sabato 11 maggio 2024

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20.

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum, et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, praedicáte Evangélium omni creatúrae. Qui credíderit, et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, haec sequéntur: In nómine meo daemónia eiícient: linguis loquéntur nobis: serpéntes tóllent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super aegros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in coelum, et sedet a déxtris Dei. Illi autem profécti, praedicavérunt ubíque, Dómino cooperánte, et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 14-20.

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici, radunatisi per mangiare, e rinfacciò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: "Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno serpenti e se avranno bevuto qualcosa di velenoso questo non farà loro male, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". E il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in Cielo e siede alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la parola con i miracoli che la seguivano.

Il periodo pasquale ci invita a riflettere in maniera particolare sulle tre virtù teologali, cioè quegli abiti dell'anima infuse direttamente da Dio nella nostra anima al momento del Battesimo e nutrite con i Sacramenti, irraggiungibili con le sole forze umane. La solennità di Pasqua, memoria della Resurrezione di Cristo dai morti, avrebbe dovuto farci riflettere sulla fede. Ora la solennità di Ascensione ci farà riflettere sulla speranza, così come Pentecoste dovrebbe farci riflettere sulla carità. 

L'Ascensione di Gesù al Cielo non è stata infatti un gesto di esibizionismo divino, ma un evento di grande significato per gli apostoli, che erano ancora smarriti dopo la crocifissione del loro Maestro. Secondo il pensiero di San Tommaso d'Aquino, la vista di Cristo che ascendeva al Cielo con il suo corpo assume diversi scopi educativi per la Chiesa. 

Prima di tutto, quest'immagine - che anche noi possiamo portare alla nostra immaginazione - serve ad aumentare la Fede già fondata sull'evento pasquale, poiché la mancanza della presenza fisica di Cristo ci fa capire che Egli, in quanto Dio, abbraccia tutto ciò che esiste e ciò che facciamo: non è affatto limitato dalla località come noi uomini. Inoltre, l'Ascensione - e questo è il tratto più importante - rappresenta la fonte della Speranza, poiché ci fa comprendere che il Bene cui aspiriamo è in alto, anche se difficile da raggiungere. Infine, serve a preparare l'affetto della Carità, orientando i nostri desideri verso le verità eterne e fornendoci una visione più completa della realtà.

Secondo il Vangelo di Luca, l'Ascensione avvenne nell'Orto degli Ulivi, lo stesso luogo in cui Gesù fu tradito e arrestato prima della crocifissione. Curiosamente, Marco, il cui vangelo è noto per la sua brevità, non menziona questo dettaglio, ma collega l'evento alla missione apostolica di predicare il vangelo, convertire i cuori, battezzare e guarire i peccatori. Nelle Sacre Scritture, si menziona che il Signore Risorto si è assiso alla destra del Padre. Ma cosa vuol dire questa espressione? La destra, nel contesto biblico, è simbolo di giustizia. Quindi, la destra del Padre si riferisce alla massima giustizia, quella divina. Nel vangelo, il Signore afferma: "Sono venuto nel mondo per giudicare" (Giovanni 9, 39), sottolineando che la giustizia divina richiede che il Figlio, che ha redento l'umanità, distribuisca attraverso la Chiesa - che partecipa misticamente al suo corpo ferito - i meriti per la salvezza. Allo stesso tempo, questa giustizia divina richiede che il Figlio punisca i demeriti delle sue creature quando necessario, quelle creature che rifiutano l'amore di Dio per l'amore del mondo.

Il Signore è definito come la "primizia di coloro che risorgono dai morti" (1Corinzi 15, 20). Come Cristo è risorto, così risorgeremo anche noi, quando verrà restaurato il Regno di Israele (Atti 1, 6). Questo regno non è il regno terreno di Davide, ma un regno eterno, del quale il regno dell'Antico Testamento era solo una pallida immagine: il regno del Paradiso, la Gerusalemme celeste, che sorge alla fine dei tempi dopo il Giudizio Universale. È interessante notare che Cristo sia risorto portando ancora i segni della sua Passione: attraverso quella sofferenza, infatti, Cristo ha guadagnato il diritto di essere un giudice misericordioso e un salvatore giusto per l'umanità.

Gaetano Masciullo 

sabato 4 maggio 2024

I sette doni dello Spirito Santo

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 23-30

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum iam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli eius: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 23-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete, e otterrete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose per mezzo di parabole. Ma viene il tempo in cui non vi parlerò più per mezzo di parabole, ma vi parlerò apertamente del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome, e non vi dico che io pregherò il Padre per voi: poiché lo stesso Padre vi ama perché avete amato me e avete creduto che sono uscito da Dio. Uscii dal Padre e venni nel mondo: ed ora lascio il mondo e torno al Padre". Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco che ora parli chiaramente e senza parabole. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno ti interroghi: per questo crediamo che tu sei venuto da Dio".

Il Maestro Gesù ci invita a rivolgerci a Dio nel Suo nome. Egli chiarisce: "Qualsiasi cosa chiederete al Padre nel Mio nome, ve la concederà". Ma c'è qualcosa di speciale a cui Gesù si riferisce in questo passo del Vangelo? C'è qualcosa di particolare che Gesù desidera che chiediamo al Padre, affinché la nostra gioia sia "completa"?

Effettivamente, nonostante il Signore sia provvido e "ricompensi coloro che Lo cercano" (Ebrei 11, 6), c'è un dono che Egli desidera conferire alla Sua creatura più di ogni altra cosa. Solo questo Dono potrà rendere completa la gioia di coloro che credono nel nome di Gesù. Ora sappiamo che il nome Gesù significa "Dio salva": credere nel nome di Gesù significa quindi riconoscere che Dio ci ha salvati attraverso il sacrificio di Cristo.

Cosa dobbiamo chiedere al Padre per rendere completa questa gioia che la croce di Cristo ha reso possibile? La narrazione evangelica di questo episodio è proclamata dalla Chiesa in un momento cruciale del ciclo liturgico pasquale, che culmina con le solennità dell'Ascensione e, successivamente, di Pentecoste. È qui che sorge il sublime Dono che dobbiamo implorare dal Signore: lo Spirito Santo, il "Signore che dà la vita", lo Spirito del Padre che è anche lo "Spirito del Figlio" (Galati 4, 6), perché da loro procede e con loro unisce i due in una sola e beata Trinità di amore.

Ma lo Spirito, oltre a unire la Trinità, unisce anche tutto il creatore alla sua creatura, redenta dal prezioso sangue, e desidera dimorare in ogni cuore dell'uomo salvato: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1 Corinzi 3, 16). Ogni credente è chiamato a essere un sacro tempio di Dio, seguendo l'esempio di Gesù stesso, che per primo chiamò il Suo puro corpo Tempio del Padre: egli lo fece affinché fosse un esempio per noi.

Chiedere a Dio il dono dello Spirito Santo significa, secondo la tradizione della Chiesa, custodire in noi sette santi doni, sette virtù soprannaturali, che completano e sostengono le virtù teologali e naturali. Ciò implica che i sette doni dello Spirito Santo perfezionano e supportano una condizione che dobbiamo coltivare in noi stessi. Questi sette doni sono tradizionalmente conosciuti come doni di sapienza, di scienza, di intelletto, di fortezza, di timore di Dio, di pietà e di consiglio.

La virtù teologale della Fede trova applicazione nella scienza e nell'intelletto. La scienza è quel dono che ci consente di discernere con chiarezza ciò che deve essere creduto da ciò che non lo deve essere. L'intelletto, invece, è il dono che ci permette di penetrare profondamente nei misteri della Fede, cioè nelle verità rivelate da Dio.

La virtù teologale della Speranza si collega al timore di Dio. Quest'ultimo ci spinge a non volere più offendere Dio, non per paura dell'inferno, ma per amore e per il timore di separarci da Lui (è anche noto come timore filiale).

La virtù cardinale della Prudenza si accompagna al dono del consiglio. Questo dono è una virtù infusa da Dio che ci guida verso le cose che sono bene ordinate per il fine eterno o verso quelle che sono necessarie per vivere bene, sia esse temporali che spirituali.

Alla virtù cardinale della Giustizia corrisponde il dono della pietà, una virtù di venerazione che ci porta a relazionarci con Dio come con un Padre celeste.

La virtù cardinale della Fortezza trova riscontro nel dono che porta lo stesso nome, una virtù soprannaturale che ci spinge a perseverare nella grazia anche a costo della vita.

Infine, la Sapienza, il dono più nobile e sinonimo di santità, si applica alla virtù più elevata, la carità teologale. Quest'ultima rappresenta l'apice della vita mistica e spirituale ed è il dono proprio dei santi. È la vetta del cammino ripido che porta all'unione con il Signore, e a cui tutti noi dobbiamo aspirare. La sapienza indica la perfezione della mente umana che ci spinge a seguire la volontà dello Spirito Santo, quasi come un istinto.

Gaetano Masciullo

sabato 27 aprile 2024

Le tre accuse dello Spirito Santo

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 16, 5-14.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia haec locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: éxpedit vobis ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto, et de iustítia, et de iudício. De peccáto, quidem, quia non credidérunt in me: de iustítia vero, quia ad Patrem vado, et iam non vidébitis me: de iudício autem, quia prínceps huius mundi iam iudicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quaecúmque áudiet, loquétur, et quae ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 5-14.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Vado a Colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E, venendo, Egli accuserà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi, ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che dovrà arrivare. Egli mi glorificherà, perché ciò che riceverà da me lo annunzierà anche a voi".

Nella Quarta Domenica dopo Pasqua, il brano evangelico proclamato dalla Chiesa contiene una delle profezie di Gesù riguardanti la Pentecoste, ossia il momento in cui lo Spirito Santo sarà inviato sugli apostoli e su Maria, istituendo così ufficialmente la Chiesa.

L'episodio odierno si apre con parole che trasmettono una sensazione di amarezza e delusione da parte di Cristo. Dopo aver profetizzato il suo ritorno "a Colui che mi ha mandato" (anticipando così l'Ascensione), Gesù sembra aspettarsi una domanda precisa dai suoi discepoli: "Dove vai?" 

Tuttavia, tale domanda non giunge. Questa situazione potrebbe apparire contraddittoria a più di qualcuno, considerando che nel vangelo secondo Giovanni due apostoli rivolgono a Gesù esattamente questa domanda: "Dove vai?", in risposta alle sue profezie sugli ultimi avvenimenti della sua vita terrena. Il primo a farlo è san Pietro, durante l'Ultima Cena (cfr. Gv 13, 36), mentre il secondo è san Tommaso, che chiede: "Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?" (Gv 14, 5). Risulta quindi sorprendente che Gesù ora sembri lamentarsi del fatto che nessuno gli abbia chiesto dove stia andando.

Il Signore Gesù adotta una pedagogia progressiva, dalla quale dovremmo prendere esempio. "Ho ancora molte cose da dirvi - leggiamo nella pagina odierna - ma per il momento non siete in grado di comprenderle". Sembra quasi implicare: "Nel momento in cui dovreste chiedermi dove vado, non lo fate; quando invece non potete capire la risposta, allora mi rivolgere la domanda". Ogni domanda ha il suo momento. La Verità, rappresentata dal deposito della fede che la Chiesa nascente, attraverso i Dodici, dovrà custodire e trasmettere, è Cristo stesso: "Io sono la Via, la Verità e la Vita" (Giovanni 14, 6). La Verità però richiede un cuore puro, disposto ad accoglierla come merita. Un cuore ben disposto è la volontà che pone al secondo posto i propri desideri e al primo posto i diritti di Dio.

San Tommaso d'Aquino paragona i sette Sacramenti alle fasi della vita biologica umana, poiché - afferma - la vita del corpo riflette la vita dello spirito, e viceversa. I Sacramenti non riguardano l'intelletto (altrimenti saremmo gnostici,). La Pentecoste, che ci ricorda il Sacramento della Confermazione, equivale per l'anima a ciò che la fine dell'adolescenza significa per il corpo fisico umano. Se l'alimentazione rafforza il corpo e fornisce energia per svolgere le funzioni vitali, e tale ruolo spiritualmente analogo è svolto nella vita spirituale dall'Eucaristia, il raggiungimento della maturità del corpo serve anche a difendersi dai nemici esterni e tale ruolo spiritualmente analogo è svolto dalla Confermazione.

Lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, porta avanti la missione annunciata da Gesù: "quello che riceverà da me lo annunzierà anche a voi". La sua potenza si manifesta attraverso una triplice azione nei confronti del mondo, specialmente verso coloro che si allontanano dalla vita divina. Non è casuale che Gesù usi il verbo latino latino arguo, che significa "accusare".

La prima accusa riguarda il peccato per antonomasia, cioè il peccato originale, la superbia di conoscere e rifondare la realtà. Questa pretesa è intesa come violazione dell'Alleanza tra l'uomo e Dio, che poi si manifesta nel rifiuto di accettare la Rivelazione di Cristo. Da questa mancanza di fede derivano tutti gli altri peccati: ecco perché tale peccato è il peccato per eccellenza. La seconda accusa riguarda la giustizia, poiché Gesù dice: "io vado al Padre e voi non mi vedrete più". Se il mondo sceglie di respingere Cristo, è giusto che non ne goda più della sua presenza. La terza accusa riguarda il giudizio, cioé la sentenza di condanna, il culmine della Storia: la sconfitta del principe di questo mondo, il diavolo, colui che ha introdotto il peccato e quindi la morte nel mondo. Anche noi, dopo gli apostoli, siamo chiamati a portare nel mondo il fuoco e la spada dello Spirito Santo, testimoniando che la vittoria è possibile solo attraverso la Croce e la Resurrezione della Verità incarnata.

Gaetano Masciullo

sabato 20 aprile 2024

La Chiesa ha vinto duemila anni fa

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 16-22.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Módicum, et iam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis eius ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Módicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Iesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quǽritis inter vos, quia dixi: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora eius: cum autem pepérerit púerum, iam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos ígitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 16-22.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Ancora un poco e non mi vedrete più; e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre". Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: "Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più; e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quello che dice". E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: "Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più; e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà la vostra gioia".

Ancora una volta, la liturgia ci fa riflettere sul grande dono che Dio ha fatto all'umanità istituendo la Chiesa, la comunità dei credenti, di coloro che partecipano della sua stessa vita in virtù dei meriti del Crocifisso redentore. La pagina di vangelo odierna, infatti, mette in luce il legame che sussiste tra la Passione di Nostro Signore e la sua Resurrezione con il mistero della Chiesa, che trae origine dal suo sacrificio sulla croce.

Attraverso l'immagine efficacissima della donna che dà alla luce il proprio figlio con grande e inesprimibile dolore, Gesù predice agli apostoli la gioia che essi proveranno alla sua Risurrezione. Sebbene gli apostoli non comprendessero appieno il significato di quelle parole, la Tradizione cattolica ha poi visto in questa donna  proprio un'immagine della Chiesa. Gli apostoli sono infatti le dodici colonne portanti, rappresentano le fondamenta della città di Dio, adornate di pietre preziose, come si legge in Apocalisse.

La Chiesa è spesso indicata misticamente come il "Corpo di Cristo" e la "Sposa di Cristo". La Chiesa è simile a una donna fecondata da Cristo sulla croce, il cui dolore è condiviso dal Signore stesso e da coloro che partecipano alla sua sofferenza. Per questo motivo, molti maestri di spiritualità hanno indicato la Croce non solo come l'altare del Sacerdote Eterno e come il trono del Re dell'Universo, ma anche come il talamo nuziale del Mistico Sposo.

Il dolore della donna partoriente fa venire anche in mente il dolore e le sofferenze indicibili dei martiri, di coloro che, a imitazione di Cristo, hanno amato Dio e la Chiesa fino alla suprema testimonianza, fino all'effusione del proprio stesso sangue. Secondo Tertulliano, "il sangue dei martiri è il seme dei nuovi cristiani". L'atto eroico dei martiri cristiani ha prodotto sempre, in ogni momento della storia della Chiesa (ancora oggi), l'effetto inatteso di alimentare e diffondere ulteriormente il Cristianesimo, anziché porvi fine: infatti, nessuno sarebbe disposto a sacrificarsi per una menzogna o un'illusione.

Questo fenomeno può essere bene paragonato dunque al parto di una donna, in cui la Chiesa, simile a una madre, genera nuove anime per Cristo e rigenera la vita dei credenti attraverso la Fede e il sacramento del Battesimo. Il passaggio evangelico richiama quindi l'intera comunità ecclesiale a riflettere sulla sua missione di evangelizzatrice del mondo, incoraggiandola a non temere le sfide, le tribolazioni e le persecuzioni che potrebbe dover affrontare, poiché sa di aver già vinto queste battaglie duemila anni fa, mediante il sacrificio salvifico sulla Croce di Cristo.

Gaetano Masciullo

sabato 13 aprile 2024

Gesù è il Buon Pastore

 

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 10, 11-16.

In illo témpore: Dixit Iesus pharisǽis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercenárius autem et qui non est pastor, cuius non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves: mercenárius autem fugit, quia mercenárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et álias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovíli: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 10, 11-16.

In quel tempo, Gesù disse ai Farisei: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. Il mercenario invece, e chi non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, e lascia le pecore, e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore: il mercenario fugge perché è mercenario, e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e queste conoscono me, come il Padre conosce me, ed io il Padre. Io dò la vita per le mie pecore. E ho delle altre pecore, le quali non sono di quest’ovile: anche quelle occorre che io raduni, e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo ovile e un solo pastore".

Il vangelo di Giovanni, a differenza degli altri vangeli sinottici, pone l'accento sulla natura divina di Nostro Signore, che già nei primissimi decenni dell'età apostolica veniva messa in dubbio da alcuni gruppi di cristiani, che poi diverranno noti come ebioniti. Per questo motivo, all'interno di questo vangelo, più volte troviamo discorsi di Gesù che iniziano con l'espressione "Io sono", che rimanda direttamente alla manifestazione di Dio a Mosè nell'Esodo. In quell'occasione, Dio aveva detto che il suo nome è proprio "Io sono", nome impronunciabile per la mentalità ebraica, se non dal Sommo Sacerdote, una volta all'anno, nel sancta sanctorum del Tempio.

L'evangelista Giovanni, invece, mette il nome di Dio in bocca a Gesù più volte nel corso della sua narrazione, e ciò sia per sottolinearne la natura divina sia per sottolinearne la natura sacerdotale: Cristo è il vero Sommo Sacerdote. Nella pagina di vangelo odierno, in particolare, la teofania di Cristo è accompagnata da un'accezione tutta particolare. "Io sono: il buon pastore", dice il Signore. Precedentemente, Gesù aveva detto di essere "il pane vivo disceso dal Cielo" e "la luce". Adesso dice di essere "il buon pastore". Nell'indicare se stesso come pane, Gesù fa un chiaro riferimento all'Eucarestia, con la quale Egli si farà continuamente e sacramentalmente presente in mezzo agli uomini. Nell'indicare se stesso come luce, Gesù fa un chiaro riferimento alla dottrina, che Egli stesso incarna. Nell'indicare se stesso come buon pastore, Egli ci ricorda che non è solo il nostro nutrimento, ma anche colui che ci nutre: in Cristo sacerdote e vittima coincidono. 

Chi è infatti il pastore? Il pastore non è semplicemente colui che conduce il gregge verso l'ovile, ma è anzitutto colui che "assegna il pasto" (da qui il termine "pastore"), colui che nutre le pecore. Così Cristo nutre la Chiesa tramite i sacramenti, soprattutto l'Eucarestia, e la buona dottrina. Egli non è un pastore qualunque, ma il "buon pastore". Se leggiamo il testo greco, scopriamo che l'aggettivo kalòs vuol dire "bello", e nell'ottica greca la bellezza denota un'armonia integrale, che coinvolge dunque l'intero essere di Gesù. Cristo è bello perché armonioso e buono nel corpo, nell'anima, nella vita, nella divinità. 

Nell'indicare se stesso come buon pastore, il Signore però non manca nel metterci in guardia anche dai falsi pastori, che egli chiama con il significativo termine "mercenari". All'epoca del Signore, infatti, quando i pastori disponevano di greggi molto numerosi, assoldavano dei custodi affinché vegliassero al posto loro su certe porzioni di greggi. Evidentemente, i pastori - coloro cui le pecore appartenevano - avevano a cuore il benessere del gregge, mentre coloro che venivano assoldati avevano a cuore anzitutto il proprio interesse economico. Accadeva spesso, dunque, che non appena comparivano dei lupi all'orizzonte, questi operai assoldati all'ora fuggivano a gambe levate, perché non avevano alcun interesse nel difendere le pecore. Così sono i falsi messia, i falsi profeti: essi vogliono solo nutrire il proprio ego, la superbia è il loro interesse, non la salvezza del mondo.

In tutte le pagine di vangelo che la Chiesa proclamerà fino alla I Domenica dopo l'Ascensione, ci sarà sempre un riferimento, più o meno velato, alla discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli apostoli nel cenacolo, evento che segnerà l'istituzione della Chiesa, nella solennità di Pentecoste. Anche nella pagina di vangelo proclamata quest'oggi c'è un riferimento, molto implicito, a questo evento. Infatti, il Signore Gesù promette l'istituzione della Chiesa, quando dice: "ci sono pecore che non sono di quest'ovile" e poi aggiunge: "sarà un solo ovile e un solo pastore". L'ovile è immagine della Chiesa. Questo discorso è rivolto ai farisei, le massime autorità religiose di Israele, e "questo ovile" cui Egli fa riferimento è proprio il popolo di Israele. Ma questo popolo è solo il seme, la prefigurazione della Chiesa. Dio ama anche le pecore che non appartengono a quest'ovile, cioè i gentili, e chiama anch'esse alla salvezza sulla Croce.

Gaetano Masciullo

sabato 6 aprile 2024

La Misericordia e la Fede nel Risorto


Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 20, 19-31.

In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent cláusae, ubi erant discípuli congregáti propter metum Iudaeórum: venit Iesus, et stetit in médio et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus, et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quórum remiséritis peccata, remittúntur eis: et quórum retinuéritis, reténta sunt. Thomas áutem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Iesus. Dixérunt ergo ei álii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille áutem dixit eis: Nisi vídero in mánibus eius fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus eius, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli eius intus: et Thomas cum eis. Venit Iesus iánuis cláusis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomae: Infer dígitum tuum huc, et vide manus meas, et affer manum tuam, et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus, et Deus meus. Dixit ei Iesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beati qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quídem et ália signa fecit Iesus in conspéctu discipulórum suórum, quae non sunt scripta in libro hoc. Haec áutem scripta sunt, ut credátis, quia Iesus est Christus Fílius Dei: et ut credéntes, vitam habeátis in nómine eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 20, 19-31.

In quel tempo, giunta la sera del primo giorno dopo il sabato, ed essendo chiuse le porte dove erano riuniti i discepoli per paura dei Giudei, venne Gesù e stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi". E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Ed allora i discepoli si rallegrarono al vedere il Signore. E Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, io mando voi". E detto questo soffiò su di essi e disse: "Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a coloro cui li rimetterete, e saranno trattenuti a coloro cui li tratterrete". Ma uno dei Dodici, Tommaso detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero perciò gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani la fessura dei chiodi, e non metto il mio dito nella fessura dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò". Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo in casa, e con loro c'era Tommaso. A porte chiuse, venne Gesù, stette in mezzo e disse: "Pace a voi". Quindi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito, osserva le mie mani, accosta la tua mano e mettila nel mio costato: e non essere più incredulo, ma credente". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio". E Gesù: "Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non vedranno e crederanno". Vi sono anche molti altri prodigi fatti da Gesù in presenza dei suoi discepoli, che non sono riportati in questo libro. Questi poi sono stati riportati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

La Domenica in Albis, detta anche, secondo la volontà di papa san Giovanni Paolo II, Domenica della Divina Misericordia, ci invita a riflettere su questo grande attributo di Dio, secondo santa Faustina Kowalska - l'apostola della Divina Misericordia - "il più grande attributo di Dio".

Oggi nella Chiesa si parla tanto, forse troppo, di misericordia, e in maniera spesso erronea. Si dice che la misericordia di Dio è gratuita nel senso di priva di costi e condizioni, infinita e dunque garantita. Se però è vero che la misericordia è gratuita, non è vero che è garantita. Le due cose non vanno di pari passo. Per capirlo, dobbiamo avere in mente che Dio non ha virtù e pregi allo stesso modo con cui ce l'ha l'uomo. Gli uomini possono essere buoni (virtuosi) sotto una certa prospettiva, e cattivi (viziosi) sotto un'altra, ma in Dio questo non è possibile, perché Dio è - si dice in teologia - semplice, cioè privo di parti, e perciò non si parla di qualità, ma di attributi divini. In altre parole, la misericordia, la giustizia, l'onniscienza, l'onnipotenza, ecc. significano la stessa cosa, cioé la natura divina, vista da prospettive diverse. Nell'uomo, giustizia e misericordia sono due cose distinte: cosicché un uomo può provare misericordia ma essere imperfetto nell'amministrazione della giustizia, o viceversa. In Dio questo non è possibile, perché giustizia e misericordia sono la stessa cosa, cioé la sua stessa natura divina.

Cos'è allora la misericordia? Qual è il suo rapporto con la giustizia? Possiamo definirli in questo modo. Giustizia è dare a ciascuno ciò che si merita, misericordia è dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno. Ci sono momenti in cui non è giusto dare al prossimo ciò di cui abbisogna, perché questi non è in grado di apprezzarne veramente il valore: allora bisognerà agire con giustizia, affinché il castigo che il demerito esige sia da insegnamento per apprezzare ciò di cui si abbisogna. Questo è l'agire di Dio. 

Nella pagina di vangelo odierno, che vede come protagonista l'apostolo san Tommaso, la misericordia viene collegata alla fede nel Signore Risorto. La misericordia nasce dalla carità, ma la carità procede dalla fede e dalla speranza, allo stesso modo in cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Ecco perché la misericordia è strettamente connessa alla promessa dello Spirito Santo che il Signore fa agli apostoli nella sua prima apparizione da Risorto qui raccontata: "Ricevete lo Spirito Santo: a coloro cui perdonerete saranno perdonati", e viceversa. Dio ha allora vincolato la sua misericordia al giudizio e all'amministrazione della Chiesa. Qui il Signore istituisce il sacramento della misericordia, che è la Confessione.

Ma per usare misericordia, bisogna essere ripieni della carità, cioé bisognerà aspettare la venuta dello Spirito Santo nei cuori degli apostoli. A Pentecoste nascerà la Chiesa, come corpo mistico di Cristo. Il cuore deve essere bene disposto ad accogliere la carità divina, che è la stessa vita di grazia. Bisogna perciò essere saldi nella fede. Ecco perché il Signore Risorto volle dapprima confermare la fede di tutti i suoi apostoli, e la fede di Tommaso era ancora imperfetta. Tommaso non aveva ancora il cuore pronto a ricevere il Santo Spirito. 

Che cos'è allora la fede? La Chiesa insegna che la fede è una virtù teologale (dono di Dio, non uno sforzo umano) e intellettuale, che cioé si applica sul nostro intelletto per meglio aderire alle verità rivelate. La fede non è esperienza con Dio, come insegnano oggi i teologi modernisti e neo-modernisti. Il vangelo secondo Giovanni inizia contestando questa concezione erronea della fede nel suo famoso Prologo: Dio nessuno lo ha mai visto. Nel dire che nessuno ha visto Dio, san Giovanni ci dice che nessuno ha avuto mai esperienza diretta di Dio. Il vangelo finisce con un concetto simile: Beati coloro che non vedranno, e crederanno. Ecco la grande differenza tra prima e dopo Cristo: prima di lui, nessuno ha avuto esperienza di Dio e perciò non erano beati; dopo Cristo, nessuno avrà esperienza di Dio ma potranno essere beati, perché Cristo ha acquistato i beni eterni. 

San Paolo rimarcherà questo aspetto usando la stessa metafora sensoriale della vista (che per gli antichi era il senso più nobile, quello dell'esperienza diretta): adesso vediamo in maniera confusa come in uno specchio - dice l'Apostolo - ma domani, dopo la morte, dopo il giudizio, noi vedremo faccia a faccia. La fede si trasformerà in esperienza solo quando saremo innestati nella vita eterna. L'Apostolo Paolo dice anche che fides ex auditu, la fede nasce dall'ascolto. Nell'usare quest'altro senso - l'udito - san Paolo ci dice che la fede, sebbene non sia esperienza diretta di Dio, nasce da un'esperienza, che è sì esperienza di Dio e del suo Cristo, ma un'esperienza indiretta, mediata dal suo corpo mistico che è la Chiesa. Dall'ascolto della predicazione degli apostoli, cioè della Chiesa, nasce la fede, che un giorno ci porterà ad avere esperienza viva di Cristo nell'eternità.

Gaetano Masciullo

sabato 30 marzo 2024

Cristo, Gioia immortale


Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 1-7.

In illo témpore: María Magdaléne, et María Iacóbi, et Salóme, emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Iesum. Et valde mane una sabbatórum, véniunt ad monuméntum, orto iam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt iúvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Iesum quaéritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis eius, et Petro, quia praecédit vos in Galilaéam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 1-7.

In quel tempo, Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomè comperarono degli aromi per andare ad ungere Gesù. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, arrivarono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicevano tra loro: "Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro?" E guardando, videro che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto sul lato destro, rivestito di candida veste, e rimasero sbalordite. Egli disse loro: "Non vi spaventate, voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avevano posto. Ma andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse".

La luce dell'alba di Pasqua risplende con una gioia senza pari. Il sepolcro vuoto di Gesù diventa il simbolo trionfante della vittoria sulla morte, trascendendo ogni dimensione: spirituale, morale e fisica. La risurrezione del Signore è un evento tangibile, ma il suo spirito è altrove, non più confinato in un luogo di morte.

Il Signore, il Dio della vita, si mostra dove c'è vita, e opera con sollecitudine, anticipando i suoi apostoli in Galilea. Questa immagine riporta alla mente la colonna di fuoco che guidava gli Israeliti, immagine della Chiesa, attraverso il deserto, come segno della presenza divina che li proteggeva e guidava. Per i credenti, Gesù è come la colonna di fuoco, illuminando e proteggendo con il suo Spirito coloro che vivono nella sua grazia. 

L'annuncio dell'angelo alle donne non è solo di gioia, ma di una chiamata urgente. È significativo che l'angelo metta in evidenza Pietro, riconoscendo il suo ruolo primario, sfatando così (ancora una volta) l'idea che il primato petrino non abbia basi bibliche. In questo passo, Dio invita la Chiesa a rialzarsi e ad annunciare con fervore che il peccato è stato sconfitto e che una nuova vita attende l'umanità nel nome di Gesù Cristo.

Questa premura angelica richiama alla mente l'antica premura della Pasqua: ritroviamo questo richiamo nell'Esodo, dove l'angelo del Signore, nella notte in cui Dio compie la sua giustizia sugli dèi dell'Egitto e fa strage dei primogeniti egiziani, ordina a Israele, tramite il profeta Mosè, di celebrare quella notte di liberazione. Tuttavia, è un comando strano per una festa: di solito le feste sono occasioni di gioia e svago. Invece, gli ebrei sono esortati da Dio a consumare la Pasqua "in fretta", persino a mangiare l'agnello "in piedi, con la cinta ai fianchi, il bastone in mano".

Questa premura viene ripresa nell'evento della nuova Pasqua, come raccontato nei vangeli: "andate", è il repentino ordine. Non c'è tempo per esitare o per esaminare la situazione. È necessario raggiungere Cristo in Galilea, simbolo dell'incontro tra Israele e le genti, tra il vecchio e il nuovo testamento, tra l'antica e la nuova alleanza che Dio intende instaurare: "Galilea delle genti".

Perché questa fretta, ci si chiede? Non è fretta, ma sollecitudine. La risposta è chiara: Dio chiama l'uomo alla salvezza oggi stesso. Spesso il mondo, soprattutto il mondo moderno con le sue illusioni, tentazioni e seduzioni, ci invita a rimandare il pensiero di Dio. "La vita è breve", si dice, "goditi il momento presente, un domani penserai alla morte e alle cose tristi!". Davvero? La morte è una realtà amara e inevitabile, un destino che tutti affrontiamo. È solo riflettendo sulla nostra fine e sul nostro destino finale che possiamo dare un senso alla nostra vita. Partendo dalla contemplazione della morte (un tempo era indicata come uno dei Novissimi dalla Chiesa), possiamo trovare vera gioia, pace e una prospettiva che va oltre la morte biologica. Oltre alla morte corporea, dobbiamo temere la "seconda morte" dell'inferno. Come recita il Credo, nostro Signore è sceso agli inferi e ha predicato il vangelo alle anime che là aspettavano la redenzione. Anche se ha liberato molte anime, la giustizia ha i suoi limiti. 

In questa Pasqua, cerchiamo di accogliere rapidamente la grazia di Cristo e di annunciarla con zelo al mondo, poiché Egli ha vinto la morte e il peccato.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...