sabato 27 agosto 2022

Chi è il mio prossimo?

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Luca 10, 23-37
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens iustificáre seípsum, dixit ad Iesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Iesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Ierúsalem in Iéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera eius, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in iuméntum suum, duxit in stábulum, et curam eius egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Iesus: Vade, et tu fac simíliter.

Luca 10, 23-37
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete. Vi dico, infatti, che molti profeti e re vollero vedere le cose che vedete voi, e non le videro; e udire le cose che udite voi, e non le udirono". Ed ecco, un dottore della legge si alzò, tentandolo e dicendo: "Maestro, cosa devo fare per possedere la vita eterna?". Gesù rispose: "Che cosa è scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?". E quello: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai detto bene. Fai questo e vivrai". Ma quegli, volendo giustificarsi, chiese a Gesù: "E chi è il mio prossimo?". Allora Gesù prese a dire: "Un uomo, mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico, si imbatté nei briganti, che lo spogliarono e, feritolo, se ne andarono lasciandolo semivivo. Avvenne allora che un sacerdote discendesse per la stessa via: visto quell’uomo, egli passò oltre. Similmente un levita, passato vicino e avendolo visto, si allontanò. Ma un samaritano, che era in viaggio, arrivò vicino a lui e, vistolo, ne ebbe compassione. Accostatosi, gli fasciò le ferite versandovi l’olio e il vino e, messo sulla propria cavalcatura, lo condusse in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tratti fuori due denari, li dette all’albergatore, dicendo: 'Abbi cura di questi e quanto spenderai in più te lo rimborserò al mio ritorno'. Chi di quei tre ti sembra che sia stato prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei ladroni?". Il dottore rispose: "Colui che ebbe compassione". E Gesù gli disse: "Vai e fai lo stesso anche tu".

Chi è il mio prossimo? E' una domanda che interroga ancora oggi il cuore e la mente dell'uomo.

Secondo la mentalità giudaica del tempo di Gesù, il prossimo di cui parla la Scrittura si riferirebbe esclusivamente agli altri appartenenti del popolo ebraico. Gesù invece era venuto a insegnare il vero senso della Rivelazione data da Dio a Mosè, il senso originario: un uomo è prossimo di qualcuno quando sa operare misericordia. A prescindere dalla razza, dal sesso, dall'età, dalla religione.

Per questa ragione, il vangelo ci dice oggi che il dottore della Legge, conoscendo l'insegnamento del Cristo, decise di "tentarlo" ponendogli una domanda fondamentale: cosa fare per possedere la vita eterna? Ma Gesù non gli fornisce alcun insegnamento nuovo: la Rivelazione parla da se stessa. Per questo motivo, la risposta di Gesù rimanda alla stessa Legge di cui il dottore in teoria sarebbe un esperto: "Cosa dice la Legge? Che cosa vi leggi?".

La pronta risposta del legisperito - "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Deuteronomio 6, 5) e "amerai il tuo prossimo come te stesso" (Levitico 19, 18) - è seguita da un'altra domanda, il vero punto di arrivo di tutta la provocazione: "E chi è il mio prossimo?". Il dottore, infatti, tentava di portare in fallo Gesù, ma il vangelo ci dice anche che quell'uomo pose questa domanda "per giustificarsi", cioè per motivare il senso di quelle domande e non sfigurare, dal momento che egli risultava agli occhi del popolo un esperto della Scrittura.

Anche in questo caso, la risposta del Signore è per noi maestra già nella strategia adottata. Egli non dà una risposta secca, del tipo: "Chiunque opera misericordia, a prescindere dall'appartenenza sociale". Egli vuole accompagnare la ragione e il sentimento di quel dottore della Legge verso la conoscenza della verità.

Per dimostrare che la misericordia non dipende dall'appartenenza a questo o a quell'altro popolo, nella parabola Gesù prospetta il caso di un sacerdote e di un levita (dunque due israeliti) che passano vicino a un loro confratello, tramortito dai briganti, ma passano oltre, ignorandolo.

L'unico che si ferma a curare il povero meschino è un samaritano. All'epoca di Gesù, i giudei disprezzavano i samaritani, perché avevano effettivamente rinnegato la fede di Abramo e avevano adottato una religione bizzarra e sincretista, dove i precetti mosaici si confondevano con le superstizioni locali. Eppure Gesù sceglie un samaritano per rappresentare l'uomo misericordioso (anche nel vangelo secondo Giovanni, sarà una donna samaritana al pozzo a riconoscere il carisma profetico di Cristo).

Ma la parabola del buon samaritano ha anche un'altra dimensione, certamente più importante. A un'attenta lettura, ci accorgiamo che il legisperito chiede: "E chi è il mio prossimo?". Come a dire: "Chi è colui che opera misericordia nei miei riguardi?". O ancora: "Chi è il samaritano che si prende cura di me?". In questo senso, ciascuno di noi può rivedersi nel dottore della Legge. E la parabola di Gesù assume un significato più grande. Gesù Cristo diviene infatti il buon samaritano dell'umanità intera.

Così possiamo leggere questa parabola con altri occhi. L'uomo che viene aggredito dai briganti rappresenta ogni uomo (in effetti, il vangelo non indica se questi era davvero israelita o piuttosto di un'altra appartenenza). Facciamo attenzione anche al percorso geografico indicato dal Signore, un'indicazione non casuale: "un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico", cioè fuor di metafora si spostava da uno stato di grazia (Gerusalemme) a uno stato di disgrazia (Gerico, che era una città siriana e pagana).

Durante questo percorso, l'uomo si imbatte nei briganti, che lo aggrediscono, lo spogliano e lo lasciano "semivivo". I briganti rappresentano il diavolo, che lo aggrediscono, cioè gli muovono violenza con le tentazioni; lo vincono e lo spogliano, cioè gli tolgono tutti gli abiti spirituali che la grazia divina aveva donato all'uomo; infine lo lasciano quasi morto, perché tale è la condizione di chi non vive in grazia di Dio: vive nel corpo, ma il suo spirito è privo di afflato vitale.

Il sacerdote e il levita non furono in grado di aiutare quell'uomo. San Giovanni Crisostomo commenta questo passo scrivendo che "nè il sacerdote Aronne fu in grado di aiutare con il sacrificio, nè il levita Mosè con la Legge". Gesù Cristo invece, "buon samaritano", perché disprezzato dai suoi contemporanei in quanto proveniente da Nazareth, quasi come fosse un pagano, è venuto a redimere l'uomo con la sua croce.

Ecco allora che il samaritano si ferma, cioè Dio si incarna; si prende cura dell'uomo semivivo, cioè lo istruisce; lo cura con il vino e con l'olio - cioè gli dona i sacramenti, veicolo di grazia, in particolare l'Eucarestia e la Confessione.

Infine lo carica sul suo destriero. Quest'azione ricorda la croce di Gesù, che prende su se stesso il peccato del mondo per espiarlo. E lo porta nell'albergo, che è immagine della Chiesa, dove l'uomo rimane al sicuro fino "al ritorno" di quel samaritano, cioè fino alla fine dei tempi. E secondo sant'Ambrogio, i due denari rappresentano i due testamenti che compongono la Scrittura, mentre l'espressione "quanto spenderai in più te lo rimborserò al mio ritorno", significa che quando il Signore verrà per giudicare il mondo ricompenserà grandemente quegli uomini fedeli che avranno contribuito alla salvezza dell'umanità offrendo se stessi come "sacrificio vivente gradito a Dio", realizzando le parole dell'apostolo Paolo: "completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Colossesi 1, 24).

Gaetano Masciullo

sabato 20 agosto 2022

Effatà! Dio guarisce la mente dell'uomo

 


Vangelo proclamato nella XI Domenica dopo Pentecoste (Vetus Ordo Missae)

Questa Domenica è chiamata tradizionalmente la "Domenica del sordomuto". Nel brano di vangelo proclamato quest'oggi, Gesù si trova in pieno territorio pagano.

Gesù infatti sta tornando dalla Fenicia, attraversando la Decapoli, e qui trova qualcuno che gli conduce un sordomuto. I Dottori della Chiesa sono pressoché unanimi nel ritenere che questo sordomuto rappresenta tutta l'umanità, al di fuori del popolo ebraico.

Il sordomuto era sicuramente un pagano, che non conosceva la religione ebraica, non era cresciuto nella Legge di Mosè e, pertanto, non conosceva le promesse antiche della redenzione, che Dio aveva fatto sin dai tempi di Adamo.

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Decapoli: "regione delle dieci città". In corsivo, sono indicate sulla mappa le città che costituivano questa confederazione.

Gesù guarisce il sordomuto nel corpo, ma certamente lo guarisce ancor prima nello spirito e nell'anima ed è interessante analizzare i gesti che Egli compie prima del miracolo.

Anzitutto, ci dice il vangelo secondo Marco, Gesù allontana il sordomuto dalla folla. In effetti questo è necessario: per lasciarsi guarire dal Signore, bisogna allontanarsi dal mondo, inteso non come il mero allontanamento fisico dagli altri, una mera misantropia, ma come la ferma volontà di ripudiare le mode, le ideologie, le false dottrine che imperversano tra le folle, lontane dalla verità di Cristo. Il Catechismo ci insegna infatti che tre sono i grandi nemici del cristiano: il diavolo, la carne e il mondo.

In secondo luogo, il Cristo «mise le sue dita nelle orecchie del sordo [e] con la saliva gli toccò la lingua».

La condizione fisica del sordomuto è immagine della condizione di ogni uomo e di ogni donna privi del Battesimo: senza la grazia, è impossibile ascoltare, cioé comprendere la Parola di Dio, e parlare, cioé dare retta testimonianza.

Il Signore guarisce, apre le orecchie e scioglie la lingua, non solo del corpo, ma anche e soprattutto dello spirito.

Il Battesimo

E infatti l'evangelista aggiunge un dettaglio molto importante: «si sciolse il nodo della lingua e [il sordomuto] parlò rettamente». L'aggiunta di questo avverbio, "rettamente", ci fa capire che la guarigione riguarda la parola del sordomuto, intesa non solo come capacità vocale, ma come capacità di concetto, e quindi l'intera mente, l'intera ragione di quell'uomo beato, graziato dal tocco di Dio, era stata guarita da Gesù.

Questo è il motivo per cui la Chiesa cattolica, ancora oggi, nel rito del Battesimo, ripropone gli stessi gesti che Cristo compì per guarire questo sordomuto.

Gaetano Masciullo

domenica 14 agosto 2022

Cosa significa il dogma dell'Assunzione di Maria?

 

Pieter Paul Rubens, Assunzione della Vergine (1626), opera conservata nella Cattedrale di Anversa (Fiandre, attuale Belgio)
Vangelo proclamato nella solennità di Assunzione

Il dogma dell'Assunzione di Maria al Cielo in corpo ed anima è stato proclamato di recente dal Papa Pio XII nel 1950 con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus. Il dogma - in quanto tale - è stato creduto da sempre nella Chiesa universale, come testimoniano anche le numerosissime e meravigliose raffigurazioni artistiche presenti nelle Chiese di Europa e del mondo. La costituzione apostolica di Pio XII consta della infallibilità pontificia, il che significa che il dogma dell'Assunzione è necessario da credere per poter essere cristiani.

The Assumption of Blessed Virgin Mary into Heaven Explained

Eppure, com'è facile dedurre, non si tratta di un dogma di facile comprensione nè di facile accettazione, soprattutto dall'uomo moderno, il quale abituato (per molti versi, giustamente) al metodo scientifico di indagine della verità, rimane spiazzato - o divertito - da una simile tesi.

Cosa significa propriamente che Maria è stata assunta in Cielo in corpo ed anima? Questo dogma è connesso a un altro dogma mariano - anche questo, in se stesso molto difficile - ossia quello della concezione immacolata di Maria (dogma che festeggiamo l'8 dicembre). Infatti, la teologia cattolica insegna che fu possibile per Maria essere assunta in Cielo in corpo ed anima in virtù della particolare e privilgiata grazia che la vide esente dal peccato originale, comune a tutti gli uomini, nel momento del suo concepimento nell'utero della madre Anna.

Giovanni Gasparro,
Maria SS. Bambina (2020)

San Paolo scrive che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato originale (cfr. Romani 5, 12; anche Sapienza 2, 24). Se si accetta ciò, è logico dedurre che, se c'è qualcuno che è nato privo di tale peccato, non potrà sperimentare la morte. E la parola 'morte' è da intendere su più livelli: non solo quella corporale, ma anche quella della grazia e dello spirito. L'Assunzione di Maria al Cielo significa pertanto la sua glorificazione, cioé il raggiungimento del fine ultimo per cui ogni uomo e ogni donna esiste: la massima perfezione della persona, intesa come unità di carne, anima e spirito.

Maria fu glorificata nello spirito. Tutte le anime beate contemplano l'essenza di Dio, in gradi diversi a seconda dei propri meriti. Maria contempla Dio in sommo grado perché sommi furono i suoi meriti. E ciò non solo per la privilegiata grazia dell'immacolata concezione (la quale rappresenta più una condizione, in realtà, che un merito), ma soprattutto per la sua perseveranza dinanzi alle tentazioni e alle difficoltà gravi che incontrò nella sua vita: i timori legati all'Annunciazione, le circostanze difficili del Natale, il dolore dinanzi alla morte così truculenta del proprio unico e innocente figlio, le ansie della persecuzione fino al giorno di Pentecoste...

Maria fu glorificata nel corpo. Non dobbiamo dimenticare che il Paradiso (così come l'Inferno e il Purgatorio) non sono semplicemente "condizioni dell'anima", come certa teologia moderna vuole far credere - in realtà in maniera contraddittoria e incoerente, conoscendo sia questi dogmi fondamentali della Fede sia la grande importanza che la corporeità assume nel Cristianesimo - ma veri e propri spazi, che hanno la capacità di accogliere corpi estesi, in modalità a noi ignote. Forse, facendo un'ipotesi veramente azzardata, i tre regni ultraterreni potrebbero essere definiti in termini contemporanei come "universi paralleli al nostro". Non dimentichiamo che la Fede cattolica ci insegna che la Resurrezione corporea è il destino universale degli uomini e delle donne: tutti - beati e dannati - risorgeranno, i primi per una gloria perfetta, i secondi per una dannazione perfetta.

Maria dunque anticipa e ci mostra questo destino. Dal dogma dell'Assunzione segue una grande conseguenza teologica, ossia il fatto che la preghiera di Maria è quella più potente tra tutte le preghiere di intercessione, tanto che alcuni santi arrivarono ad affermare che «Maria in cielo non domanda, ma comanda» (San Bernardo di Chiaravalle). Oggi è dunque un'occasione spirituale per riflettere sulla propria devozione mariana e riproporsi di perseverare in essa, in maniera sempre più grande.

Gaetano Masciullo

sabato 13 agosto 2022

San Benedetto e i 12 Gradi dell'Umiltà

La parábola del fariseo y el publicano - 20180310
Vangelo proclamato nella X Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria del rito romano)

La parabola del fariseo e del pubblicano è chiamata da sant'Agostino di Ippona (de Verb. Dom.) "parabola dell'umiltà". Essa si trova unicamente nel vangelo secondo Luca, in un contesto più generale sulla necessità della preghiera.

Humility and Martial Arts - Life Skills Worth Learning ...

Un bellissimo proverbio cinese recita: "Sii come il bambù: più in alto cresce, più profondamente s'inchina".

«La fede - scrive il sapiente Padre della Chiesa - non è dei superbi, ma degli umili». Gesù infatti narra questa parabola ad alcuni "che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri", dimenticando che la mormorazione è sempre un gravissimo peccato.

La preghiera per essere efficace deve essere dunque dettata da un cuore umile, che cioé si riconosca bisognoso di Dio e facilmente esposto alla caducità del peccato.

La preghiera è infatti una forma di sacrificio. Come si può sacrificare il proprio tempo a Dio, se riteniamo di aver raggiunto già il massimo grado della perfezione? Certamente, è possibile raggiungere una grande perfezione cristiana già in questa vita (ci sono innumerevoli santi a testimoniarlo). L'umiltà tuttavia è parte di questa perfezione, perché questa piccola virtù - lungi dall'essere uno sminuimento gratuito della propria persona - è in realtà la chiave del realismo cristiano.

La persona umile non è quella che ritiene di essere inferiore a ciò che egli è, ma è colui che, libero da un eccessivo amor proprio, è capace di giudicare, di esaminare se stesso, nei vizi e nelle virtù, con oggettività. E' colui che è capace di "trascendere se stesso" per guardarsi con gli occhi di Dio.

Il superbo, al contrario, non è razionale: guarda se stesso esclusivamente con gli occhi dell'amor proprio (proprio così: non tutti gli amori sono cosa buona) e, molto spesso, con gli occhi dell'invidia e del rancore. Il pubblicano della parabola si riconosce peccatore e lo era davvero, perché guarda se stesso con oggettività. Questo giudizio vero genera la contrizione del cuore, che ottiene il perdono di Dio.

Allegoria dell'umiltà (J.M. Rottmayr, 1714)

Allegoria dell'Umiltà di Rottmayr (1714). In mano, la figura ha alcuni simboli medievali del pentimento.

Il fariseo insuperbito, invece, non è capace di dare un giudizio veritiero su se stesso. Il primo passo per crescere nella virtù e dunque nella santità è l'umiltà, cioé la capacità di giudicarsi. Si può forse raggiungere una meta senza conoscere il viaggio da intraprendere? Forse sì, ma con estrema difficoltà. L'umiltà è come la cartina dell'anima, il mezzo sul quale possiamo leggere le tappe della nostra via sanctificationis, grazie alla luce proveniente dalla preghiera, dalla direzione spirituale e dai Sacramenti.

Un altro grande santo, san Benedetto da Norcia, nella sua famosa Regola scrive che l'umiltà è come una scala composta da dodici gradini. Questo fa capire quanto sia difficoltoso coltivare questa virtù, che pure è così fondamentale.

Ecco i dodici gradi dell'umiltà:

  1. "L'umile tema Dio e si ricordi di tutte quelle cose che Egli ha comandato". Il timore di Dio è il principio della sapienza, ma anche dell'umiltà. Dalla sapienza, cioè dalla fede, abbiamo infatti la conoscenza delle cose necessarie per moderare il nostro appetito e per ambire solo a quelle cose grandi che possiamo verosimilmente raggiungere.
  2. "Non si compiaccia di fare la propria volontà". Moderando l'appetito, si comincia con il comprendere che Dio conosce meglio di noi il motivo per cui esistiamo e cosa ci rende davvero perfetti e felici. Allora da questa consapevolezza nasce il realistico desiderio di anteporre la volontà di Dio alla nostra personale volontà, che può sbagliare.
  3. "Regoli la propria volontà secondo la volontà di chi gli è superiore". Una volta compreso che la nostra volontà è fallace, bisogna regolarla secondo la volontà di chi ci è superiore, di colui che vede meglio e più lontano di noi: anzitutto Dio, ma poi anche coloro che ci sono superiori per ruolo, come può esserlo il direttore spirituale, il papa o il genitore, a seconda delle circostanze.
  4. "Non desista dalle cose dure e difficili che possono presentarsi". Infatti, lasciarsi scoraggiare e vincere dalle difficoltà può essere un sintomo di superbia. Chi infatti ci ha mai detto che avremmo raggiunto tutti i nostri obiettivi? Tutti i beni vengono da Dio solo, e l'uomo li raggiunge quando è sostenuto dal suo aiuto, anche se molto spesso egli non si accorge di questa grave realtà e, non accorgendosene, cade nella tristezza quando vede il fallimento.
  5. "Riconosca e confessi i propri difetti". Dopo aver moderato l'appetito, l'uomo umile modera il giudizio che egli ha sui propri difetti, ma egli non lo fa per sminuirsi e per tarparsi le ali. Anche la pusillanimità, che è il vizio contrario al vizio della presunzione, è generato dalla superbia. L'uomo umile giudica rettamente i propri difetti al fine di correggerli e innestare al proprio posto le virtù corrispondenti.
  6. "Creda e confessi di essere indegno e inutile in ogni cosa". Dopo aver rettamente considerato i propri difetti, l'umile capisce bene a cosa può ambire e a cosa non può ambire. Ma l'umiltà richiede anche un'ulteriore consapevolezza, come ci insegna il vangelo. Anche per quanto riguarda quelle cose che possiamo raggiungere, l'umile sa sempre che è possibile raggiungerle per volontà divina e che noi non siamo indispensabili e necessari a causa di questa nostra capacità. Solo Dio è necessario. Noi siamo creature e quindi "noi siamo servi inutili: abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare" (Lc 17,10).
  7. "Si ritenga più spregevole degli altri". Ancora una volta, dobbiamo precisare che questo grado dell'umiltà non è dettato da un inutile quanto dannoso disprezzo di se stessi. Lo ripetiamo: la pusillanimità, cioè valutare se stessi meno di quanto si è realmente, è un peccato! La ragione di questo precetto di san Benedetto è invece molto sensato: dal momento che non possiamo leggere le intenzioni, i difetti e le virtù del cuore altrui, e dal momento che giudicare negativamente il prossimo causa maldicenze e altri peccati simili, partiamo dall'assunto che il prossimo sia più bravo di noi in tutto, dopodiché saranno i fatti a farci giudicare rettamente e a farci agire di conseguenza.
  8. "Non receda nelle sue azioni dalla regola comune". Più procediamo sui gradini dell'umiltà, più troviamo precetti davvero duri da accettare e mettere in pratica. Troviamo precetti davvero controcorrente. San Tommaso d'Aquino insegna che uno degli effetti della vanagloria è quello di apparire a tutti i costi come una novità. Quanto è difficile invece esercitare il santo nascondimento esercitato dai santi! Eppure, è proprio nel nascondimento che i santi hanno forgiato la civiltà cristiana... L'umile si adegua alla regola comune, tranne in un caso: quando la regola comune contraddice Dio.
  9. "Non parli prima del tempo". Dopo essersi moderato nei segni esteriori, l'umile si modera nelle parole. Anche questo è molto controcorrente: oggi viviamo nell'era della chiacchiera. Quante parole inutili vengono riversate da ogni parte: e quale effetto si ha se non quello di rigonfiare il proprio cuore e rallentare la riflessione? E' piuttosto meglio essere prudenti, aspettare nel parlare ed esprimere giudizi. Questo atteggiamento migliora le nostre relazioni e ci rende più lucidi nelle osservazioni.
  10. "Non ecceda nel modo di parlare". Non basta parlare dopo aver pensato: bisogna anche parlare poco e bene. La chiacchiera vanifica quello che vogliamo comunicare e molto spesso ci rende anche ridicoli agli occhi di chi ci ascolta.
  11. "Non alzi gli occhi verso l'alto". Questo precetto non ci comanda di camminare con l'aria da cane bastonato, ma di assumere un corretto atteggiamento temperato anche nei gesti esterni. La superbia ci spinge a voler avere sempre ragione, e qual è il fine di questo sentimento se non quello di essere lodati dall'uomo? Non alzare gli occhi verso l'alto significa non voler sfidare il prossimo e, soprattutto, non sfidare Dio, che è "in alto" rispetto a noi uomini.
  12. "Reprima i segni di sciocca letizia". L'ultimo gradino è anche quello più difficile da mettere in pratica. Oggi si tende molto facilmente a ritenere il riso e la letizia come segni di felicità interiore, ma questa è una grande illusione del mondo moderno. Per quanto possa essere antipatico da dire ai nostri tempi, la "sciocca letizia" - tanto disprezzata dai Padri della Chiesa - è in realtà un segno di immaturità psicologica e spirituale.

La società frenetica contemporanea non ci sprona all'umiltà, che è anzi esplicitamente indicata come un vizio. Oggi siamo continuamente spronati all'orgoglio, ma non ci è dato il tempo di riflettere e di chiederci se tutto questo orgoglio ci renda realmente migliori. L'orgoglio ci illude di essere buoni così come siamo. Ci sentiamo buoni, ma è solo una illusione.

Un proverbio antico recita: "Chi non sale, scende", per dire che nel progresso spirituale non è possibile stare fermi. L'orgoglio è come le sabbie mobili: ci accontentiamo di quello che siamo e ci impantaniamo davanti allo specchio di Narciso, ma la natura dell'uomo è tale che, quando ci si ferma lungo la salita al monte della perfezione, inevitabilmente si finisce per essere risucchiati dalla "gravità" del peccato originale.

Teniamo alto lo sguardo, allora, e proseguiamo dritti, anche se con mille fatiche, verso la meta della perfezione.

Gaetano Masciullo

sabato 6 agosto 2022

Gesù piange su Gerusalemme

 


Vangelo proclamato nella IX Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria del rito romano)

Nei primi secoli, la Chiesa latina conosceva la IX Domenica dopo Pentecoste come la "domenica dei guai di Gerusalemme", per via del brano evangelico proclamato in questa occasione.

Sapendo che il popolo eletto dell'Antico Testamento, cioè il popolo ebraico, non solo avrebbe consegnato il Re della gloria ai romani affinché fosse crocifisso, ma lo avrebbe persino misconosciuto nella natura divina, che pure aveva saputo scorgere, Gesù non riesce a trattenere la propria commozione nello scorgere da lontano la sagoma della sua amata Gerusalemme.

Giovinazzo: Il Comitato: scribi e farisei a palazzo

Il pianto di Cristo su Gerusalemme già preannuncia la sua Passione. Lo stato emotivo che attraversa le righe di questo brano è lo sconforto. Lo sconforto di Dio che rispetta la libertà umana fino alle sue estreme conseguenze: le autorità ebraiche dell'epoca - lo sappiamo bene - avevano capito che Gesù Cristo è il Messia promesso sin dall'epoca di Adamo, ma non lo volevano accettare per invidia.

Spiega magistralmente san Tommaso d'Aquino (Summa theologiae III, q. 47, a. 5, co.):

«Va detto che, presso i Giudei, alcuni erano di alto, altri di basso ceto. Quelli di alto ceto, detti loro "capi", seppero [...] che quell’uomo era il Cristo promesso nella legge. Infatti, "vedevano in lui tutti i segni che i profeti avevano predetto" (Ambrogio, Quaest. Vet. et Nov. Test., N. I, 66).

Essi, però, ignoravano il mistero della divinità. Ecco perché l’Apostolo dice che "giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria, se lo avessero riconosciuto" (1Corinzi 2, 8). Tuttavia, bisogna sapere che la loro ignoranza non li scusava dal delitto, poiché era in qualche modo un’ignoranza ostentata. Infatti, essi vedevano i segni evidenti della sua divinità, ma, per odio e per invidia verso Cristo, li stravolgevano e non vollero credere alle sue parole, con cui si professava Figlio di Dio.

Perciò, egli dice di loro: "Se non fossi venuto e se non avessi parlato loro, non avrebbero [nessun] peccato; invece, ora non hanno scuse per il loro peccato" (Gv 15, 22). E poi aggiunge: "Se non avessi fatto fra loro [nessun] miracolo che nessun altro fece, non avrebbero peccato". E così, si può intendere che sia stato detto a loro nome: "Dissero a Dio: 'Allontanati da noi: non vogliamo conoscere le tue vie'”» (Gb 21, 14).

Questo peccato degli scribi e dei farisei deve farci riflettere profondamente. Anche noi infatti possiamo essere tentati a provare invidia e superbia nei confronti di Dio, sebbene questo atteggiamento appaia razionalmente come qualcosa di assurdo: come si può infatti invidiare l'Ente assoluto?

What Saint Thomas Aquinas Says About Islam - TFP Student ...
Tommaso d'Aquino
Il più grande teologo della storia

Eppure, questa condizione si verifica molto spesso. La non comprensione dei progetti divini ci acceca. Inconsciamente ci riteniamo intelligenti come Dio o anche più intelligenti di Dio, sebbene a parole vogliamo ostentare umiltà e sottomissione. La terapia per questo "male sotterraneo", che uccide spesso senza dare sintomi, è l'esercizio dell'umiltà, che è abbandonarsi alla volontà di Dio, alla legge del Signore, anche quando non la comprendiamo.

Se infatti non comprendiamo o non accettiamo una parte della Rivelazione, il problema non è dalla parte di Dio, ma dalla parte nostra. Bisogna dunque pregare e studiare, per capire quale lacuna ci impedisce di afferrare a pieno la Verità oppure quale giudizio erroneo ci spinge a "impugnare la verità conosciuta", come recita il catechismo di San Pio X.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...