Questo perché la dimensione morale è più generale della dimensione politica. La misericordia - si diceva - è questione morale, non politica. La politica deve amministrare la giustizia (quindi, in parole povere, deve punire tutte le violazioni contro la proprietà: il corpo, gli averi, ecc.). Quando dunque si commette un reato, certamente la vittima è tenuta moralmente (quindi mai costretta) a perdonare l'oppressore e il perdono ha come effetto la pace dell'anima della vittima, cioé l'estinzione dell'ira e del desiderio di vendetta; ma l'oppressore è chiamato comunque a espiare, cioè a riequilibrare la giustizia.

Lo vediamo bene anche nell'amministrazione del Sacramento della riconciliazione, amministrazione del perdono per eccellenza. Non basta provare pentimento per il peccato e ricevere l'assoluzione per soddisfare la giustizia divina. L'assoluzione rimuove certamente la colpa, cioè il peccato in se stesso, agli occhi di Dio, ma rimane da amministrare la giustizia, cioè riequilibrare gli effetti distruttivi del peccato. A tal fine, il Sacramento penitenziale è completo solo grazie all'esecuzione di una appropriata penitenza, da eseguire in questa vita oppure nell'altra, nel Purgatorio, come dice la stessa parabola: "E, sdegnato, il padrone lo diede in mano ai carnefici fino a quando non avesse pagato tutto il debito".

Gaetano Masciullo

sabato 2 ottobre 2021

Breve storia della Solennità della Beata Vergine del Rosario

Il 7 ottobre, la Chiesa cattolica festeggia la Solennità della Beata Vergine del Rosario, sottolineando così il grande e fondamentale valore che questa devozione assume per i credenti. E' prassi anticipare questa festa, quando essa cade in giorno feriale, alla domenica precedente.

I santi Giorgio Preca e Giovanni Paolo II, figure chiave per l'introduzione nel rosario dei Misteri della luce

La devozione al rosario è molto antica. Essa nasce nel Medioevo, forse per opera dei monaci cistercensi. Per venire incontro all'esigenza di molti religiosi e laici che intendevano recitare ogni giorno integralmente tutti i 150 Salmi, ma che per ignoranza o mancanza di tempo non riuscivano a farlo, i monaci sostituirono i Salmi con 150 Avemaria, cioè la preghiera mariana per eccellenza presente nella Scrittura, intervallate da 15 Pater. Risultavano così 15 decine, che i monaci assegnarono a 15 Misteri della vita di Gesù e Maria e dei quali i Salmi sono (anche) prefigurazione. Questi 15 Misteri furono raggruppati in tre "generi fondamentali", ognuno composto di cinque misteri: Misteri della gioia, del dolore e della gloria. Nel 2002, il papa san Giovanni Paolo II, con l'enciclica Rosarium Virginis Mariae, riprendendo probabilmente la pratica introdotta privatamente dal santo carmelitano Giorgio Preca [1880-1962] (da lui beatificato l'anno prima), estese il numero dei Misteri del rosario a 20, introducendo altri cinque misteri della luce.

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Agnolo Daddi, Madonna della cintola (XIV secolo), Duomo di Prato, cappella del Sacro Cingolo. Da notare la Madonna circondata da figure angeliche che consegna la cinta tra le mani dell'apostolo san Tommaso

Eppure, le radici della devozione al rosario sono ancora più antiche del Medioevo, perché si rifanno a un simbolo che risale addirittura all'età apostolica. Stiamo parlando della cintola della Madonna, che, secondo la tradizione, sarebbe stato l'unico oggetto rimasto sul letto di Maria al momento della sua Assunzione al Cielo. L'apostolo san Tommaso prese in custodia la reliquia e la portò con sè durante le sue missioni evangelizzatrici in India, dove poi trovò il martirio. Poco tempo prima di morire, il santo apostolo, comprendendo il pericolo cui andava incontro, affidò la cintola a un sacerdote cristiano di rito orientale. La famiglia di costui conservò gelosamente il tesoro, fino a quando, nel XII secolo, un pellegrino crociato pratese, tale Michele Dagomari, sposò a Gerusalemme l'ultima discendente di quel sacerdote e ricevette in dote anche la sacra reliquia. In punto di morte, quell'uomo pio donò la sacra cintola al Duomo di Prato, dov'è ancora oggi custodita.

La Supplica: ecco la storia della Madonna di Pompei
L'icona più celebre della Madonna del Rosario è forse quella legata al Santuario di Pompei, di autore ignoto. Il Bambinello, in braccio a Maria, dona la "cintola" del rosario a San Domenico, mentre Maria la dona a Santa Rosa da Lima

Per questa ragione, l'iconografia della Madonna del Rosario si sovrappose in seguito, nello stile, a quello della Madonna della Cintola. L'altro avvenimento fondamentale nella storia di questa devozione risale al 1214, quando il santo fondatore dell'Ordine dei predicatori, san Domenico Guzman, ricevette l'apparizione della Vergine, la quale chiese la recita del rosario per debellare l'eresia dei catari, che all'epoca imperversava nella Provenza e nell'Italia settentrionale, gettando grave scandalo tra i più semplici (tanto per dirne una, i catari furono antesignani dell'eutanasia: lasciavano morire di fame anziani e malati per disprezzo nei confronti della corporeità).

Anche dopo l'effettiva scomparsa dell'eresia catara, i domenicani furono di fatto i principali diffusori della devozione del rosario in Europa. C'è quindi un terzo evento importante legato a questa diffusione. Il 7 ottobre 1571, l'Europa cattolica, minacciata dall'Oriente islamico, costituì con la benedizione del papa san Pio V una Lega Santa, sotto l'egida di Venezia e della Spagna, e sconfisse la flotta invaditrice dell'Impero ottomano. I soldati cristiani attribuirono il merito della vittoria alla recita del rosario. Si narra che il papa venne a conoscenza della vittoria tramite una locuzione interiore, ancor prima che i nunzi veneziani potessero recare la notizia a Roma. Per rimarcare l'importanza che quella data assunse per la Cristianità intera, il papa istituì per quel giorno la solennità di Maria Regina delle Vittorie, poi diventata Beata Vergine del Rosario per volere di Gregorio XIII, per rimarcare che la vittoria si ottiene grazie a questa meravigliosa preghiera.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...