sabato 29 aprile 2023

La Chiesa genera in Cristo il vero uomo nuovo


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 16-22.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Módicum, et iam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis eius ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Módicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Iesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quǽritis inter vos, quia dixi: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora eius: cum autem pepérerit púerum, iam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos ígitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 16-22.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Ancora un poco e non mi vedrete più; e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre". Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: "Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più; e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quello che dice". E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: "Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più; e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà la vostra gioia".

Oggi la Chiesa propone un passo del vangelo secondo Giovanni molto interessante e importante, perché mette in stretta relazione il mistero della Passione redentrice di Nostro Signore e la sua Resurrezione con il mistero della Chiesa, scaturita proprio dal sangue da Lui effuso sul legno della croce.

La metafora della donna che partorisce nel dolore, per poi gioire quando viene alla luce il figlio, è usata da Gesù per profetizzare agli apostoli la gioia che essi proveranno quando vedranno il loro Maestro risorto, anche se all'epoca non erano capaci di capire il senso di quelle parole. La Tradizione ha poi visto in quella donna un'immagine della Chiesa, che vede proprio negli apostoli le sue dodici colonne portanti: "Le dodici fondamenta delle mura della città di Dio sono adorne di ogni specie di pietre preziose" (Apocalisse 21, 19).

Misticamente la Chiesa viene chiamata "Corpo di Cristo" e anche "Sposa di Cristo". Ancora oggi la Chiesa è una donna che, fecondata da Cristo sulla croce - tradizionalmente chiamata infatti non a caso "talamo nuziale" del Signore -, partorisce con dolore. Il dolore a cui il vangelo fa riferimento è anzitutto quello dello stesso Signore, ma poi anche di tutti coloro che hanno partecipato (e continuano a partecipare) della sua croce: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Colossesi 1, 24).

Tertulliano scriveva che "il sangue dei martiri è il seme dei nuovi cristiani". La morte cruenta dei martiri cristiani (ricordiamo che martire in greco significa "testimone"), invece di porre fine alla Fede e alla Chiesa, spesso è servita ad alimentare e diffondere ancora di più il Cristianesimo: nessuno infatti oserebbe dare la propria vita per una menzogna o per un'illusione. 

Proprio come la donna che partorisce, la Chiesa è chiamata a dare alla luce nuove anime per Cristo, a rigenerare la vita dei credenti attraverso la Fede e il sacramento del Battesimo. Questo brano del vangelo richiama dunque la Chiesa tutta a meditare sulla sua missione di evangelizzatrice nel mondo, e a non temere le sfide, le tribolazionI e le persecuzioni che essa potrà essere chiamata a sopportare, sicura di averle già vinte una volta per sempre, duemila anni fa, sul legno salvifico della Croce di Cristo.

Gaetano Masciullo

sabato 22 aprile 2023

Ciò che conta davvero è la conoscenza della Fede, non l'esperienza della vita


Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum, 13, 54-58.

In illo témpore: Véniens Iesus in pátriam suam, docébat eos in synagógis eórum, ita ut miraréntur et dícerent: Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María, et fratres eius Iacóbus et Ióseph et Simone et Iúdas? Et soróres eius nonne omnes apud nos sunt? Unde ergo huis ómnia ista? Et scandalizabántur in eo. Iesus áutem dixit eis: Non est prophéta sine honóre nisi in pátria sua et in domo sua. Et non fecit ibi virtútes multas propter incredulitátem illórum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 13, 54-58.

In quel tempo, Gesù ritornò nella sua patria e insegnava loro nelle loro sinagoghe, tanto che restavano meravigliati e dicevano: "Da dove gli vengono questa sapienza e queste virtù? Non è egli il figlio dell’artigiano? E sua madre non è chiamata Maria e i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe e Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra noi? Da dove quindi vengono a costui tutte queste cose?" E restavano scandalizzati di lui. Ma Gesù disse loro: "Non è senza onore un profeta, fuorché nella sua patria e nella sua casa". E lì non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

Questo brano di vangelo è molto importante per rimuovere dal nostro modo di vivere un atteggiamento mentale che spesso si presenta anche tra i cattolici. Si tratta però di un atteggiamento mentale che è proprio di chi vive secondo la carne, secondo il mondo, e non secondo Dio. 

Si tratta della convinzione per cui ciò che davvero conta nella vita è l'esperienza, cioè il bagaglio di conoscenze empiriche che si accumulano nel corso degli anni a causa di errori, tentativi, successi, incontri più o meno fortuiti, ecc. Questo atteggiamento mentale è molto predominante nella teologia modernista e si tratta probabilmente di un'influenza del mondo protestante: per esempio, tra i protestanti metodisti la "esperienza di Dio" assume un valore pari a quello della Scrittura, della Tradizione e della ragione (strano, i metodisti dimenticano la Fede nel loro quadrilateral method).

Secondo questo atteggiamento, più una persona ha esperienza di vita (cioè più è avanti con l'età) più sarebbe prossima alla verità. Ma questo atteggiamento è puntualmente e in più punti confutato, e anzi almeno implicitamente condannato, dalla Parola di Dio. E in particolare, viene confutato dalla vita stessa di Nostro Signore Gesù Cristo. Noi sappiamo che il Signore Gesù iniziò il suo ministero terreno a trent'anni e che ne durò tre, prima di affrontare la dolorosa Passione e il supplizio della croce. Umanamente parlando, dunque, il Signore era molto giovane, come sottolinea anche quel passo della Scrittura: «A metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi; sono privato del resto dei miei anni» (Isaia 38, 10).

L'esperienzialismo religioso è generato dalla superbia e genera a sua volta vanagloria, invidia, quindi divisioni, iracondia e ogni sorta di malignità. I farisei e gli scribi avevano capito che Gesù era davvero il Messia promesso dai profeti per la salvezza di Israele, e nonostante questa consapevolezza vollero ucciderlo. Una delle ragioni per cui i farisei e gli altri anziani di Israele odiavano il Signore era proprio l'invidia nei confronti di quella sapienza che Gesù - soltanto trentenne - manifestava, mentre loro - molto più anziani - non avevano, perché la loro esperienza era insufficiente a dar loro sapienza.

Ascoltate cosa dicono infatti gli ebrei che ascoltano l'insegnamento del giovane Gesù nella sinagoga: "Da dove gli vengono questa sapienza e queste virtù? Non è egli il figlio dell’artigiano?"; come a dire: come può una persona di così umile estrazione sociale e così giovane dire queste cose belle e giuste? Ecco l'atteggiamento esperienzialista: la verità procederebbe dal contesto in cui si cresce, dal proprio bagaglio di esperienze vissute. In un altro passo del vangelo, si legge che i giudei rinfacciano al Signore: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?" (Giovanni 8, 57). Come a dire: aspetta di diventare più anziano, e più esperto di vita, prima di parlare di religione...

Tutto il vangelo, dicevamo, è pieno di condanne almeno implicite a questo atteggiamento mentale. Ancora dodicenne, Gesù interroga e spiega le Scritture ai sacerdoti, e i dottori della legge si stupivano nel sentire una sapienza che quegli uomini potevano solo sognarsi: "Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti" (Luca 2, 46-48a). Anche da adulto, Gesù continuerà a stupire i dottori della Legge, e a sua volta Gesù rimarrà stupito (e forse deluso) dal loro stupore, come avverrà durante l'incontro clandestino e notturno tra il Signore e Nicodemo: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?" (Gv 3, 10).

L'esperienzialismo è un atteggiamento religioso sbagliato perché si genera dalla superbia, cioè in altre parole è un effetto mentale del peccato originale. Si genera dall'illusione che le proprie esperienze di vita, limitate a certi ambienti, a certi incontri, a certi luoghi, sia sufficiente per capire cos'è il bene e cos'è il male, cosa è giusto e cosa è immorale, chi è l'uomo e chi è Dio... L'umiltà invece spinge l'uomo a non cercare sapienza nelle proprie esperienze (o meglio: a imparare dall'esperienza nella misura in cui serve da correttivo di prudenza), ma nella Fede.

Avere Fede significa per noi cattolici conoscere e credere le verità rivelate da Dio. Chiediamoci infatti: come posso credere che la mia esperienza, per quanto possa essere accumulata in decenni di vita, sia superiore alla conoscenza rivelatami da Dio, che esiste da prima che il tempo iniziasse a scorrere? Cerchiamo dunque e troviamo il vero bagaglio di vita nella Parola di Dio, nel suo studio e nella preghiera, come faceva il piccolo Gesù che "cresceva in sapienza" (Luca 2, 52) grazie a questo, unico, infallibile metodo.   

sabato 15 aprile 2023

Che cos'è la Pace che Nostro Signore vuole donarci?


Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 20, 19-31.

In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent cláusae, ubi erant discípuli congregáti propter metum Iudaeórum: venit Iesus, et stetit in médio et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus, et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quórum remiséritis peccata, remittúntur eis: et quórum retinuéritis, reténta sunt. Thomas áutem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Iesus. Dixérunt ergo ei álii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille áutem dixit eis: Nisi vídero in mánibus eius fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus eius, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli eius intus: et Thomas cum eis. Venit Iesus iánuis cláusis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomae: Infer dígitum tuum huc, et vide manus meas, et affer manum tuam, et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus, et Deus meus. Dixit ei Iesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beati qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quídem et ália signa fecit Iesus in conspéctu discipulórum suórum, quae non sunt scripta in libro hoc. Haec áutem scripta sunt, ut credátis, quia Iesus est Christus Fílius Dei: et ut credéntes, vitam habeátis in nómine eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 20, 19-31.

In quel tempo, giunta la sera del primo giorno dopo il sabato, ed essendo chiuse le porte dove erano riuniti i discepoli per paura dei Giudei, venne Gesù e stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi". E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Ed allora i discepoli si rallegrarono al vedere il Signore. E Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, io mando voi". E detto questo soffiò su di essi e disse: "Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a coloro cui li rimetterete, e saranno trattenuti a coloro cui li tratterrete". Ma uno dei Dodici, Tommaso detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero perciò gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani la fessura dei chiodi, e non metto il mio dito nella fessura dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò". Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo in casa, e con loro c'era Tommaso. A porte chiuse, venne Gesù, stette in mezzo e disse: "Pace a voi". Quindi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito, osserva le mie mani, accosta la tua mano e mettila nel mio costato: e non essere più incredulo, ma credente". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio". E Gesù: "Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non vedranno e crederanno". Vi sono anche molti altri prodigi fatti da Gesù in presenza dei suoi discepoli, che non sono riportati in questo libro. Questi poi sono stati riportati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

La Seconda Domenica di Pasqua, detta anche tradizionalmente Domenica in Albis nell'Ottava di Pasqua, o anche Domenica della Divina Misericordia, è un concentrato di grandi temi spirituali e teologici. Il racconto fornitoci dall'evangelista Giovanni di una duplice apparizione (la prima avvenuta il giorno stesso della Pasqua, la seconda avvenuta otto giorni dopo) e che ha come protagonista l'apostolo Tommaso interroga profondamente la nostra relazione e la nostra Fede nell'Uomo-Dio risorto dalla morte.

Ma c'è una espressione pronunciata qui da Gesù ben tre volte e che deve suscitare il nostro interesse: Pace a voi. Vale la pena soffermarsi per capire a fondo cosa vuole augurare Gesù agli apostoli con questo saluto. Presso gli ebrei si trattava di un saluto assai comune - ancora oggi shalom significa "pace" - ma in bocca a Nostro Signore assume un significato molto più profondo.

In precedenza, il Signore aveva detto agli apostoli: "Vi lascio la pace, vi dò la mia pace, non come è solita darla il mondo io la dò a voi" (Giovanni 14, 27). Quando Gesù proferì quelle parole, ancora non era giunto il momento della Passione: adesso quel momento è compiuto, e quella pace vera è giunta. Ma la pace del Signore non assume un significato sociologico: essa non è l'assenza di conflitti tra Stati, non è la coesistenza pacifica nel vicinato, non è la quiete familiare, non è la buona educazione. La pace, per gli antichi e per i medievali, indica sempre uno stato dell'animo: si tratta dunque di qualcosa eminentemente individuale e personale.

La pace è l'accordo tra le passioni basse e la volontà, quest'ultima educata da un intelletto illuminato dalla Fede. Questa pace dunque può sussistere nell'uomo solo se nel suo cuore regna la Fede in Cristo Gesù. Il Signore però ci mette in guardia: esiste anche una pace del mondo. Di cosa si tratta?

Se la pace di Cristo è l'accordo delle passioni inferiori e della volontà superiore illuminata dalla Fede, nella sottomissione delle prime alla seconda, la pace mondana è esattamente l'opposto: la volontà umana si sottomette alle passioni inferiori. E perciò l'uomo mondano vive secondo le sue passioni disordinate, secondo i vizi capitali, alla ricerca di piacere effimero e ricchezze passeggere. 

L'apostolo san Tommaso - protagonista di questo episodio del vangelo - non aveva ancora gustato la pace di Nostro Signore. Il suo animo inquieto e turbato dallo scandalo della croce non aveva ancora trovato riposo spirituale. Infatti, anche per il credente la pace non è cosa immediata: esige non solo la Fede (condizione necessaria ma non sufficiente), ma un cammino costante di preghiera, perfezionamento e carità. San Paolo lo dice chiaramente: "io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto" (Romani 7, 15). E nel dire così, l'Apostolo sottolineava la difficoltà di sottomettere le passioni inferiori, che desiderano ciò che il credente non vuole raggiungere. 

C'è dunque questo conflitto tra la parte razionale dell'uomo, che sa cos'è il Bene e vuole raggiungerlo, e le parti basse dell'anima, che invece si ostinano a ricercare il piacevole, anche se è peccaminoso.

L'apparizione di Cristo Risorto a san Tommaso dissipa le nubi della confusione e dell'inquietudine. Il Risorto comanda all'incredulo discepolo di vedere e toccare le fessure dei chiodi e di mettere la mano nel costato trafitto dalla lancia. Queste ferite gloriose della Redenzione, che neanche l'evento prodigioso della Resurrezione ha potuto rimarginare, significano per Tommaso la conferma nella Fede: Mio Signore e mio Dio! In quelle stesse piaghe dobbiamo trovare il riposo della nostra mente e del nostro spirito, per poter acclamare insieme a tutta Chiesa la stessa Fede, e la stessa Speranza.

Gaetano Masciullo

domenica 9 aprile 2023

Gesù è per noi soltanto un forestiero incontrato lungo il cammino?

 


Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 24, 13-35.

In illo témpore: Duo ex discípulis Jesu ibant ipsa die in castéllum, quod erat in spátio stadiórum sexagínta ab Jerúsalem, nómine Emmaus. Et ipsi loquebántur ad ínvicem de his ómnibus, quae accíderant. Et factum est, dum fabularéntur, et secum quaérerent: et ipse Jesus appropínquans ibat cum illis: óculi autem illórum tenebántur, ne eum agnóscerent. Et ait ad illos: Qui sunt hi sermónes, quos confértis ad ínvicem ambulántes, et estis tristes ? Et respóndens unus, cui nomen Cléophas, dixit ei: Tu solus peregrínus es in Jerúsalem, et non cognovísti, quae facta sunt in illa his diébus? Quibus ille dixit: Quae ? Et dixérunt: De Iesu Nazaréno, qui fuit vir prophéta potens in ópere et sermóne, coram Deo, et omni pópulo: et quómodo eum tradidérunt summi sacerdótes et príncipes nostri in damnatiónem mortis, et crucifixérunt eum. Nos autem sperabámus, quia ipse esset redemptúrus Israël: et nunc super haec ómnia, tértia dies est hódie, quod haec facta sunt. Sed et mulíeres quaedam ex nostris terruérunt nos, quae ante lucem fuérunt ad monuméntum, et, non invénto córpore ejus, venérunt, dicéntes se étiam visiónem Angelórum vidísse, qui dicunt eum vívere. Et abiérunt quidam ex nostris ad monuméntum: et ita invenérunt sicut mulíeres dixérunt, ipsum vero non invenérunt. Et ipse dixit ad eos: O stulti, et tardi corde ad credéndum in ómnibus, quae locúti sunt prophétae ! Nonne haec opórtuit pati Christum, et ita intráre in glóriam suam? Et incípiens a Móyse, et ómnibus prophétis, interpretabátur illis in ómnibus Scriptúris, quae de ipso erant. Et appropinquavérunt castéllo, quo ibant: et ipse se finxit lóngius ire. Et coëgérunt illum, dicéntes: Mane nobíscum, quóniam advesperáscit, et inclináta est jam dies. Et intrávit cum illis. Et factum est, dum recúmberet cum eis, accépit panem, et benedíxit ac fregit, et porrigébat illis. Et apérti sunt óculi eórum, et cognovérunt eum: et ipse evánuit ex óculis eórum. Et dixérunt ad ínvicem: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loquerétur in via, et aperíret nobis Scriptúras ? Et surgéntes eádem hora regréssi sunt in Jerúsalem: et invenérunt congregátos úndecim, et eos, qui cum illis erant, dicéntes: Quod surréxit Dóminus vere, et appáruit Simóni. Et ipsi narrábant, quae gesta erant in via: et quómodo cognovérunt eum in fractióne panis.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 24, 13-35.

In quel tempo, due discepoli di Gesù andavano in un villaggio distante sessanta stadi da Gerusalemme, chiamato Emmaus, e discorrevano fra di loro di tutto quello che era accaduto. Mentre ragionavano e conferivano insieme, Gesù, accostatosi a loro, camminava con essi: ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Disse loro: "Che discorsi andate facendo per strada e perché siete tristi?" Uno di essi, chiamato Cleofa, rispose: "Tu solo sei forestiero in Gerusalemme e non sai quanto vi è accaduto in questi giorni?" E Gesù: "Che cosa?" Ed essi risposero: "Quello che riguarda Gesù il Nazareno, che fu un profeta, potente in opere e parole dinanzi a Dio e a tutto il popolo; profeta che i sommi sacerdoti e i nostri capi fecero condannare a morte e crocifiggere. Ora, noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele: invece, con tutto ciò, eccoci al terzo giorno da che tali cose sono accadute. Veramente alcune donne fra noi ci hanno spaventati. Andate prima di giorno al sepolcro, non avendo trovato il corpo di Gesù, sono venute a raccontarci di avere anche veduto una apparizione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro, e hanno trovato come avevano detto le donne, ma non lo hanno visto". Gesù disse loro: "O stolti e tardi di cuore a credere tutto ciò che hanno detto i profeti! Non era forse necessario che il Cristo patisse tali cose e così entrasse nella sua gloria?". E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegava loro ciò che in tutte le Scritture lo riguardava. Giunti presso il villaggio dove erano diretti, egli fece capire di voler andare più avanti, ma essi lo trattennero, dicendo: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno declina". Egli entrò in casa con loro. Ora, avvenne che, stando a tavola con essi, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono gli occhi dei due e lo riconobbero: ma egli sparì dai loro sguardi. Ed essi dissero fra loro: "Non ardeva forse il nostro cuore mentre per strada ci parlava e ci svelava il senso delle Scritture?". Alzatisi, tornarono subito a Gerusalemme, dove trovarono radunati insieme gli Undici e gli altri che stavano con essi, i quali dissero: "Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone". Allora essi raccontarono quel che era accaduto per strada e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Durante la sua vita terrena, Gesù incontrava le persone di ogni giorno senza segni esteriori di gloria e grandezza divina. Curioso pensare che anche adesso, dopo la Resurrezione, Gesù appare ai discepoli di Emmaus con la stessa assenza di gloria, anzi con un aspetto tale che Cleofa e il suo compagno di viaggio - i quali pure avevano frequentato Gesù in vita, e conoscevano il suo aspetto - non riescono a riconoscerlo, ma lo confondono per un forestiero qualunque.

Il viaggio non dura poco tempo, ma parecchie ore, tanto che giunti a Emmaus sul calar della sera, i discepoli invitano colui che doveva apparir loro come un affascinante quanto colto straniero a entrare in casa e passare la notte in un luogo sicuro, prima di riprendere il viaggio. Notiamo come il Signore, prima di spiegare le Scritture, chiede ai due discepoli la ragione della loro tristezza

Questo è un grande atto di pedagogia e di carità del Signore. Egli lascia che i due discepoli, smarriti e carichi di dolore, si sfoghino, manifestino le loro incertezze e le loro preoccupazioni. La citazione riportata dall'evangelista Luca è lunga, il che ci fa pensare che Cleofa e l'amico parlarono a lungo con Gesù, prima di lasciargli la parola. 

E notiamo che numerosi e di vario tipo sono i pensieri che balenano nella mente dei due viandanti: la meraviglia che qualcuno potesse ignorare un evento così sorprendente quale la messa a morte di un profeta innocente, ma allo stesso tempo anche la delusione di non aver visto il trionfo politico di Cristo sui romani invasori; l'amarezza di percepire lo scorrere del tempo in uno stato di impotenza e di abbandono; il dubbio circa la realtà della resurrezione, sulla base di una testimonianza di persone - le donne - che all'epoca meritavano ben poca credibilità; poi nuovamente la delusione, al ricordo che gli apostoli hanno trovato il sepolcro vuoto, ma anche la preoccupazione: che fine aveva fatto il corpo del Messia? Chi avrebbe potuto trafugarlo?

Dopo questo lungo sfogo, finalmente Gesù esordisce, ma con una frase che colpisce dritta al cuore dei due protagonisti: "O stolti e tardi di cuore a credere tutto ciò che hanno detto i profeti! Non era forse necessario che il Cristo patisse tali cose e così entrasse nella sua gloria?". Cleofa e il suo compagno erano giudei osservanti, e come tutti i buoni ebrei conoscevano a menadito la Parola di Dio. Eppure, Gesù ci invita non solo a conoscere la Parola - cosa necessaria, evidentemente - ma a viverla. Così gli occhi dei discepoli iniziano ad aprirsi, ma non del tutto.

Bisognerà aspettare lo spezzare del pane. Sì, l'annuncio della Parola e la sua spiegazione aprono la mente a Dio, ma è solo nel sacramento che la vita di grazia trova compimento: solo in quel momento "i loro occhi si aprirono" e Gesù non è più un semplice forestiero incontrato per strada, ma il Signore che dà ardore al cuore e la forza per annunciare la lieta novella di salvezza.

Gaetano Masciullo

sabato 8 aprile 2023

Pasqua: la salvezza è oggi, non domani!


Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 1-7.

In illo témpore: María Magdaléne, et María Iacóbi, et Salóme, emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Iesum. Et valde mane una sabbatórum, véniunt ad monuméntum, orto iam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt iúvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Iesum quaéritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis eius, et Petro, quia praecédit vos in Galilaéam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 1-7.

In quel tempo, Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomè comperarono degli aromi per andare ad ungere Gesù. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, arrivarono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicevano tra loro: "Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro?" E guardando, videro che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto sul lato destro, rivestito di candida veste, e rimasero sbalordite. Egli disse loro: "Non vi spaventate, voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avevano posto. Ma andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse".

La mattina di Pasqua è un momento di grande gioia. Il sepolcro vuoto di Gesù diventa per noi credenti il simbolo della sconfitta della morte, su tutti i livelli: spirituale, morale, ma anche corporale. Il Signore è veramente risorto, ma "non è qui". 

Il Signore non abita dove c'è la morte, o dove c'è ancora il sentore della sua macabra presenza. Il Signore Dio è il Vivente ed è Dio dei vivi, non dei morti, e "precede gli apostoli in Galilea". Questa immagine del Signore che precede gli apostoli (cioè i futuri vescovi) richiama alla mente l'immagine della colonna di fuoco che, nell'Esodo, garantiva agli israeliti la presenza visibile del Dio invisibile e che li precedeva nel loro cammino attraverso il Mar Rosso e attraverso il deserto.

In effetti, Gesù è la vera colonna di fuoco per ogni cristiano. Egli protegge, illumina e precede con il suo Spirito, che dona a coloro che scelgono di vivere nella sua grazia. Questo annuncio che l'angelo fa alle donne - "dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea" - non è un semplice annuncio di gioia, è qualcosa perfino di più. Da notare come l'angelo pone l'accento non solo sull'urgenza di avvertire il collegio apostolico, ma in particolare Pietro (alla faccia di coloro che dicono che il primato petrino non è biblico). In altre parole, Dio sta sollecitando la Chiesa in questo passo a rialzarsi e annunciare in fretta l'annuncio che il peccato è stato sconfitto e una vita nuova attende l'umanità nel nome di Gesù Cristo.

Questa sollecitudine dell'angelo non può non far venire in mente la sollecitudine della Pasqua antica: ancora una volta, nell'Esodo (ricordiamo che la Pasqua ebraica è la prefigurazione della Pasqua cristiana, quella vera e definitiva), nella notte in cui l'angelo del Signore scese a fare "giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto" e a sterminare i primogeniti degli egiziani, Dio comanda a Israele per bocca del suo profeta Mosè di festeggiare quella notte di salvezza. Ma si tratta di un comando strano per una festa: solitamente la festa è motivo di gioia, di rilassatezza, di svago. Invece gli ebrei sono chiamati da Dio a consumare la Pasqua "in fretta", addirittura ordina di mangiare l'agnello "in piedi, con la cinta ai fianchi, il bastone in mano".

Questa sollecitudine è ripresa dall'angelo nella nuova Pasqua, di cui ci narrano i vangeli: "andate", è il repentino comando. Non c'è tempo per sbalordirsi, per guardarsi intorno. Bisogna raggiungere Cristo in Galilea, che nel vangelo è proprio il simbolo dell'incontro tra Israele e le genti, tra il vecchio e il nuovo, l'antica e la nuova alleanza che Dio intende stipulare: "Galilea delle genti".

Perché tanta fretta, verrebbe da chiedersi? La ragione è presto detta: Dio chiama alla salvezza l'uomo oggi. Tante volte il mondo (e soprattutto il mondo moderno, con le sue illusioni, le sue tentazioni, le sue lusinghe) ci invita a rimandare il pensiero di Dio. La vita è breve - ci suggeriscono - tanto vale godere il più possibile, tanto sono giovane, ho ancora tanta aspettativa di vita di fronte a me! Penserò alla morte e a ciò che segue, ammesso che possa mai scoprirlo, quando arriverà il momento della vecchiaia. Ma poi ci dicono che oggi si può vivere fino a 120 anni, e chi pensa più alla morte? 

La morte invece è un'amara realtà, che tocca a tutti, e che è ineludibile. Solo pensando alla morte e al nostro vero destino, al nostro momento finale, possiamo dare un senso, un significato alla nostra esistenza. Diciamo così: partendo dalla contemplazione della fine (ciò che un tempo la Chiesa chiamava novissimi), tutto il viaggio della vita terrena trova non solo la vera gioia e la vera pace, ma perfino la vera proiezione, che va oltre il limite fisico della morte biologica. C'è un'altra morte che dobbiamo temere, più di quella corporale, la "seconda morte" dell'inferno. Nostro Signore è sceso agli inferi - lo recitiamo nel Credo - e ha predicato il vangelo alle anime che non poterono accedere in Paradiso prima della Redenzione, e ha liberato molte anime di giusti, ma non tutte le anime. La misericordia si ferma laddove la giustizia è offesa. Cerchiamo allora anche noi, in questa Pasqua, di dire sì oggi e di consumarla "in fretta", divorati dallo zelo di annunciare al mondo che Cristo ha vinto la morte e il peccato.

Gaetano Masciullo

venerdì 7 aprile 2023

Nella Resurrezione di Cristo, il nostro destino


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 28,1-7.

Véspere autem sábbati, quæ lucéscit in prima sábbati, venit María Magdaléne, et áltera María vidére sepúlcrum. Et ecce terræmótus factus est magnus. Angelus enim Dómini descéndit de cælo: et accédens revólvit lápidem, et sedébat super eum: erat autem aspéctus eius sicut fulgur: et vestiméntum eius sicut nix. Præ timóre autem eius extérriti sunt custódes, et factu sunt velut mórtui. Respóndens autem Angelus, dixit muliéribus: «Nolíte timére vos: scio enim, quod Iesum, qui crucifíxus est, quǽritis: non est hic: surréxit enim, sicut dixit. Veníte, et vidéte locum, ubi pósitus erat Dóminus. Et cito eúntes dícite discípulis eius, quia surréxit et ecce præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis. Ecce prædíxi vobis».

Seguito del Santo Vangelo secondo Matteo 28,1-7.

Alla sera del sabato, verso l'alba del primo giorno dopo il sabato, Maria Maddalena e l'altra Maria vennero a vedere il sepolcro. Ed ecco ci fu un grande terremoto. Infatti un Angelo del Signore era disceso dal Cielo: ed entrandoci ribaltò la pietra e stava seduto su di essa: era in verità il suo aspetto come la folgore e la sua veste come la neve. E infatti per suo timore le guardie rimasero atterrite e rimasero come morte. Ma l'Angelo rispondendo disse alle donne: «Voi non temete: so infatti che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui: è infatti risorto come aveva detto. Venite e vedete il luogo dove era stato posto il Signore. Quindi, recandovi alla svelta, dite ai suoi discepoli che è risuscitato ed ecco vi precede in Galilea: lì lo vedrete. Ecco ve l'ho predetto".

Se la Passione e la Morte di Nostro Signore Gesù Cristo sulla croce è stata la necessaria espiazione che l'Uomo-Dio ha offerto al Padre per soddisfare una colpa non imputata a lui, ma alla specie umana, macchiata dal peccato originale, e ciò mosso per amore di soffrire in maniera vicaria e per riscattare la sua creatura dal dominio degli inferi e riaprirgli nuovamente le porte del vero Eden del Paradiso, la Resurrezione dello stesso Cristo ci mostra almeno due cose, in maniera tanto maestosa quanto indubitabile.

Anzitutto ci dimostra che il peccato originale è stato davvero lavato nel suo sangue, come sangue di agnello perfetto e senza macchia. Altrimenti, non potrebbe esserci un prodigio tanto grande, la cui matrice divina è chiara (ritornare in vita con un corpo glorioso dopo due giorni di giacenza nel sepolcro), e allo stesso tempo mentire su quello che è stato il fine dell'Incarnazione e della Passione: "Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati - disse una volta Gesù a un povero paralitico - prendi il tuo letto e va' a casa tua" (Mt 9,6). 

In quel miracolo egli volle prefigurare la sua vittoria sul peccato antico e la sua Resurrezione: la prova del fatto che Cristo ha davvero il potere di rimettere i peccati del mondo (e anzitutto il peccato originale) è dato dal fatto che ciò che prima era paralitico - cioè il vecchio Adamo, paralitico perché morto alla grazia, incapace di agire nella buona volontà, dolore cui Gesù stesso ha voluto partecipare con la sua morte terrena - adesso si alza di nuovo - cioè risorge - e va "a casa sua": e la nostra casa è il Cielo.

Ma la Resurrezione ci mostra anche qual è il nostro destino. Noi, infatti, non siamo anzitutto spiriti, altrimenti saremmo stati creati da Dio come angeli. Noi invece siamo uomini, unione di "carne, anima e spirito" (1Tessalonicesi 5, 23), e Dio ci ha creati secondo questa perfezione. Dal momento che tutto ciò che Dio crea è buono, e dal momento che l'uomo in particolare è "cosa molto buona" (Genesi 1, 31), ecco che la carne - creazione buona del Signore - non può essere rinnegata, ma avrà redenzione insieme all'anima e insieme allo spirito. Ecco perché risorgeremo: credo la resurrezione della carne, e la vita eterna.

È verità di fede cattolica e indubitabile che tutti gli uomini, alla fine dei tempi, risorgeranno, vivi e defunti, beati e dannati: i primi per una resurrezione gloriosa, i secondi per una resurrezione di condanna. La beatitudine dei primi si amplificherà, anzi diverrà perfetta. La dannazione dei secondi diverrà purtroppo anch'essa perfetta, ma nella privazione di Dio e nel dolore, anche sensibile.

Il peccato originale ha avuto tra le sue nefaste conseguenze anzitutto la perdita della grazia, la chiusura del Cielo, poi l'intelletto oscuro, la volontà debole, la concupiscenza smodata, l'irascibilità facile. E quindi anche il corpo ne ha sofferto: se l'anima cede, tutta la carne ne risente. Ecco perché nel mondo è entrata con il peccato la malattia, la caducità e la morte. Cristo, risorgendo, non ha riportato la natura di Adamo allo stato precedente la sua caduta, ma a uno stato migliore, in cui non potrà più cedere alle lusinghe del diavolo: anzi tra i beati e i dannati sarà confermato quell'abisso che separa il buon Lazzaro dall'epulone (cfr. Lc 16, 26).

Gaetano Masciullo

giovedì 6 aprile 2023

La Croce di Cristo ci indica il cammino della perfezione

 


Parte della Sequenza della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (cfr. Gv 18,1-40; 19,1-42):

Tunc ergo trádidit eis illum, ut crucifigerétur. Suscepérunt autem Iesum et eduxérunt. Et báiulans sibi Crucem, exívit in eum, qui dícitur Calváriæ, locum, hebráice autem Gólgotha: ubi crucifixérunt eum, et cum eo álios duos, hinc et hinc, médium autem Iesum. Scripsit autem et títulum Pilátus: et pósuit super crucem. Erat autem scriptum: Iesus Nazarénus, Rex Iudæórum. Hunc ergo títulum multi Iudæórum legérunt, quia prope civitátem erat locus, ubi crucifíxus est Iesus. Et erat scriptum hebráice, græce et latíne. Dicébant ergo Piláto pontífices Iudæórum: "Noli scríbere Rex Iudæórum, sed quia ipse dixit: Rex sum Iudæórum". Respóndit Pilátus: "Quod scripsi, scripsi". Mílites ergo cum crucifixíssent eum, accepérunt vestiménta eius (et fecérunt quátuor partes: unicuíque míliti partem), et túnicam. Erat autem túnica inconsútilis, désuper contéxta per totum. Dixérunt ergo ad ínvicem: "Non scindámus eam, sed sortiámur de illa, cuius sit". Ut Scriptúra implerétur, dicens: "Partíti sunt vestiménta mea sibi: et in vestem meam misérunt sortem". Et mílites quidem hæc fecérunt. Stabant autem iuxta Crucem Iesu Mater eius et soror Matris eius, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Iesus Matrem et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: "Múlier, ecce fílius tuus". Deínde dicit discípulo: "Ecce mater tua". Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua. Póstea sciens Iesus, quia ómnia consummáta sunt, ut consummarétur Scriptúra, dixit: "Sítio". Vas ergo erat pósitum acéto plenum. Illi autem spóngiam plenam acéto, hyssópo circumponéntes, obtulérunt ori eius. Cum ergo accepísset Iesus acétum, dixit: "Consummátum est". Et inclináte cápite trádidit spíritum. Iudæi ergo (quóniam Parascéve erat), ut non remanérent in cruce córpora sábbato (erat enim magnus dies ille sábbati), rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Iesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum iam mórtuum, non fregérunt eius crura, sed unus mílitum láncea latus eius apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi dunque presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei”. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: “Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il Re dei Giudei”. Rispose Pilato: “Ciò che ho scritto, ho scritto”. I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: "Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca". Così si adempiva la Scrittura: "Si sono divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte". E i soldati fecero proprio così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

La Passione è l'esito necessario della vita terrena di Nostro Signore Gesù Cristo, il prezzo del riscatto che Dio ha esatto da se stesso (anziché dall'uomo colpevole) per soddisfare una Giustizia che altrimenti sarebbe rimasta perpetuamente offesa. Può esserci un amore più grande di questo? Non è facile, dalla prospettiva di uomini e donne che vivono nella modernità, intravedere l'Amore vero - quello con la A maiuscola - in un gesto del genere, che mette alla prova la nostra concezione umana, troppo umana, di giustizia e anche di misericordia.

Eppure, Gesù Cristo non ha voluto semplicemente morire sulla croce per espiare al posto di Adamo (e della sua discendenza) il debito antico del peccato originale. Era sufficiente una stilla sola di sangue per espiare quella colpa: sarebbe bastato il sangue versato nella circoncisione per redimere il mondo intero! Ma per manifestare l'infinità di questo amore divino, Cristo volle volontariamente e liberamente portare al sommo grado le proprie sofferenze.

Egli tuttavia soffrì pene così indicibili anche per manifestarci la via della perfezione cristiana. La Via Crucis, infatti, cioè la salita di Nostro Signore al Calvario, è immagine della salita che ogni credente battezzato deve intraprendere per raggiungere la vetta del proprio personale Golgota, che in fin dei conti è la vetta della santità.

Vediamo allora come ogni tappa rappresenta misticamente un passo del nostro cammino. La flagellazione rappresenta la necessità di mortificare la nostra carne, cioè la concupiscenza, che genera desideri smodati e vizi: "Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Galati 5, 24); la incoronazione di spine rappresenta la necessità di mortificare i propri pensieri, l'origine di ogni azione malvagia: "Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!" (Matteo 15, 11).

Consideriamo poi la condanna a morte di Gesù per bocca di Ponzio Pilato, sobillato dalla folla e dai farisei. Essa fu una giusta pena assegnata a un uomo innocente: noi sappiamo infatti che il peccato originale ha condannato a morte Adamo e la sua discendenza: "La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo" (Sapienza 2, 24). E finalmente, caricato di un così ignobile fardello, Cristo si trascina - costantemente insultato e mortificato dalla folla indemoniata che lo accompagnava - fino all'Altare della Redenzione. Il giogo che Cristo ha portato per noi è sporco del divino sangue: è il giogo del mondo, che schiaccia e opprime. Gesù lo ha preso al posto nostro, per darci in cambio un giogo nuovo: il precetto della carità, quello che dona la piena libertà: "Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Matteo 11, 29).

Contempliamo ancora Gesù che viene denudato dai romani, appena giunto sul Calvario. La sua tunica, fatta senza cuciture, fu oggetto di una scommessa profanatrice per mano dei soldati. In questo gesto leggiamo misticamente l'unione di Cristo alla sua Chiesa. Sappiamo infatti che la sua Chiesa cattolica è una, come recitiamo anche nel Credo ogni domenica: credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. La Chiesa, tuttavia, che è lo stesso corpo mistico del Signore, viene spesso spogliata e umiliata nella sua unità da pensieri che non appartengono a Dio, dalle eresie e dagli scismi, così come la sua tunica senza cuciture fu profanata e affidata al caso da uomini che non conoscevano la Rivelazione e la Legge di Israele.

Contempliamo ancora l'insegna che Pilato fece porre sopra la Croce: Gesù Nazareno Re dei Giudei. Questo titulus di condanna era scritto in latino, greco ed ebraico (cfr. Giovanni 19, 20). Non possiamo comprendere fino in fondo lo scandalo dei farisei, se non scopriamo prima che le iniziali di queste parole in ebraico componevano il nome di Dio - JHWH - impronunciabile per i sommi sacerdoti. E così, senza volerlo, Pilato dichiarò con quel titulus la natura divina di Gesù Cristo! Ecco perché la Croce diviene a un contempo Altare, Trono e Talamo di Nostro Signore: Altare, perché paga il prezzo del nostro riscatto; Trono, perché qui si manifesta l'apice dell'amore, che è la vera maestà e gloria di Dio; Talamo, perché il sangue della croce permette l'unione mistica di Dio con le anime dei credenti, che da ora non saranno più chiamati figli dell'ira, ma figli adottivi in Cristo Gesù, che regna per tutti i secoli. Amen.  

mercoledì 5 aprile 2023

Un'Obbedienza radicata nell'Umiltà


Sequentia Sancti Evangelii secundum Ioannem 13, 1-15.

Ante diem festum Paschæ, sciens Iesus, quia venit hora eius, ut tránseat ex hoc mundo ad Patrem: cum dilexísset suos, qui erant in mundo, in finem diléxit eos. Et coena facta, cum diábolus iam misísset in cor, ut tráderet eum Iudas Simónis Iscariótæ: sciens, quia ómnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exívit, et ad Deum vadit: surgit a coena et ponit vestiménta sua: et cum accepísset línteum, præcínxit se. Deínde mittit aquam in pelvim, et coepit laváre pedes discipulórum, et extérgere línteo, quo erat præcínctus. Venit ergo ad Simónem Petrum. Et dicit ei Petrus: Dómine, tu mihi lavas pedes? Respóndit Iesus et dixit ei: Quod ego fácio, tu nescis modo, scies autem póstea. Dicit ei Petrus: Non lavábis mihi pedes in ætérnum. Respóndit ei Iesus: Si non lávero te, non habébis partem mecum. Dicit ei Simon Petrus: Dómine, non tantum pedes eos, sed et manus et caput. Dicit ei Iesus: Qui lotus est, non índiget nisi ut pedes lavet, sed est mundus totus. Et vos mundi estis, sed non omnes. Sciébat enim, quisnam esset, qui tráderet eum: proptérea dixit: Non estis mundi omnes. Postquam ergo lavit pedes eórum et accépit vestiménta sua: cum recubuísset íterum, dixit eis: Scitis, quid fécerim vobis? Vos vocátis me Magíster et Dómine: et bene dícitis: sum étenim. Si ergo ego lavi pedes vestros, Dóminus et Magíster: et vos debétis alter altérius laváre pedes. Exémplum enim dedi vobis, ut, quemádmodum ego feci vobis, ita et vos faciátis.

Seguito del vangelo secondo Giovanni 13, 1-15.

Prima del giorno della festa di Pasqua, sapendo Gesù che era giunta la sua ora per transitare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò per uno scopo. E preparata la cena, quando il diavolo già aveva messo in cuore a Giuda figlio di Simone Iscariota di tradirlo, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era uscito da Dio e andava a Dio, si alzò dalla cena e depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro. E Pietro gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù e gli disse: “Ciò che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. Gli disse Pietro: “Non mi laverai i piedi in eterno!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Gli disse Gesù: “Chi è lavato, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti”. Sapeva infatti che ci fosse qualcuno che l'avrebbe tradito; per questo disse: “Non tutti siete puri”. Dunque, dopo che ebbe lavato i loro piedi e ripreso le sue vesti, sedutosi di nuovo, disse loro: “Sapete che cosa ho fatto a voi? Voi chiamate me Maestro e Signore: e dite bene, perché lo sono. Se dunque io ho lavato i piedi vostri, il Signore e il Maestro, anche voi dovete lavare i piedi l'uno dell'altro. Vi ho dato infatti l’esempio, perché, come io ho fatto a voi, così anche voi facciate".

Nel cuore della Settimana Santa, la Chiesa ci invita a meditare sulla grande eredità che Nostro Signore ha lasciato agli apostoli - quindi alla Chiesa stessa - poco prima di essere consegnato ai peccatori per essere ucciso come agnello pasquale.

Questa grande eredità è l'Eucarestia, eppure non è su di essa che si sofferma tanto il vangelo odierno, quanto su quell'altro grande sacramento che ad essa è legata in maniera indissolubile, cioè l'Ordine sacro. Oggi la figura del sacerdote è quantomai bistrattata, fraintesa, ridicolizzata, manipolata. La verità è che il sacerdozio riveste l'uomo di una dignità che lo rende superiore addirittura agli angeli, che per natura sono superiori a qualunque essere umano "ordinario".

Il ruolo del sacerdote - colui che custodisce ciò che è sacro - è perfettamente raffigurato in questo episodio evangelico. Il Signore vuole insegnare con un'azione, anziché con un discorso, cosa significa essere sacerdoti di Dio. Ma anche questo atto di lavare i piedi non doveva essere di facile comprensione per i suoi discepoli: in effetti, ancora oggi potremmo fraintenderlo come un atto di semplice filantropia.

Per ovviare questo problema, l'evangelista Giovanni si sofferma in particolare sul dialogo che avviene tra Gesù e un apostolo in particolare, Simon Pietro. Non è un caso che proprio questo dialogo viene riportato dall'evangelista. Pietro è il principe degli apostoli - il primo Papa. Incapace di leggere quel gesto del Signore come qualcosa di più che un mero servizio umano, l'apostolo rifiuta di farsi lavare i piedi.

Ma la risposta del Signore è spiazzante, e lo invita ad andare oltre: “Ciò che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. Simon Pietro ancora non comprende l'opportunità di un simile atto, e rilancia: “Non mi laverai i piedi in eterno!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Forse qui che una piccola luce si accende nel cuore e nella mente di Simon Pietro.

In un solo gesto, quello del Signore di piegarsi e lavare e asciugare i piedi degli apostoli, sono raffigurate due virtù, l'umiltà e l'obbedienza. Queste due virtù, tanto vituperate oggi, ma necessarie per muovere guerra contro le tracce di superbia che il peccato originale ha lasciato nella nostra carne,  sono in un rapporto di sottomissione: l'obbedienza infatti è radicata, sottomessa all'umiltà; mai viceversa.

Poiché Gesù è "mite e umile di cuore", egli è anche obbediente in tutto al Padre fino alla morte, e alla morte di croce: egli umilia se stesso e offre la propria anima, il proprio corpo, il proprio sangue in sacrificio per tutti gli uomini di buona volontà. Così dovranno fare anche gli apostoli: essere umili alla volontà del Padre e manifestare quest'obbedienza in ogni circostanza, opportuna e inopportuna. Sarà proprio san Pietro a dire di fronte al Sinedrio un domani: "Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi" (Atti 4,19).

In un periodo storico come quello che viviamo, pieno di grande e gravissima confusione nella Chiesa, capace soltanto di generare disunità tra i cattolici, e di fare il gioco di colui che è divisore fin dal principio, chiediamo al Signore la grazia di modellare il nostro cuore di pietra sul suo cuore "mite e umile", per imparare davvero a obbedire in tutto alla volontà del Padre, e a discernere la vera e la falsa obbedienza in questa vita.

Gaetano Masciullo

sabato 1 aprile 2023

Gesù è proclamato Re e Salvezza del popolo



Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 21, 1-9.
In illo témpore: Cum appropinquásset Iesus Ierosólymis, et venísset Béthphage ad montem Olivéti: tunc misit duos discípulos suos, dícens eis: Ite in castéllum, quod contra vos est, et statim inveniétis ásinam alligátam, et pullum cum ea: sólvite, et addúcite mihi: et si quis vobis áliquid díxerit, dícite, quia Dóminus his opus habet, et conféstim dimíttet eos. Hoc áutem totum factum est, ut adimplerétur quod dictum est per Prophétam, dicéntem: Dícite fíliae Sion: Ecce Rex tuus venit tibi mansuétus, sédens super ásinam et pullum, fílium subiugális. Eúntes áutem discípuli, fecérunt sicut praecépit illi Iesus. Et adduxérunt ásinam et pullum: et imposuérunt super eos vestiménta sua, et eum désuper sedére fecérunt. Plúrima áutem turba stravérunt vestiménta sua in via: álii áutem caedébant ramos de arbóribus, et sternébant in via: turbae áutem, quae praecedébant, et quae sequebántur, clamábant, dicéntes: Hosánna fílio David: benedíctus qui venit in nómine Dómini.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 21, 1-9.
In quel tempo, essendosi Gesù avvicinato a Gerusalemme e essendo arrivato a Betfage presso il Monte degli Ulivi, inviò subito due suoi discepoli, dicendo loro: "Andate nel villaggio soprelevato che è di fronte a voi e troverete subito un'asina legata e un puledro insieme a essa: scioglieteli e portatemeli e, se qualcuno vi dirà qualcosa, dite che il Signore ha bisogno di essi e subito li lascerà". Infatti tutto questo accadde perché si adempisse ciò che era stato detto attraverso il Profeta, che dice: "Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo Re viene mansueto, che siede sopra un'asina e sopra il suo puledro da soma". Andati quindi i discepoli, fecero come Gesù aveva ordinato loro. E condussero l'asina e il puledro e posero sopra di essi i suoi vestiti e lo fecero sedere sopra quello [il puledro]. Infatti una grande folla stese le proprie vesti sulla via, altri invece tagliavano i rami dagli alberi e li gettavano sulla via, la folla invece che lo precedeva e che lo seguida acclamava dicendo: "Osanna al figlio di Davide: benedetto colui che viene nel nome del Signore".

Dopo tre anni di ministero terreno, finalmente il Cristo ha raggiunto lo scopo della sua venuta nel mondo: affrontare la dolorosa Passione, necessario strumento di espiazione del peccato antico: Dio si è fatto Uomo per scontare una colpa infinita che l'uomo da solo non è in grado di espiare.

Dio non contraddice se stesso. Egli ha fondato l'universo sulla giustizia. Il primo angelo ha perso la grazia di Dio senza essere stato tentato da qualcuno e per questo la sua condizione infernale è irrevocabile. Ma l'uomo ha perso la grazia di Dio a causa della tentazione e dell'inganno di un altro, cioè del diavolo, ed era giusto non solo che da un altro arrivasse il consiglio per conservarsi nella grazia - e questi è Gesù in quanto Dio - ma anche che da un uomo idoneo arrivasse l'espiazione e la giustificazione per una colpa infinita che ha afflitto tutto il genere umano - e questi è Gesù in quanto Uomo.

Ovviamente, visto che era stata una coppia di esseri umani a peccare mortalmente per tutti - Adamo ed Eva - solo un altro essere con la loro stessa natura (cioè un altro uomo) poteva espiare tale colpa universale. Ma nessun uomo è capace di espiare una colpa infinita, neanche se consideriamo nell'insieme tutti gli uomini che sono vissuti dall'alba dei tempi, che esistono e che esisteranno: gli uomini non possono pagare con la propria vita il prezzo della Grazia perduta, che è infinita.

Era necessario che Dio - l'unico capace di meriti infiniti - si umiliasse fino a prendere le fattezze della specie colpevole, la specie umana, e riportasse giustizia nell'universo per amore della sua creatura. Ecco sintetizzata la grande missione terrena di Gesù Cristo!

E però, prima di entrare per l'ultima volta a Gerusalemme, la volontà imperscrutabile di Dio volle manifestare ancora una volta la regalità di Gesù Cristo, contro l'odio e l'invidia delle autorità ebraiche e contro la supponenza dell'Impero romano. Mentre i farisei complottavano per uccidere Gesù e Lazzaro (cfr. Giovanni 12, 10-11), il popolo si radunava per riconoscere Gesù Messia di Israele e lo acclamava come re.

Il vangelo secondo Matteo ci narra che Gesù si recava da Betania, la città di Lazzaro, verso Gerusalemme passando per Betfage, che il vangelo definisce castellum, cioè un villaggio sopraelevato. Come riporta san Remigio nel suo commento a questo passo evangelico, Betfage era un paese di sacerdoti, probabilmente abitato per lo più da appartenenti alla tribù di Levi. Infatti, la Legge mosaica proibiva agli ebrei di compiere più di mille passi nel giorno di sabato e pertanto i sacerdoti che si recavano a Gerusalemme per officiare i riti prescritti erano soliti pernottare in questo paesello.

L'evangelista narra dunque questo misterioso episodio in cui Gesù invia due discepoli a ritirare un'asina e un puledro e prevede la protesta che alcune persone, presumibilmente i padroni delle due bestie, gli faranno. In effetti, quando i due discepoli riferirono l'ordine di Gesù - "il Signore ha bisogno di essi" - nessuna protesta vi fu da parte di nessuno. I Padri della Chiesa hanno interpretato questa pronta obbedienza di perfetti sconosciuti all'ordine di Cristo come un segno della sottomissione dell'umanità intera al volere di Gesù Cristo, il quale è detto Signore anche di coloro che non lo conoscono, perfino di coloro che giacciono sotto il potere del Maligno.

Matteo è l'unico evangelista che parla della presenza dell'asina, oltre a quella del suo puledro, sul quale Gesù salirà e che invece è menzionato dai restanti evangelisti (cfr. Marco 11,1-8; Luca 19,29-35; Giovanni 12,14-15).

Anche questo è un elemento misterioso, che può essere spiegato solo alla luce dell'interpretazione della Chiesa, perché la distanza tra Betfage e Gerusalemme è così misera che non necessitava l'impiego di una cavalcatura. Il puledro rappresenta tutti i popoli pagani che non avevano conosciuto Dio, mentre l'asina rappresenta Israele. Ecco perché solo Matteo cita l'asina: perché il suo vangelo era destinato anzitutto agli ebrei convertiti al cristianesimo.

Ed è da notare che Cristo non monta sull'asina, ma sul puledro, a profetizzare che la sua missione redentrice non è limitata al solo Israele, anche se solo ai Giudei fu profetizzata la sua venuta nel mondo. E comunque il puledro è figlio di quell'asina, così come il Nuovo Testamento procede dall'Antico Testamento ed anzi ne è il compimento e la perfezione. E ancora, bisogna notare che Gesù inviò due apostoli a prelevare i due animali, perché la predicazione del vangelo e la fede in Cristo è necessaria per la salvezza di tutti, non solo per i pagani, ma anche per gli ebrei.

I discepoli trovano l'asina e il puledro legati per simboleggiare che l'intera umanità prima di Cristo era schiava del diavolo a causa dell'antico peccato: la parola vizio infatti deriva dal latino victus che significa 'legato' e i vizi rendono gli uomini più simili alle bestie, prive di ragione.

E per questo Cristo ordina ai due discepoli di sciogliere i due animali, perché è attraverso la Chiesa che Dio ordina di sciogliere, cioè di liberare tutti gli uomini dai vincoli della carne, del mondo e del diavolo. E poi Gesù aggiunge: "e portatemeli", perché la gloria di Dio è la felicità della vita dell'uomo.

"Se qualcuno vi dirà qualcosa, dite che il Signore ha bisogno di essi e subito li lascerà". Quante volte il mondo impedisce alla Chiesa di predicare il vangelo e salvare le anime tramite i Sacramenti? Quante volte la Chiesa si fa intimorire dai poteri mondani? Cristo invece invita la Chiesa a perseverare nell'annuncio evangelico, nonostante le avversità.

"Osanna! - gridava il popolo festante a Gerusalemme - Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele!" (Gv 12, 13). Si era così realizzata la profezia dell'Antico Testamento: "Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d'asina" (Zaccaria 9,9). La parola ebraica osanna significa "salva!": ennesimo riferimento alla missione redentrice di Cristo.

Gesù rivela quindi ai Dodici la sua missione, che avrà culmine a Gerusalemme: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Giovanni 12, 24). Gesù è il chicco di grano, che sarà ucciso e sepolto sottoterra, dalla quale risorgerà glorioso e genererà "molto frutto", cioè le membra sante della Chiesa cattolica.

E ancora: "Che cosa dovrei dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome" (Giovanni 12, 27b-28a). La croce è la gloria di Dio. Ed ecco, com'era avvenuto sul Giordano e sul Tabor, ancora una volta Dio fa sentire a tutto il popolo una voce soprannaturale: "Venne allora una voce dal cielo: 'L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!'" (Giovanni 12, 28b).

Iniziamo la Settimana Santa, Settimana di Passione, riconoscendo Gesù Cristo Re e Signore della nostra anima, l'unico in grado di riscattarci dalla triste eredità dei nostri progenitori, l'unico che può aprirci le porte del paradiso. Rendiamoci meritevoli di un così infinito dono!

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...