sabato 26 novembre 2022

L'Avvento e la meditazione dei Novissimi

 Rome - Basilica di Santa Maria Maggiore

I Domenica di Avvento. Commento al vangelo nella forma straordinaria del Rito romano.
La tradizione cattolico-romana porta la mente e lo spirito alla Basilica di Santa Maria Maggiore, come prima Stazione di Avvento.
La Basilica è pertanto detta anche S. Maria ad praesepe.

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 21, 25-33.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna, et stellis, et in terris pressúra géntium prae confusióne sónitus maris, et flúctuum: arescéntibus homínibus prae timóre et exspectatióne, quae supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna, et maiestáte. His áutem fíeri incipiéntibus, respícite, et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam, et omnes árbores: cum prodúcunt iam ex se fructum, scitis quóniam prope est aéstas. Ita et vos cum vidéritis haec fíeri, scitóte quóniam prope est regnum Dei. Amen dico vobis, quia non praeteríbit generátio haec, donec ómnia fiant. Coélum et terra transíbunt: verba áutem mea non transíbunt.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 21, 25-33.
In quel tempo, Gesú disse ai suoi discepoli: "Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e nella terra costernazioni di genti sbigottite dal rimbombo delle onde e dall’agitazione del mare, mentre gli uomini tramortiranno dalla paura e dall’attesa di quello che starà per accadere alla terra: perché anche le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire sulle nubi in gran potenza e maestà. Quando ciò incomincerà ad accadere, sorgete ed alzate il capo, perché s’avvicina la vostra redenzione". E disse loro una similitudine: "Osservate il fico e tutti gli alberi: quando germogliano, sapete che l’estate è vicina. Così quando vedrete accadere tali cose, sappiate che il regno di Dio è prossimo. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

LA PRIMA CANDELA D'AVVENTO - DEL PROFETA - Chiesa ...

Inizia oggi l'Avvento, periodo di penitenza e preghiera in preparazione alla grande solennità della Natività di Nostro Signore. Il vangelo di oggi mette in parallelo due avvenimenti storici fondamentali: il primo, quello del Natale, evento storico passato, che ha segnato l'Incarnazione di Dio e l'avvio della redenzione del genere umano; il secondo, quello della Parrusia, evento storico futuro, che segnerà la fine della storia così come la conosciamo e il ritorno di Cristo nella resurrezione della carne per tutti gli uomini.

Nell'aspettare liturgicamente il Natale ci predisponiamo d'animo anche a questo secondo avvento. I tempi di questa palingenesi, di questa ricostituzione totale, non sono a noi noti né dobbiamo pensare (come sempre i cristiani sono stati tentati di fare nel corso della storia) che essa sia di necessità imminente. E i tempi difficili e confusionari che stiamo vivendo, carichi di odio e di empietà, non devono essere per noi una ragione in più per vivere nell'apatica attesa di un cataclima prossimo a cancellare tutto.

Piuttosto, soffermiamoci sulla frase che Gesù pronuncia nella pagina di vangelo odierna e che dice: "In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto ciò sia avvenuto". Il giudizio finale della carne, infatti, è anticipata per ognuno di noi al momento della propria morte. La Chiesa insegna che non c'è migliore modo per evitare il peccato mortale se non la meditazione dei cosiddetti Novissimi, ossia le realtà ultime della vita, che nella dottrina cattolica sono quattro: morte, giudizio, inferno, paradiso.

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Perché Dio si è fatto Uomo?
Per riscattarci dal peccato
originale.

Il mondo moderno è un mondo che non vuol sentire parlare della morte, mentre le società più antiche (penso in primis al luminoso Medioevo) erano riuscite ad accettare e comprendere non solo la natura di necessità di questo evento della vita, ma anche la sua natura di giustizia. Non dobbiamo infatti dimenticare che, in questo Universo, la corruzione e la morte sono leggi biologiche dovute non soltanto a un meccanicismo bio-chimico, ma a una volontà superiore e divina, che va oltre la materia. La morte è la purificazione di una condizione, sulla quale anche i cattolici meditano poco: il peccato originale, del quale tutti siamo macchiati. La missione primaria dell'Incarnazione di Cristo è stata proprio questa: morire per riscattarci da questa colpa antica.

Dopo la morte, c'è il giudizio personale, anticipazione di quello universale.

Il nostro destino eterno sarà confermato nell'istante stesso della nostra morte. Chi morirà in grazia sarà giudicato degno del Paradiso, chi morirà in disgrazia sarà giudicato degno dell'Inferno. Questa gravissima realtà non può essere modificata da nessuna forza esistente al mondo. Bisogna accettarla, meditarla e comprenderne la radicale natura di bontà e giustizia. Tutto ciò che è fisico, infatti, con le sue leggi meccaniche, non è nulla in confronto alla volontà e alla Legge di Dio. Per questo motivo Gesù ha insegnato: "Il cielo e la terra - cioé la natura con tutte le sue insormontabili leggi fisiche - passeranno, ma le mie parole non passeranno".

Gaetano Masciullo

sabato 19 novembre 2022

Come interpretare in senso cattolico le profezie di Gesù sulla fine del mondo?

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Commento al Vangelo della XXIV e ultima Domenica dopo Pentecoste

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 24,15-35.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur - si fíeri potest - étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 24, 15-35.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando vedrete l’abominio della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posto nel luogo santo - chi legge, comprenda - allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, e chi si trova sulla terrazza non scenda per prendere qualcosa in casa sua, e chi sta al campo non torni a prendere la sua veste. Guai poi alle donne incinte e a quelle che in quei giorni allattano. Pregate che non dobbiate fuggire d’inverno o in giorno di sabato. Infatti allora sarà grande la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo fino ad oggi, né sarà mai. E se quei giorni non fossero accorciati, nessun uomo si salverebbe, ma quei giorni saranno accorciati in grazia degli eletti. Allora, se qualcuno vi dirà: ecco qui il Cristo, o eccolo là, non credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti: e faranno grandi miracoli e prodigi, da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se quindi vi diranno: Ecco, è nel deserto, non uscite; ecco, è nella parte più nascosta, non credete. Infatti, come il lampo parte da Oriente e brilla fino a Occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, lì si raduneranno le aquile. Ma subito dopo quei giorni di tribolazione si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo: piangeranno tutte le tribù della terra e vedranno il Figlio dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà. Egli manderà i suoi angeli con la tromba e a gran voce a radunare i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli. Imparate questa similitudine dall’albero del fico: quando il suo ramo intenerisce e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina: così, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non siano adempiute tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

Il brano di vangelo proclamato oggi dalla Chiesa è sempre stato male interpretato, nel corso dei secoli, come un brano apocalittico, una raccolta di profezie per riconoscere il momento del ritorno di Cristo e delle catastrofi immani che dovrebbero anticiparlo.

Eppure la Chiesa, sulla scorta dell'insegnamento dei Padri, ha sempre ribadito che l'apocalittismo è un approccio sbagliato alla Scrittura, e che le profezie sulla fine dei tempi contenute non solo nei vangeli, ma anche in altre parti della Bibbia (si pensi al profeta Daniele, citato da Gesù in questo passo, ma anche all'Apocalisse, l'ultimo libro del Nuovo Testamento), devono essere interpretate non come predizioni di un avvenimento preciso nel futuro, ma come una chiave di lettura della storia dell'uomo.

Certamente, la Parusia - cioè il Giudizio Universale da parte di Cristo e la resurrezione dei morti - è dogma di Fede, un evento storico che avverrà al momento prestabilito da Dio, ma le profezie apocalittiche presenti nella Scrittura vanno lette secondo una precisa esegesi.

Il pericolo di interpretazioni grossolane, catastrofiste, sconvolgenti era avvertito dallo stesso evangelista Matteo, che non a caso, all'inizio di questa trascrizione profetica, puntualizza con un avvertimento: "Chi legge, comprenda".

San Tommaso d'Aquino commenta in maniera ineccepibile questo aspetto fondamentale dell'esegesi apocalittica:

Non è possibile sapere quali segni [precederanno l'avvento di Cristo]. Infatti, i segni che si leggono nel Vangelo [...] non solo appartengono all'avvento di Cristo per il giudizio, ma anche al tempo della distruzione di Gerusalemme e all'avvento con cui Cristo visita continuamente la sua Chiesa. Cosicché, se si ponesse diligente avvertenza, si riscontrerebbe che nessuno di questi segni appartiene all'avvento futuro [...] perché i segni cui si accenna nei Vangeli, come battaglie, orrori e cose simili ci furono sin dal principio del genere umano.

Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, Suppl., q. 73, a. 1, co.

Possiamo individuare due parti nel brano odierno. Nella prima parte, Gesù profetizza la distruzione del Tempio; nella seconda parte, Gesù parla della venuta di Cristo nella storia. Dal momento che un commento completo di questo brano evangelico risulterebbe troppo lungo, mi limiterò a commentare solo la prima parte.

Il Tempio di Gerusalemme fu effettivamente distrutto dai romani nel 70 d.C., ma la distruzione di cui parla Gesù è ancora più profonda: essa riguarda l'abolizione dell'Antico Testamento, in favore della Nuova Alleanza, sancita sul legno della croce. Infatti, nel vangelo Gesù dice: "Distruggete questo tempio e io dopo tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2,19). Non dobbiamo fare lo stesso errore dei farisei, i quali pensarono che il tempio cui Gesù faceva riferimento fosse quello costruito con i mattoni.

Allora questo "abominio della desolazione posto nel luogo santo" è - per chi conosce la Bibbia - un chiaro riferimento alla Passione di Nostro Signore: la profezia di Daniele cui fa riferimento Gesù, in effetti, è proprio una profezia messianica, non una profezia apocalittica: "il Cristo sarà ucciso, [...] ci sarà nel Tempio l'abominio della desolazione e la desolazione resterà fino alla fine dei secoli" (Dn 9, 27). Cos'è questa desolazione se non la Croce, i cui meriti permangono eternamente nel Sacrificio eucaristico?

L'evangelista Matteo riporta poi tre ammonimenti molto particolari di Gesù: chi si trova in Giudea fugga verso i monti; chi si trova sulla terrazza non scenda per prendere qualcosa in casa; chi sta nel campo non torni a prendere la propria tunica.

Essi mettono in guardia da tre tipi di impedimenti alla vita sacramentale, tre impedimenti che possono però essere evitati con la nostra attenzione. Questi impedimenti sono le nostre attività mondane, che rischiano di farci attaccare il cuore alle cose corruttibili: non solo le attività che riguardano i beni esteriori ("chi si trova in Giudea", cioè nelle città per fare affari, "fugga verso i monti", dove i monti sono il simbolo dell'incontro con Dio), ma perfino i propri desideri (la volontà è il tetto dell'anima: non scendiamo verso il "basso della casa" per cercare cose effimere) e le necessità della vita (chi sta nel campo - cioè chi lavora per il Regno di Dio - sia disposto a rinunciare anche alle cose necessarie, se Dio lo chiede, come lo è la tunica per vestirsi).

Alcuni impedimenti però non dipendono da noi, ma soltanto da Dio, che dispone tutto secondo la sua Provvidenza. Questi impedimenti inevitabili sono indicati nelle parole di Gesù in due modi: la condizione delle donne incinte o allattanti; e la possibilità che la fuga avvenga di inverno o di sabato.

In effetti, la vita di grazia talvolta può essere impedita da un affetto smodato verso i più cari. Eppure, Gesù ci invita ad amarlo più della moglie, più della madre, perfino più dei figli: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me" (Matteo 10,37). E ancora si legge nel vangelo di quel tale che chiese a Gesù di seguirlo dopo aver seppellito il proprio padre, ma la risposta di Gesù è sconvolgente: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio" (Lc 9,60). Questo è sicuramente l'impedimento più difficile da combattere, e per questo Gesù sottolinea l'estrema difficoltà con l'espressione: "Guai alle donne...".

Altri impedimenti inevitabili sono dovuti alla nostra natura ferita dal peccato originale: per esempio, l'intelletto incapace di comprendere determinate cose o la debolezza del carattere e del temperamento. Questa debolezza di natura è rappresentata dall'espressione: "Pregate che non dobbiate fuggire d'inverno", perché l'inverno rappresenta la stagione più ostile alla vita. Altri impedimenti sono dovuti alle condizioni sociali e ai timori causati dai poteri politici. Questa debolezza della Legge è rappresentata dall'espressione: "Pregate che non dobbiate fuggire di sabato", perché il sabato è il giorno dei divieti secondo la Legge mosaica. Ma Gesù dice anche in entrambi i casi: "Pregate", perché questi impedimenti sono superabili con la grazia di Dio.

Ecco quindi che Gesù spiega la causa di tutti questi ammonimenti: una tribolazione grande, "quale non fu dal principio del mondo fino ad oggi, né sarà mai".

La tribolazione cui fa riferimento Gesù non è una persecuzione temporale o uno sconvolgimento socio-politico. Egli parla del pervertimento della verità, anche questo a causa del peccato originale: l'uomo ha dimenticato Dio e ha creato idoli a propria immagine, ma i tempi di questa deviazione sono stati "resi brevi a causa degli eletti", cioè per amore di Dio verso la Chiesa, verso coloro che vengono purificati nel sangue dell'Agnello, lavati nel Battesimo e nutriti dall'Eucarestia. L'avvento di Cristo nella storia ha reso brevi i giorni della tribolazione.

"E se quei giorni non fossero stati accorciati, nessuno si salverebbe": senza la vera Fede, infatti, nessuno si può salvare. Da qui la necessità della venuta di Cristo e della sua Redenzione.

Facciamo dunque attenzione, e stiamo attenti ai numerosi tentativi di esegesi che si allontanano dall'unica, vera interpretazione cattolica della Sacra Scrittura, quella dei Padri e dei Dottori della Chiesa.

Gaetano Masciullo

sabato 12 novembre 2022

Due miracoli intrecciati: Giairo e l'emorroissa

 Resurrezione della figlia di Giairo

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 9,18-26.
In illo témpore: Loquénte Iesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Iesus sequebátur eum et discípuli eius. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti eius. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum eius, salva ero. At Iesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Iesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum eiécta esset turba, intrávit et ténuit manum eius. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 9,18-26.
In quel tempo, mentre Gesù parlava alle folle, ecco che uno dei capi gli si accostò e lo adorò, dicendo: "Signore, mia figlia è appena morta: ma vieni, imponi la tua mano su di lei, ed ella vivrà". Gesù, alzatosi, gli andò dietro con i suoi discepoli. Quand’ecco una donna, che da dodici anni soffriva una perdita di sangue, gli si accostò da dietro e toccò il lembo della sua veste. Diceva infatti tra sé: "Se soltanto toccherò la sua veste, sarò guarita". E Gesù, voltatosi e vedendola, le disse: "Confida, o figlia, la tua fede ti ha salvata". E da quel momento la donna fu salva. Giunto che fu alla casa del capo, vedendo dei suonatori e una folla di gente rumoreggiante, disse: "Ritiratevi, poiché la fanciulla non è morta, ma dorme". E lo deridevano. Ma dopo che la gente venne fatta sgombrare, Egli entrò, prese la giovane per mano ed ella si alzò. E la fama di ciò si diffuse per tutto quel paese.

Nel brano di vangelo odierno, la Chiesa proclama un doppio miracolo di Nostro Signore - un "miracolo intrecciato": la guarigione della donna emorroissa e la resurrezione della figlia di "uno dei capi" del popolo. Questo stesso episodio è narrato, con differenza di particolari, anche da Marco e Luca.

Da Marco sappiamo che l'episodio si svolge "sull'altra riva, [...] ed egli stava lungo il mare" (Mc 5,21), mentre Luca ci dice che "al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui" (Lc 8,40). Siamo quasi alla fine del secondo anno di ministero terreno di Nostro Signore (nel vangelo gli anni del ministero del Signore si contano a partire dalla Pasqua precedente a quella successiva). Gesù si era in precedenza spostato al di là del lago di Tiberiade (che l'evangelista Marco chiama "mare"), sulla riva orientale, mentre adesso è ritornato sulla riva nord-occidentale, dove si trova Cafarnao, una città della Galilea.

Qui uno "dei capi del popolo" decide di incontrare Gesù a ogni costo, per chiedergli la guarigione della figlioletta appena morta, o comunque in agonia. Si tratta cioè di uno dei rabbini, più precisamente di un capo della sinagoga, come sappiamo dall'evangelista Marco, che ci rivela perfino il suo nome, Giairo (cfr. Mc 5,21-43 e Lc 8,40-56). Giairo era un notabile di Cafarnao, che evidentemente non solo aveva sentito parlare di Gesù, ma credeva che quel Gesù fosse il Messia promesso da Dio per bocca degli antichi profeti a Israele. Giairo dunque aveva fede.

Non solo: leggendo attentamente le parole che Giairo rivolge a Gesù, comprendiamo che quell'archisinagogo (questo il termine tecnico) credeva in particolare nel carisma sacerdotale di Cristo. Egli, infatti, dice a Gesù: "imponi la tua mano su di lei, ed ella vivrà". Non è un caso se a usare l'espressione "imporre le mani" è una persona come Giairo, assai pratica del linguaggio delle Scritture.

In tutta la Bibbia, infatti, dall'Antico Testamento fino alle lettere del Nuovo, il gesto di imporre le mani è il segno tipico del sacerdozio. Nel libro dei Numeri, Dio ordina a Mosè di imporre le mani su Giosuè di fronte al sacerdote Eleazaro per consacrarlo (cfr. Nm 27, 18ss); nel libro del Deuteronomio, poi, leggiamo che "Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui" (Dt 34,9).

Anche nel Nuovo Testamento, san Paolo raccomanda a Timoteo: "Non dimenticare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l'imposizione delle mani da parte dei presbiteri" (1Tm 4, 14).

L'evangelica Luca, più scrupoloso e attento ai dettagli storici, riporta che la figlia di Giairo era "figlia unica e di quasi dodici anni". Gesù non risponde con parole alla richiesta di Giairo, ma subito - alzatosi - si mette a seguirlo. L'intera folla di Cafarnao, che non aspettava altro di rivedere Gesù e di ascoltare i suoi insegnamenti, e ancor più di rivedere i suoi prodigi, si accalca intorno a lui, ai discepoli e all'angosciato padre.

A un certo punto, secondo la versione lucana di questo episodio, il Signore prorompe con una domanda che - in una situazione come quella - ha dell'assurdo: "Chi mi ha toccato?". E l'evangelista Marco rende ancora più precisa la domanda pronunciata da Gesù: "Chi mi ha toccato il mantello?": in questo modo la domanda risulta ancora più strana. Come può infatti un uomo accorgersi di essere stato toccato sul lembo di un mantello, mentre viene schiacciato da una folla acclamante?

Interessante notare la reazione dei presenti. Luca scrive che "tutti [i presenti] negavano". Questa risposta netta da parte della folla ci fa presumere che la domanda di Gesù dovette suonare molto severa, tanto che quelle persone non avevano il coraggio di obiettare. L'unico che ha il coraggio di controbattere a quell'osservazione così particolare è Pietro: "Signore, la folla ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?".

Tutti toccavano Gesù, ma solo una persona - una donna - aveva toccato Gesù intenzionalmente. Matteo scrive che si trattava di "una donna che da dodici anni soffriva una perdita di sangue". L'evangelista Luca e l'evangelista Marco aggiungono che nessun medico era stato in grado di guarirla. Questa donna era un'emorroissa, cioè che soffriva di emorragie costanti.

Per comprendere questo episodio del miracolo dell'emorroissa, dobbiamo avere bene a mente che Matteo scrive il proprio vangelo anzitutto per gli ebrei osservanti, e nell'Antico Testamento Dio assegna a Israele un modo molto preciso di vestirsi, un modo altamente simbolico. Nel Deuteronomio, per esempio, leggiamo il seguente precetto: "Metterai fiocchi alle quattro estremità del mantello con cui ti copri" (Dt 22,12). Anche in Numeri, si legge questo precetto: "Parla agli Israeliti e ordina loro che si facciano, di generazione in generazione, fiocchi agli angoli delle loro vesti e che mettano al fiocco di ogni angolo un cordone di porpora viola" (Nm 15,38).

Questi quattro fiocchi rappresentavano i comandamenti del Signore e le quattro virtù cardinali, che devono essere per l'anima ciò che l'abito è per il corpo. "Così vi ricorderete di tutti i miei comandi, li metterete in pratica e sarete santi per il vostro Dio", spiega la Scrittura (Nm 15,40). Toccare il fiocco del mantello di Cristo significa allora per quella donna attingere direttamente alla santità di Gesù, alla sua potenza divina.

A ciò si aggiunga che l'emorroissa appariva agli ebrei come una donna in stato di costante impurità: la Legge ebraica, infatti, vietava - per ragioni igieniche, ma anche di culto - di entrare in contatto con il sangue di altre persone o di animali. Quella donna dunque era totalmente esclusa dalla vita sociale.

La fede dell'emorroissa è causa della sua stessa guarigione: "E da quel momento la donna fu salva", annota l'evangelista, evidenziando così la doppia dimensione della salute nel corpo e nello spirito.

Cerchiamo a questo punto di sciogliere questo "intreccio" che collega i due miracoli. La fede nella grazia che procede dalla virtù sacerdotale di Cristo non può essere separata dalla fede nella grazia che procede dalla pratica delle virtù. Considerando l'uno e l'altro aspetto della vita cristiana di grazia, l'uomo vecchio rinasce a vita nuova, l'impurità cede il passo alla perfezione evangelica.

Gaetano Masciullo

sabato 5 novembre 2022

Diamo a Dio quello che è di Dio: cioè tutto.

 

XXII Domenica dopo Pentecoste

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 22, 15-21.
In illo témpore: Abeúntes pharisaéis, consílium iniérunt ut cáperent Iesum in sermóne. Et mittunt ei discípulos suos cum Herodiánis, dicéntes: Magister, scimus quia verax es, et viam Dei in veritáte doces, et non est tibi cura de áliquo; non enim réspicis persónam hóminum: dic ergo nobis quid tibi vidétur, licet censum dare Caésari, an non? Cógnita autem Iesus nequítia eorum, ait: Quid me tentátis, hypócritae? Osténdite mihi numísma census. At illi obtulérunt ei denarium. Et ait illis Iesus: Cuius est imágo haec, et superscríptio? Dicunt ei: Caésaris. Tunc ait illis: Réddite ergo quae sunt Caésaris, Caésari; et quae sunt Dei, Deo.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 22, 15-21
In quel tempo i farisei, adunatisi, tennero consiglio per sorprendere Gesù nel suo parlare. Gli mandarono i loro discepoli con gli Erodiani a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo la verità e non hai riguardo per alcuno, poiché non guardi alla persona degli uomini: dicci il tuo parere: è lecito pagare il tributo a Cesare, o no?". Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli mostrarono un denaro. E Gesù disse loro: "Di chi è questa immagine e questa iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare". E allora Gesù disse loro: "Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio".

"Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". Questa espressione evangelica, entrata ormai anche nel gergo comune e profano, è una delle frasi più male interpretate di tutta la Scrittura. Quante volte abbiamo sentito laici, sacerdoti, teologi, se non addirittura alti prelati, usare questa frase per giustificare lo Stato e la sua opera di tassazione?

Eppure, Gesù non è venuto sulla terra per fare il politico e per parlare del modo corretto di fare politica, non ha insegnato "utopie ideologiche" (come diremmo oggi), anzi, è stato ucciso - secondo le intenzioni umane (sappiamo che quelle divine sono state ben altre) - anche perché le autorità religiose ebraiche avevano una visione distorta del Messia, cioè quella di un re, un politico che combattesse l'invasore romano e instaurasse uno Stato forte. Gesù deluse queste aspettative e diede risalto alla relazione individuale ed ecclesiale con il Signore, al rispetto della legge naturale, alla vita sacramentale e alla grazia.

Qual è dunque il senso di questa risposta di Gesù nell'ottica del suo ministero terreno tutto orientato alla santificazione? E inoltre, perché i primi cristiani - che erano comunque molto ostili alla natura fortemente statalista dell'Impero romano - decisero di tramandare questo evento della vita di Cristo?

La domanda che i farisei rivolgono a Gesù è - come si intuisce facilmente - un trabocchetto, nella speranza di indurlo in reato contro le leggi imperiali di Roma e farlo condannare a morte. Cristo conosceva le intenzioni dei suoi avversari e pertanto ha superato l'ostacolo con una risposta profonda e complessa che, pur dicendo la verità, risulta enigmatica agli occhi dei farisei.

Attenzione: questo non vuol dire che Cristo ha detto un'ambiguità. Semplicemente, dando questa risposta, Cristo denuncia anche la mancanza di sapienza nelle menti e nei cuori dei farisei, perché essi non sono stati capaci di intendere un concetto che, a ben vedere, è presente sin dall'Antico Testamento.

La domanda infatti che i farisei (e noi con loro) avrebbero dovuto porsi è la seguente: "Date a Cesare quello che è di Cesare... ma cosa è di Cesare?". Se dobbiamo dare a Dio quello che è di Dio, la risposta è chiara: tutto è di Dio. Tutti i beni sono doni del suo amore senza fine e ci sono affidati per un uso con-creativo, non distruttivo. Ma se tutto è di Dio, Cesare non possiede nulla.

Anche la potestà politica infatti non è indipendente da Dio, ma è sottomessa alla sua volontà. E anche quando questa potestà è orientata al male, come avveniva nell'Impero romano ieri e come avviene negli Stati moderni oggi, essa è tollerata e consentita da Dio. Così come anche l'azione di Satana è permessa dalla volontà divina per un bene superiore da noi imperscrutabile. Lo vediamo chiaramente durante l'episodio delle tentazioni di Cristo nel deserto: «Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: "Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo"» (Luca 4, 5-7).

E lo vediamo una seconda volta durante il processo che il governatore romano Ponzio Pilato fa a Gesù prima della sua condanna a morte: «Gli disse allora Pilato: "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?". Rispose Gesù: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande"» (Giovanni 19, 10-11).

Cosa è di Cesare? Nulla è di Cesare. Tutto quello che egli prende, lo fa con il furto e con l'estorsione. Illuminati dunque dalla sapienza del vangelo, che è la stessa parola di Cristo Gesù, orientiamo la nostra volontà a dare tutto a Dio, sorgente di ogni bene, padrone di ogni cosa.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...