sabato 30 aprile 2022

San Giuseppe, modello dei lavoratori

La Santa Famiglia di Nazareth: maggio 2013

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum, 13, 54-58.
In illo témpore: Véniens Iesus in pátriam suam, docébat eos in synagógis eórum, ita ut miraréntur et
dícerent: Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María, et fratres eius Iacóbus et Ióseph et Simone et Iúdas? Et soróres eius nonne omnes apud nos sunt? Unde ergo huis ómnia ista? Et scandalizabántur in eo. Iesus áutem dixit eis: Non est prophéta sine honóre nisi in pátria sua et in domo sua. Et non fecit ibi virtútes multas propter incredulitátem illórum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 13, 54-58.
In quel tempo, Gesù andò nella sua patria e insegnava loro nelle loro sinagoghe, sicché restavano stupefatti e dicevano: "Da dove gli vengono questa sapienza e queste virtù? Non è egli il figlio dell’artigiano? E sua madre non è chiamata Maria e i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe e Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra noi? Da dove quindi vengono a costui tutte queste cose?" E restavano scandalizzati di lui. Ma Gesù disse loro: "Non è senza onore un profeta, fuorché nella sua patria e nella sua casa". E lì non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

Nel 1917, la Rivoluzione sovietica diffuse nel mondo in maniera sistematica l'ideologia comunista e l'invito violento a combattere la guerra di classe. Presto, in tutte le nazioni, il 1° Maggio (giorno dedicato tradizionalmente nella Chiesa alla festa dei santi apostoli Filippo e Giacomo Minore) divenne la "festa laica" dei proletari e degli operai.

Il 20 luglio 1889, i rappresentanti dei principali partiti comunisti e laburisti europei, durante la Seconda Internazionale Socialista, decisero a Parigi di istituire questa festa in chiave anti-capitalista e anti-cattolica, con l'intento di sobillare il popolo contro quelli che venivano etichettati come "padroni e tiranni", cioè i proprietari delle industrie e i preti. Il socialismo ebbe molto successo, facendo leva sulle numerose ingiustizie sociali e sul facile odio da dirottare verso la Chiesa. I leader comunisti scelsero il 1° Maggio come festa del lavoro perché, in quel giorno dell'anno 1886, tre anni prima, ci fu un grande sciopero di operai a Chicago, che culminò in tragedia.

Il papa Pio XII, nel 1955, decise di riformare questo giorno liturgico e di "cristianizzare" la festa dei lavoratori, per indicare al popolo che il lavoro è un concetto nobile e cristiano, da rivendicare e anzi riscattare dall'ideologia socialista. Così infatti leggiamo nel Breviario tradizionale a proposito di questa solennità: "Affinché la dignità del lavoro umano, e i princìpi su cui è fondata, siano incisi più profondamente nelle menti delle persone, Pio XII istituì la festa di San Giuseppe artigiano, in modo che potesse dare il suo esempio e la sua protezione a tutte le unioni lavorative. Seguendo il suo esempio, coloro che esercitano professioni lavorative devono imparare secondo quale piano e quale spirito devono adempiere al loro compito in modo che obbedendo prima di tutto ai comandamenti di Dio, sottomettano la terra e contribuiscano alla prosperità economica, mentre allo stesso tempo guadagnano i frutti della vita eterna."

Nell'ottica cattolica, dunque, il lavoro assume una dimensione naturale e una dimensione soprannaturale, senza separarsi.

Il Breviario spiega anche la ragione che ha spinto il Pontefice a scegliere proprio il 1° maggio come festa di san Giuseppe: "Molto opportunamente, il Sommo Pontefice ha ordinato di celebrare questa festa il 1° maggio, il giorno adottato dalle associazioni dei lavoratori. Possiamo quindi sperare che questo giorno, dedicato a San Giuseppe artigiano, d'ora in poi non esaspererà più l'odio o ecciterà i conflitti, ma che, ogni anno, inviterà tutti gli uomini a realizzare sempre di più ciò che manca alla pace civile, e che stimolerà anche coloro che detengono il potere a raggiungere attivamente ciò che richiede il buon ordine della comunità umana".

Infine, ecco indicate anche le promesse della potente intercessione di questo ultimo sapiente patriarca: "il custode previdente della Famiglia di Nazaret non abbandonerà coloro che sono suoi compagni nel mestiere e nel lavoro: li coprirà con la sua protezione e arricchirà le loro case di ricchezze celesti".

Il modello di questa unità di princìpi è quindi san Giuseppe, il padre putativo di Gesù Cristo e sposo della Beata Vergine Maria. Nel sottolineare la natura sponsale di san Giuseppe, Pio XII ha voluto indicare la causa finale del lavoro, orientato anzitutto al benessere economico della propria famiglia, oltre che alla stessa gloria divina e santificazione personale.

La vita di san Giuseppe e della sua famigliola di Nazareth non fu esente da difficoltà, anche gravi, non solo economiche, ma anche più umane. La tradizione cristiana ha individuato nella vita di questo grande patriarca sette dolori, prontamente consolati da altrettante gioie. Si tratta di una tradizione molto antica, sistematizzata per la prima volta, in seguito a una rivelazione privata riconosciuta dalla Chiesa, dal francescano Giovanni da Fano, nel XV secolo, uno dei promotori dell'Ordine dei cappuccini.

Ecco dunque l'elenco di questi sette dolori: la perplessità di dover abbandonare la fidanzata Maria, che era rimasta incinta per opera dello Spirito Santo, perplessità prontamente consolata da un sogno angelico (cfr. Mt 1,18-25); il dolore di vedere la moglie partorire e il figliolo nascere in una squallida stalla, prontamente consolato dalle glorie angeliche di quella notte (cfr. Lc 2,16-19); il dolore di vedere la circoncisione di Cristo, immagine della futura morte redentrice, consolata dall'imposizione del nome di Gesù, che significa "Dio salva" (cfr. Lc 2,21); il dolore di ascoltare la profezia di Simeone sulla dolorosa passione, consolata dalla promessa della salvezza di tante anime (cfr. Lc 2,25-35); l'ansia di dover improvvisare una disperata fuga in Egitto dalle manie omicide di Erode, consolata dalla potenza di Cristo nel rovesciare gli idoli egizi, immagini dei demoni (cfr. Mt 2,13-21); il timore nei riguardi di Archelao, governatore della Giudea, prontamente consolato da un altro sogno angelico, che consigliò di recarsi in Galilea, a Nazareth (Lc 2,22-23); il dolore e l'ansia causati dallo smarrimento di Gesù dodicenne a Gerusalemme, ritrovato tre giorni dopo nella Città Santa mentre dialogava con i dottori della Legge (cfr. Lc 2,42-52).

La vita di san Giuseppe dunque, instancabile lavoratore, padre esemplare e marito giusto, deve davvero essere lo stampino degli uomini dei nostri tempi, soprattutto degli uomini cattolici. La società contemporanea ha tanto bisogno di mascolinità autentica, tanto indebolita da secoli di retoriche, ideologie, illusioni mondane. Per trovare il modello dell'uomo santo, guardiamo a san Giuseppe. Egli è uomo di azione, non uomo di chiacchiere. Si noti che i vangeli non riportano neanche una parola di san Giuseppe. Matteo, l'evangelista che appare più affezionato a questo santo (forse perchè il suo vangelo era destinato agli ebrei convertiti), nomina Giuseppe sette volte e lo descrive come "uomo giusto". La giustizia è la virtù sociale per eccellenza ed è alla base della prosperità economica. Troviamo in san Giuseppe la nostra stella polare.

Gaetano Masciullo

sabato 23 aprile 2022

Misericordia e Giustizia, due facce dello stesso Dio


Questa è l'immagine che santa Faustina Kowalska indicò come più simile all'apparizione di Gesù. Purtroppo, la variante "delicata" di questa immagine ha avuto un successo maggiore ed è pertanto più conosciuta.

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 20, 19-31.
In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent cláusae, ubi erant discípuli congregáti propter metum Iudaeórum: venit Iesus, et stetit in médio et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus, et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quórum remiséritis peccata, remittúntur eis: et quórum retinuéritis, reténta sunt. Thomas áutem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Iesus. Dixérunt ergo ei álii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille áutem dixit eis: Nisi vídero in mánibus eius fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus eius, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli eius intus: et Thomas cum eis. Venit Iesus iánuis cláusis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomae: Infer dígitum tuum huc, et vide manus meas, et affer manum tuam, et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus, et Deus meus. Dixit ei Iesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beati qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quídem et ália signa fecit Iesus in conspéctu discipulórum suórum, quae non sunt scripta in libro hoc. Haec áutem scripta sunt, ut credátis, quia Iesus est Christus Fílius Dei: et ut credéntes, vitam habeátis in nómine eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 20, 19-31.
In quel tempo, giunta la sera del primo giorno dopo il sabato, ed essendo chiuse le porte dove erano riuniti i discépoli per paura dei Giudei, venne Gesù e stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi". E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Ed allora i discepoli si rallegrarono al vedere il Signore. E Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, io mando voi". E detto questo soffiò su di essi e disse: "Ricevete lo Spírito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saranno ritenuti a chi li riterrete". Ma uno dei Dodici, Tommaso detto Dìdimo, non era con essi quando venne Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: "Abbiamo veduto il Signore". Ma egli: "Se non vedo nelle sue mani la fessura dei chiodi e non metto il mio dito nella fessura delle chiavi e non metto la mia mano nel suo costato, non credo". Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo in casa e con essi c'era Tommaso. A porte chiuse, venne Gesù, si pose in mezzo e disse loro: "Pace a voi". Quindi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito, osserva le mie mani, accosta la tua mano e mettila nel mio costato: e non essere più incredulo, ma credente". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio". E Gesù: "Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che credono senza vedere". Vi sono anche molti altri prodigi fatti da Gesù in presenza dei suoi discepoli, che non sono riportati in questo libro. Questi poi sono stati riportati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

La Domenica in albis (o Ottava di Pasqua) è divenuta nota, grazie al papa Giovanni Paolo II, anche come festa della Divina Misericordia. Il papa polacco volle infatti riconoscere le rivelazioni private di santa Maria Faustina Kowalska [1905-1938], anch'ella polacca, durante le quali il Cielo richiese di istituire questa solennità proprio in occasione della Domenica in albis.

E in effetti, il tema della divina Misericordia ben si confà anche alla liturgia tradizionale di questa domenica (ricordiamo che le apparizioni avvennero diverso tempo prima della Riforma liturgica post-conciliare). Dopo la Risurrezione, gli Undici apostoli - i primi vescovi della Chiesa - si erano rintanati nel cenacolo per timore di essere perseguitati dalle autorità giudaiche, insieme a Maria, la Madre di Gesù, e ad altre pie donne.

Quando Cristo apparve, il giorno di Pasqua, ai suoi diletti apostoli, Tommaso mancava all'appello e non potè assistere a quell'evento prodigioso, che riempì il cuore degli altri apostoli di speranza e gioia. L'incredulità di Tommaso fu presto ripagata, la domenica successiva, quando il Cristo Risorto apparve nuovamente "a porte chiuse" e mostrò all'apostolo scettico le sacre stigmate.

"Mio Signore e mio Dio", è il grido dell'apostolo pentito, che professa con quei due termini la natura divina di Gesù: infatti Signore (in ebraico: Adonai) è un titolo che i giudei riservavano esclusivamente a Dio.

In questo evento la giustizia di Dio abbraccia la sua misericordia, anzi ci dice che la prima non agisce e non può agire mai senza l'altra. Il tema dell'indissolubilità di questi due attributi divini era già stato affrontato da Gesù stesso durante il suo ministero terreno, con la cosiddetta "parabola dei vignaioli delle diverse ore" (cfr. Mt 20,1-16), ma adesso la mostra con l'esempio.

Gesù volle aspettare una settimana per risolvere i dubbi che tormentavano Tommaso: una tecnica pedagogica del Signore che avevamo già visto in occasione della Trasfigurazione (cfr. Lc 9, 28). Se contiamo anche le apparizioni precedenti - a Maria sua Madre (della quale i vangeli non ci parlano, ma è verosimile crederci, anche sulla base della Tradizione orale), a Maria Maddalena, al solo Simon Pietro, ai discepoli di Emmaus, a dieci apostoli - questa è la sesta apparizione a noi nota. La settimana apparizione, quella della perfezione, avverrà in Galilea, dove Gesù confermerà la missione petrina (cfr. Gv 21,1-23).

Qui invece vuole confermare la Fede di tutti gli apostoli nella Resurrezione, quindi nella vita eterna secondo il progetto di Dio.

Davvero un atto di Misericordia di Dio quello che vuole il Figlio dell'Uomo, il Messia promesso a Israele sin dai tempi antichi: andare a confortare gli amici che, in preda al panico, lo avevano abbandonato nell'ora più buia della croce. Ma è una misericordia che procede dalla giustizia: doveva infatti nascere la Chiesa per la propagazione della Fede nel mondo, per la salvezza delle anime, per l'applicazione dei meriti redentivi di Cristo per mezzo dei Sacramenti e in particolare del Battesimo.

La giustizia di Dio dà ciò che l'uomo merita, la misericordia di Dio dà ciò di cui l'uomo abbisogna: ma non si dà mai il caso che l'una avvenga contro l'altra. Dio non dà ciò che l'uomo abbisogna, se questi merita il contrario; così - viceversa - Dio concede tutte le grazie (anche quelle non necessarie) all'uomo che vive nella giustizia.

Dove è sovrabbondato il peccato, è sovrabbondata la grazia (Rm 5,20): come poteva infatti l'uomo ripristinare l'amicizia con Dio senza l'amore del Crocifisso? Eppure questa grazia, dopo averci permesso di chiamare di nuovo Dio "amico" (cfr. Gv 15,15) e Abbà, "Padre", deve essere custodita come un tesoro preziosissimo, sapendo che è facile smarrirlo con la nostra disattenzione: chi è in piedi, badi di non cadere (1Corinzi 10,12).

Gaetano Masciullo

domenica 17 aprile 2022

Sulla Via di Emmaus. Il valore della Tradizione apostolica

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 24, 13-35.
In illo témpore: Duo ex discípulis Jesu ibant ipsa die in castéllum, quod erat in spátio stadiórum sexagínta ab Jerúsalem, nómine Emmaus. Et ipsi loquebántur ad ínvicem de his ómnibus, quae accíderant. Et factum est, dum fabularéntur, et secum quaérerent: et ipse Jesus appropínquans ibat cum illis: óculi autem illórum tenebántur, ne eum agnóscerent. Et ait ad illos: Qui sunt hi sermónes, quos confértis ad ínvicem ambulántes, et estis tristes ? Et respóndens unus, cui nomen Cléophas, dixit ei: Tu solus peregrínus es in Jerúsalem, et non cognovísti, quae facta sunt in illa his diébus? Quibus ille dixit: Quae ? Et dixérunt: De Iesu Nazaréno, qui fuit vir prophéta potens in ópere et sermóne, coram Deo, et omni pópulo: et quómodo eum tradidérunt summi sacerdótes et príncipes nostri in damnatiónem mortis, et crucifixérunt eum. Nos autem sperabámus, quia ipse esset redemptúrus Israël: et nunc super haec ómnia, tértia dies est hódie, quod haec facta sunt. Sed et mulíeres quaedam ex nostris terruérunt nos, quae ante lucem fuérunt ad monuméntum, et, non invénto córpore ejus, venérunt, dicéntes se étiam visiónem Angelórum vidísse, qui dicunt eum vívere. Et abiérunt quidam ex nostris ad monuméntum: et ita invenérunt sicut mulíeres dixérunt, ipsum vero non invenérunt. Et ipse dixit ad eos: O stulti, et tardi corde ad credéndum in ómnibus, quae locúti sunt prophétae ! Nonne haec opórtuit pati Christum, et ita intráre in glóriam suam? Et incípiens a Móyse, et ómnibus prophétis, interpretabátur illis in ómnibus Scriptúris, quae de ipso erant. Et appropinquavérunt castéllo, quo ibant: et ipse se finxit lóngius ire. Et coëgérunt illum,
dicéntes: Mane nobíscum, quóniam advesperáscit, et inclináta est jam dies. Et intrávit cum illis. Et factum est, dum recúmberet cum eis, accépit panem, et benedíxit ac fregit, et porrigébat illis. Et apérti sunt óculi eórum, et cognovérunt eum: et ipse evánuit ex óculis eórum. Et dixérunt ad ínvicem: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loquerétur in via, et aperíret nobis Scriptúras ? Et surgéntes eádem hora regréssi sunt in Jerúsalem: et invenérunt congregátos úndecim, et eos, qui cum illis erant, dicéntes: Quod surréxit Dóminus vere, et appáruit Simóni. Et ipsi narrábant, quae gesta erant in via: et quómodo cognovérunt eum in fractióne panis.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 24, 13-35.
In quel tempo, due discepoli di Gesù andavano in un villaggio lontano sessanta stadii da Gerusalemme, chiamato Emmaus, e discorrevano fra di loro di tutto quello che era accaduto. Mentre ragionavano e conferivano insieme, Gesù, accostatosi a loro, camminava con essi: ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Disse loro: "Che discorsi andate facendo per strada e
perché siete malinconici?" Uno di essi, chiamato Cleofa, rispose: "Tu solo sei forestiero in Gerusalemme e non sai quanto vi è accaduto in questi giorni?" E Gesù: "Che cosa?" Ed essi risposero: "Quello che riguarda Gesù il Nazareno, che fu un profeta, potente in opere e parole dinanzi a Dio e a tutto il popolo; profeta che i sommi sacerdoti e i nostri capi fecero condannare a morte e crocifiggere. Ora, noi speravamo che fosse colui che avrebbe liberato Israele: invece, con tutto ciò, eccoci al terzo giorno da che tali cose sono accadute. Veramente alcune donne fra noi ci hanno spaventati. Andate prima di giorno al sepolcro, non avendo trovato il corpo di Gesù, sono venute a raccontarci di avere anche veduto una apparizione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro: e hanno trovato come avevano detto le donne: ma lui non lo hanno visto". Gesù disse loro: "O stolti e tardi di cuore a credere tutto ciò che hanno detto i profeti! Non era forse necessario che il Cristo patisse tali cose e così entrasse nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegava loro ciò che in tutte le Scritture lo riguardava. Giunti presso il villaggio dove erano diretti, egli fece capire di voler andare più avanti, ma essi lo trattennero, dicendo: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno declina. Egli entrò in casa con loro. Ora, avvenne che, stando a tavola con essi, prese il pane, lo benedisse, lo spezzo e lo diede loro. Allora si aprirono gli occhi dei due e lo riconobbero: ma egli sparì dai loro sguardi. Ed essi dissero fra loro: "Non ardeva forse il nostro cuore mentre per strada ci parlava e ci svelava il senso delle Scritture?" Alzatisi, tornarono subito a Gerusalemme, dove trovarono radunati insieme gli Undici e gli altri che stavano con essi, i quali dissero: "Il Signore è veramente risorto e è apparso a Simone". Allora essi raccontarono quel che era accaduto per strada e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Questi due discepoli del Signore, sconsolati dalla morte del loro Maestro e sulla via di ritorno verso Emmaus, rappresentano il popolo cristiano, quando esso non comprende pienamente la Rivelazione divina e si ostina a inseguire un'immagine di Dio che non corrisponde alla realtà, ma alle proprie personali ambizioni, ai propri personali desideri, ai propri personali adattamenti, rischiando così di adorare un idolo e non il Dio di verità che ci precede.

"O stolti e tardi di cuore" - sono le parole amareggiate che il terzo pellegrino di Emmaus rivolge ai due oscuri discepoli di Gesù. Forse anche a noi il Signore rivolge le stesse parole? Durante il tragitto, il Cristo risorto - che non fu riconosciuto da coloro che pure lo avevano seguito e ascoltato per diverso tempo - fa una lunga opera di catechismo. Questa identità nascosta del Risorto è immagine della Chiesa, dietro cui si cela l'autorità del Maestro, e che continuamente è chiamata non solo a evangelizzare chi non è già nel novero dei redenti, ma anche a confermare e a istruire coloro che sono già stati lavati con il battesimo.

Gesù spiega tutto "il senso delle Scritture", rivelando come le antiche profezie si riferivano tutte all'apice della salvezza che fu la Croce e al destino dell'umanità redenta che è la resurrezione della carne. Questa catechesi orale del Cristo celato ci indica una cosa molto importante e oggi tristemente dimenticata dalla maggioranza dei teologi: la nostra Fede cattolica si fonda sulla Tradizione apostolica, su quello che la comunità cristiana nascente ha ascoltato dalla viva voce di Gesù, e ha poi trasmesso ai suoi successori, fino ad arrivare ai Padri della Chiesa e ai Dottori del Medioevo, che hanno messo questa tradizione per iscritto e sviluppata per difenderla e argomentarla, e sono giunti fino a noi che viviamo oggi, duemila anni dopo quegli eventi così ancora attuali.

L'evangelista Luca poteva bene informarsi e mettere per iscritto la grande esegesi che Cristo fece ai due discepoli. Perché non lo fece? Lo abbiamo in parte già detto: per indicarci che la tradizione apostolica possiede un primato per la nostra Fede, anche sulla Bibbia. Sì, non può esserci la Bibbia senza la tradizione orale ricevuta dagli apostoli: "vi ho trasmesso quello che anche io ho ricevuto" (1Cor 15,3), scrive san Paolo. Il primato della Scrittura è un grande inganno del Cristianesimo moderno, da Martin Lutero in avanti.

Avete mai pensato al fatto che lo stesso Gesù, pur sapendo leggere e scrivere come tutti gli ebrei maschi del suo tempo, non ci ha lasciato nessun testo scritto di suo pugno? La cosa non è casuale. Fides ex auditu, "la Fede proviene dall'ascolto", dicevano gli Scolastici - non ex visu, "dalla lettura". L'ascolto infatti implica una relazione più viva e reale rispetto alla lettura.

Gli stessi libri del cosiddetto canone biblico, cioè i libri che compongono la Bibbia, sono quelli che sono e non gli altri, i cosiddetti apocrifi, perché esiste una tradizione orale che ce li ha indicati come autentici e come ispirati. Se viene meno la tradizione apostolica, anche la Bibbia non ha più senso di esistere così come essa è.

Ma c'è un altro aspetto interessante di questo brano evangelico sul quale vale la pena soffermarsi. E' scritto che i due discepoli riconobbero Gesù "allo spezzare del pane", cioè durante la celebrazione dell'Eucarestia che il Risorto fece a Emmaus, ma una volta realizzata questa consacrazione, ecco che Gesù sparì ai loro occhi.

Ecco dunque che il vangelo ci indica, ancora una volta, la grandezza e il fondamento di questo Sacramento che è l'Eucarestia. Dio si è fatto Uomo, ci ha riscattato dalla morte, è asceso al Cielo, ma ancora viene in mezzo a noi e "si fa pane" per unirsi intimamente con noi. E nell'atto di sparire al momento della consacrazione, ecco che Gesù non vuole mostrare un abbandono, ma al contrario quella sua sparizione indica una presenza costante: Egli infatti era ancora presente in quel pane, ma in un modo nuovo, che richiede la nostra Fede.

Gaetano Masciullo

sabato 16 aprile 2022

Era necessaria la Resurrezione di Cristo?

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 1-7.
In illo témpore: María Magdaléne, et María Iacóbi, et Salóme, emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Iesum. Et valde mane una sabbatórum, véniunt ad monuméntum, orto iam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt iúvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Iesum quaéritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis eius, et Petro, quia praecédit vos in Galilaéam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 1-7.
In quel tempo, Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomè comperarono degli aromi per andare ad ungere Gesù. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, arrivarono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicevano tra loro: "Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro?" E guardando, videro che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giovane seduto sul lato destro, rivestito di càndida veste, e sbalordirono. Egli disse loro: "Non vi spaventate, voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avevano posto. Ma andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse".

Ai fini della Redenzione, la Passione di Nostro Signore fu sufficiente per debellare ogni macchia di peccato. In verità, la cruenta morte dell'Uomo-Dio sul patibolo infame della croce fu una sovrabbondanza di dolore, a significarci una sovrabbondanza di amore, dal momento che il sangue di Cristo è così prezioso agli occhi di Dio che - paradossalmente - sarebbe bastato il sangue versato nella circoncisione per riscattare l'uomo dalla sua condizione servile.

Eppure, Dio volle la croce. Qualcuno allora potrebbe chiedersi: che bisogno c'era della Resurrezione? Qual è il suo legame con la Redenzione, se tutto si compì - "tutto è compiuto" - quel 13 del mese di Nisan, sul colle Golgota?

Ancora una volta, il più grande teologo della Storia della Chiesa cattolica, ossia san Tommaso d'Aquino, risponde in maniera completa e puntuale alla nostra domanda. Anzitutto bisogna dire che è stato lo stesso Gesù a dirci che la Resurrezione ha una dimensione di necessità, laddove leggiamo nel vangelo: "Bisognava che il Cristo patisse e risorgesse dai morti" (Lc 24,46). Da dove viene questo bisogno?

Ecco i cinque motivi che rendono necessaria la Resurrezione di Cristo.

  1. Per sottolineare la giustizia di Dio. Infatti, la condanna a morte di Gesù fu voluta da Dio dall'eternità per riscattare il peccato dell'uomo, ma - dalla parte umana - essa fu un complotto ordito dalle varie potenze mondane sotto l'influsso di Satana, che nulla può e nulla fa senza il permesso del Signore. E pertanto, la Resurrezione era necessaria per dimostrare che Dio vendica sempre in maniera proporzionata le ingiustizie che i suoi nemici compiono verso i suoi figli.
  2. Per sottolineare la natura divina di Cristo. L'umiliante morte sulla croce poteva indurre molti a perdere la fede nella natura divina di Gesù, che egli rivelò ai suoi discepoli e in maniera particolare ai suoi apostoli, che tuttavia impauriti fuggirono nel momento della prova. Se Cristo non fosse risorto da morte, il dubbio circa la sua natura divina si sarebbe molto probabilmente radicato negli Undici e, anche dopo la Pentecoste, i cristiani sarebbero stati inclini a vedere Gesù più come un filosofo che ha fatto una brutta fine, piuttosto che il Dio salvatore fattosi Uomo. Per questo san Paolo ci dice: "Se Cristo non è resuscitato, è vana la nostra predicazione, vana pure la nostra fede" (1Cor 15,14). Anche Gesù, in un passo del vangelo, ci dice indirettamente che la Resurrezione dimostra definitivamente la sua divinità: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio" (Gv 10,18).
  3. Per risollevare la nostra speranza. O in altre parole, per confermare un altro articolo di fede: ossia quella che riguarda la resurrezione della carne di tutti gli uomini. Gesù infatti è chiamato "primogenito di coloro che resuscitano dai morti" (Col 1,18): primogenito, appunto, perchè il primo di una miriade di corpi beati e gloriosamente trasfigurati. Il dogma della resurrezione finale è molto difficile da credere: Gesù ha voluto darci un "assaggio" di essa con la sua resurrezione, appunto per confermarci in quella speranza. Noi speriamo infatti che un giorno il nostro corpo sarà trasfigurato come il suo e che vivremo in questo stesso universo trasformato e riportato a una condizione gloriosa, più che edenica.
  4. Per formare la vita dei fedeli. O in altre parole, la Resurrezione di Cristo è stato un atto pedagogico per tutta la Chiesa. I credenti, infatti, quando ricevono il Battesimo (che è l'applicazione dei meriti della Passione e Morte di Cristo per cancellare il proprio peccato originale e, in secondo luogo, i peccati personali) è come se - allegoricamente - venissero sepolti insieme con Cristo e con lui risorgessero a vita nuova. Da qui il monito dell'Apostolo Paolo: "Come Cristo risuscitò dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminiamo secondo una vita nuova" (Rm 6,4).
  5. Per completare la nostra salvezza. Certamente, come abbiamo detto, la Morte di Cristo è stata tutta la nostra Redenzione. Ma la Resurrezione ha dato compimento alla salvezza dell'uomo, nel senso che la certezza della sua Resurrezione ci è di sprono per desiderare e ambire a vivere in maniera nuova, non secondo il mondo, non più secondo il peccato originale (che è la superbia, madre di tutti i vizi), ma secondo la volontà di Dio. Per questo san Paolo scrive: "È stato consegnato [alla morte] per i nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione" (Rm 4,25).

Gaetano Masciullo

venerdì 15 aprile 2022

La cronologia della Pasqua: i vangeli non mentono

 

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 28,1-7.
Véspere autem sábbati, quæ lucéscit in prima sábbati, venit María Magdaléne, et áltera María vidére sepúlcrum. Et ecce terræmótus factus est magnus. Angelus enim Dómini descéndit de cælo: et accédens revólvit lápidem, et sedébat super eum: erat autem aspéctus eius sicut fulgur: et vestiméntum eius sicut nix. Præ timóre autem eius extérriti sunt custódes, et factu sunt velut mórtui. Respóndens autem Angelus, dixit muliéribus: «Nolíte timére vos: scio enim, quod Iesum, qui crucifíxus est, quǽritis: non est hic: surréxit enim, sicut dixit. Veníte, et vidéte locum, ubi pósitus erat Dóminus. Et cito eúntes dícite discípulis eius, quia surréxit et ecce præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis. Ecce prædíxi vobis».

Seguito del Santo Vangelo secondo Matteo 28,1-7.
Alla sera del sabato, verso l'alba del primo giorno dopo il sabato, Maria Maddalena e l'altra Maria vennero a vedere il sepolcro. Ed ecco ci fu un grande terremoto. Infatti un Angelo del Signore era disceso dal Cielo: ed entrandoci ribaltò la pietra e stava seduto su di essa: era in verità il suo aspetto come la folgore e la sua veste come la neve. E infatti per suo timore le guardie rimasero atterrite e rimasero come morte. Ma l'Angelo rispondendo disse alle donne: «Voi non temete: so infatti che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui: è infatti risorto come aveva detto. Venite e vedete il luogo dove era stato posto il Signore. Quindi, recandovi alla svelta, dite ai suoi discepoli che è risuscitato ed ecco vi precede in Galilea: lì lo vedrete. Ecco ve l'ho predetto".

Questo brano del vangelo secondo Matteo inizia con una frase apparentemente strana: dice infatti che "alla sera del sabato, verso l'alba del primo giorno dopo il sabato, ecc." Confrontando questo racconto della Resurrezione con quello degli altri evangelisti, è possibile ricostruire l'evento e comprendere che non ci sono contraddizioni tra i brani, al contrario di ciò che alcuni critici sostengono (anche teologi sedicenti cattolici, purtroppo).

La Resurrezione di Cristo si verificò nelle primissime ore del primo giorno dopo il sabato (che oggi chiamiamo appunto Domenica in onore del Signore). L'evento prodigioso avvenne mentre il sepolcro rimaneva chiuso (lo intuiamo proprio dal brano di vangelo odierno, perché si dice che la pietra fu rotolata dall'angelo e il sepolcro era già vuoto) e nessun testimone assistette all'evento.

Nel frattempo, Maria Maddalena e Maria di Cleofa (e, secondo quanto riportato dagli altri evangelisti, anche Maria Salomè e una certa Giovanna di Cusa, la moglie di un amministratore di Erode: cfr. Luca 8,3; Luca 24,10) - siamo verso le tre del mattino - iniziano a incamminarsi da Gerusalemme verso il sepolcro per ungere e venerare la salma di Gesù.

In contemporanea, si verifica un grande terremoto che sconvolge la regione. Le donne probabilmente lo avvertono, ma ovviamente non collegano il fenomeno al prodigio soprannaturale. Le guardie, che i farisei avevano richiesto a Pilato sospettando una truffa da parte degli apostoli, assistono però al rovesciamento della pietra sepolcrale e fuggono via atterriti. Rispetto a Matteo, gli altri evangelisti sono più dettagliati.

Luca, per esempio, scrive che le donne "prepararono aromi e oli profumati" (Lc 23,56a), la sera della Parasceve, cioè del venerdì prima della Pasqua, ma poi non si recarono al sepolcro, perchè "il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento" (Lc 23,56b).

Il giorno dopo, "di buon'ora" (tra le tre e le quattro del mattino), esse si avviano, "portando con sé gli aromi che avevano preparato" (Lc 24,1b), ma durante il tragitto esse si accorgono che gli aromi preparati sono insufficienti: è quello che ci fa capire, nella maniera un po' dura e grossolana tipica del suo vangelo, l'evangelista Marco.

Infatti, egli scrive che "passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salomè comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù" (Mc 16,1). La devozione delle pie donne non era soddisfatta da quei pochi unguenti che avevano potuto preparare nelle poche ore prima dell'inizio della Pasqua, già stanche per il forte dolore che avevano provato assistendo alla morte di Gesù.

Quindi, presumibilmente, mentre le donne si recano al sepolcro, alcune di esse decidono di tornare indietro a Gerusalemme per comprare altri unguenti al mercato, allungando così il percorso. Ma tra esse, una donna decide di proseguire da sola: è Maria di Magdala, la quale, secondo quanto ci riporta infatti il vangelo di Giovanni, giunge per prima e da sola al sepolcro, "mentre era ancora tenebra" (Gv 20,1), cioè non era ancora sorto il sole.

Ella vede quindi la tomba vuota e rimane turbata. Ella non sapeva niente delle guardie messe da Ponzio Pilato a custodia del sepolcro e pertanto non si stupisce della loro assenza. Non solo il suo adorato Messia era stato ucciso innocentemente, ma anche il suo corpo era stato trafugato dai giudei! Questo dovette essere il pensiero di quella povera donna. Così ecco che subito - sono circa le cinque del mattino - torna indietro per avvisare Pietro e Giovanni: "Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!" Da notare che il plurale usato da Maria Maddalena nel vangelo di Giovanni conferma implicitamente quanto scritto dagli altri evangelisti. Giovanni infatti non nomina le altre donne, eppure qua Maria Maddalena parla anche a nome delle altre sue compagne, che ritardavano per comprare altri profumi funebri.

Nel frattempo, le altre pie donne giungono al sepolcro: sono le sei del mattino, perché Marco dice: "vennero al sepolcro al levar del sole" (Mc 16,2). Nell'ultimo tratto di cammino, le donne pensano a un'altra difficoltà: "Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?" (Mc 16,3).

Giunte sul posto, il problema scompare dalle loro menti, perché il masso è rotolato. Anch'esse non trovano nessuno, il sepolcro è vuoto, proprio come aveva visto Maria di Magdala. Meno ardenti però di questa, le altre compagne entrano nel sepolcro e trovano l'angelo, seduto sulla pietra. Luca, però, più accurato, riporta che gli angeli erano due (Lc 24,4).

La frase pronunciata dall'angelo coincide nei concetti, ma Luca è il più esatto. Gli angeli dicono: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno" (Lc 24,5b-7).

L'effetto delle parole dell'angelo nelle donne risulta però differente a seconda di quanto ci riporta Marco e quanto invece ci riportano Matteo e Luca. Secondo Marco, infatti, le donne scapparono perchè temevano di non essere credute dagli apostoli (cfr. Mc 16,8). Matteo e Luca, invece, ci dicono che, tornate dal sepolcro, andarono a riferire l'avvenuto agli Undici.

I due resoconti non sono necessariamente in contraddizione. Ricordiamo infatti che la Maddalena era andata da Pietro e Giovanni, non sapendo dove altro andare per chiedere informazioni sulla sparizione del corpo del Maestro. Sappiamo dal vangelo secondo Giovanni che i due apostoli corrono in fretta e furia verso il sepolcro (cfr. Gv 20,3-10). Trovandolo vuoto, e vedendo che la sindone e il sudario erano lì presenti, i due capiscono che il corpo non era stato rubato (che senso avrebbe avuto infatti rubare un cadavere - si supponeva già olezzante - e togliere le bende che lo avvolgevano?). I due apostoli ritornano subito quindi a Gerusalemme, desiderosi di consultarsi con gli altri.

Nel frattempo, le pie donne si fanno coraggio e decidono di fare come l'angelo aveva comandato loro. Si recano quindi a Gerusalemme dagli apostoli e, presumibilmente, tornano in contemporanea a Pietro e Giovanni, anche se da una direzione differente. Giovanni ci dice invece che Maria di Magdala "stava presso il sepolcro, di fuori, piangendo" (Gv 20,11). Ed ecco che quegli stessi due angeli compaiono a lei: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,13a). E Maria Maddalena: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto" (Gv 20,13b).

Maria si volta, forse per uscire dal sepolcro, ma trova lì un uomo ritto in piedi, che ella non riconosce, e che forse neanche guarda in faccia, sconvolta com'è dal timore di una profanazione da parte dei farisei. Gesù ripete la domanda dell'angelo, come a voler testare ancora più profondamente l'amore di quella donna, che Cristo un giorno aveva liberato da sette spiriti impuri. La risposta della Maddalena (la quale pensava di aver incontrato l'addetto alla pulizia del posto) appare disperata: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo!" (Gv 20,15). Ma Gesù si fa riconoscere pronunciando il nome della Maddalena e le ordina di non indugiare e di raggiungere le sue compagne a Gerusalemme, per avvisare gli apostoli dell'avvenuta Resurrezione.

E' molto interessante notare che Gesù non si fa vedere risorto anzitutto dagli Apostoli, ma dalle donne: sono convinto infatti che, anche se gli evangelisti non lo narrano, ancor prima di apparire tra le otto e le nove della Domenica di Resurrezione a Maria Maddalena, sia apparso a Maria sua Madre, probabilmente verso le sei, alla luce dell'alba. Quale creatura infatti più degna di un simile incontro?

La Madonna aveva passato, si presume facilmente, l'intero sabato in solitudine, arroccata nel suo dolore e nella sua preghiera di sacrificio a Dio. Mi piace pensare che, dopo essere sceso agli inferi per riscattare le anime dei patriarchi, Gesù sia apparso nella stanza di Maria e che i due abbiano colloquiato a lungo, parlando dei grandi progetti di amore di Dio, della vittoria finale dei due Immacolati sul peccato antico, che tutto era stato compiuto: il principe di questo mondo aveva perso definitivamente, l'umanità aveva iniziato il cammino verso la perfezione. La Primizia della Chiesa era venuta nel mondo.

Gaetano Masciullo

giovedì 14 aprile 2022

Cinque piaghe, cinque medicine per la nostra vita

"Il Calvario" del Veronese
Parte della Sequenza della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (cfr. Gv 18,1-40; 19,1-42):

Tunc ergo trádidit eis illum, ut crucifigerétur. Suscepérunt autem Iesum et eduxérunt. Et báiulans sibi Crucem, exívit in eum, qui dícitur Calváriæ, locum, hebráice autem Gólgotha: ubi crucifixérunt eum, et cum eo álios duos, hinc et hinc, médium autem Iesum. Scripsit autem et títulum Pilátus: et pósuit super crucem. Erat autem scriptum: Iesus Nazarénus, Rex Iudæórum. Hunc ergo títulum multi Iudæórum legérunt, quia prope civitátem erat locus, ubi crucifíxus est Iesus. Et erat scriptum hebráice, græce et latíne. Dicébant ergo Piláto pontífices Iudæórum: "Noli scríbere Rex Iudæórum, sed quia ipse dixit: Rex sum Iudæórum". Respóndit Pilátus: "Quod scripsi, scripsi". Mílites ergo cum crucifixíssent eum, accepérunt vestiménta eius (et fecérunt quátuor partes: unicuíque míliti partem), et túnicam. Erat autem túnica inconsútilis, désuper contéxta per totum. Dixérunt ergo ad ínvicem: "Non scindámus eam, sed sortiámur de illa, cuius sit". Ut Scriptúra implerétur, dicens: "Partíti sunt vestiménta mea sibi: et in vestem meam misérunt sortem". Et mílites quidem hæc fecérunt. Stabant autem iuxta Crucem Iesu Mater eius et soror Matris eius, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Iesus Matrem et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: "Múlier, ecce fílius tuus". Deínde dicit discípulo: "Ecce mater tua". Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua. Póstea sciens Iesus, quia ómnia consummáta sunt, ut consummarétur Scriptúra, dixit: "Sítio". Vas ergo erat pósitum acéto plenum. Illi autem spóngiam plenam acéto, hyssópo circumponéntes, obtulérunt ori eius. Cum ergo accepísset Iesus acétum, dixit: "Consummátum est". Et inclináte cápite trádidit spíritum. Iudæi ergo (quóniam Parascéve erat), ut non remanérent in cruce córpora sábbato (erat enim magnus dies ille sábbati), rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Iesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum iam mórtuum, non fregérunt eius crura, sed unus mílitum láncea latus eius apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi dunque presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei”. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: “Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il Re dei Giudei”. Rispose Pilato: “Ciò che ho scritto, ho scritto”. I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: "Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca". Così si adempiva la Scrittura: "Si sono divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte". E i soldati fecero proprio così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Durante tutto il Medioevo, si diffuse una devozione molto densa dal punto di vista teologico, negli ultimi tempi andata purtroppo perduta, ma che andrebbe riscoperta per comprendere in maniera più profonda il grande mistero divino della Redenzione opera da Nostro Signore Gesù Cristo sul legno della croce.

L'accesso all'albero della vita in Eden fu proibito all'uomo in seguito al peccato originale. Adesso, in Cristo viene a noi ridonato: la croce è il vero albero della vita e Cristo è il vero frutto della vita, che ci è dato di gustare e godere ogni giorno nell'Eucarestia.

La devozione di cui sto parlando è quella alle cinque piaghe di Nostro Signore. Egli fu infatti inchiodato alla croce e dopo morto fu trafitto dalla lancia di san Longino: il corpo di Cristo fu quindi piagato cinque volte: due volte nelle mani, due volte nei piedi, una volta nel cuore. Questo fatto assume un fortissimo significato mistico per l'anima cristiana. Consideriamo infatti che Cristo morì sulla croce perchè doveva redimerci dal peccato originale e con questo consideriamo anche che cinque furono le ferite che quell'antico peccato ha lasciato nell'anima nostra, tanto da coinvolgerci non solo nello spirito, ma anche nella mente e nella carne.

A partire dagli effetti più spirituali per arrivare a quelli più corporali: prima ferita: la perdita della grazia, con la conseguente impossibilità di conseguire l'accesso alla vita del paradiso; seconda ferita: l'oscurità dell'intelletto, che ci impedisce di comprendere le cose in maniera immediata o prossima all'immediatezza, ma appesantiti dalle passioni siamo più facilmente predisposti a pensare in maniera scorretta; la debolezza della volontà, la quale, dopo aver compreso dall'intelletto cosa è vero e quindi buono da perseguire, subisce l'irruenza delle passioni disordinate, che ci orientano a compiere il male, anche quando sappiamo che è male; la violenza della concupiscenza, cioè tutte le passioni e in particolare i desideri, che obbedendo alle esigenze della carne, rovesciano il giusto governo dell'anima sul corpo, così che non sono più l'intelletto e la volontà a comandare da re e da regina sulle nostre facoltà, ma subiscono il comando delle passioni; la caducità della carne, cioè la predisposizione ad ammalarsi, invecchiare e a sperimentare la morte (mentre sappiamo dal dogma dell'Assunzione di Maria che l'uomo senza peccato originale era destinato a transitare in Cielo tramite la dormizione).

Gesù Cristo è venuto a sanare come un farmaco queste cinque piaghe che tutti gli uomini hanno contratto da Adamo in avanti. E non è casuale che le piaghe sono state subite nelle due mani, nei due piedi e nel costato: infatti le mani rappresentano le opere e i piedi la sensualità (come abbiamo visto nel commento al Giovedì Santo). Il cuore invece rappresenta la carità, cioè la grazia di Dio.

E allora ecco che le cinque piaghe di Gesù Cristo corrispondono a cinque virtù che dobbiamo chiedere al Signore come dono in virtù dei meriti della sua passione e morte, come cinque farmaci per vincere quei cinque morbi dell'anima.

La devozione alle cinque piaghe di Cristo fu molto praticata e diffusa dai certosini e dom Gherard Kalckbrenner, autore di un'opera dal titolo Rapiarum (1566), spiega che la piaga della mano destra rappresenta l'obbedienza, la piaga della mano sinistra rappresenta l'umiltà, la piaga del piede destro rappresenta la pazienza, la piaga del piede sinistro rappresenta la misericordia, mentre la piaga del costato rappresenta la carità.

E' molto interessante analizzare più da vicino queste cinque medicine. Di esse, due non possono essere conseguite con l'ascesi, cioè con le sole forze umane, e sono la carità (perché virtù teologale) e la misericordia, che è un effetto della carità; mentre le restanti tre - obbedienza, umiltà e pazienza - sono conseguibili con l'ascesi, ma è anche vero che sono tra le più difficili e ardue da raggiungere, e da qui la necessità di chiedere l'indispensabile aiuto divino nella preghiera costante.

L'obbedienza è una virtù che appartiene alla virtù cardinale della giustizia, mentre l'umiltà appartiene alla temperanza e la pazienza alla fortezza. Ora l'obbedienza è davvero una virtù difficile da esercitare, per diverse ragioni che non è il caso di enucleare in questa occasione, ma ci basti per ora notare che essa corrisponde alla mano destra di Cristo.

Quindi, se la mano rappresenta il mezzo con cui operiamo, e se destra e sinistra sono tradizionalmente in un rapporto di conseguenza e subalternità, nel senso che la destra viene prima della sinistra, allora l'obbedienza è la medicina alla piaga dell'intelletto oscuro, perché il principio di ogni nostra azione risiede ultimamente nell'intelletto, con il quale conosciamo la verità, e l'intelletto mostra alla volontà il bene da raggiungere e di conseguenza comanda la volontà.

Se l'intelletto non è pronto a obbedire a ciò che Dio rivela e comanda, non si può iniziare il cammino della perfezione cristiana. La mano sinistra rappresenta l'umiltà, che si svela come la medicina alla piaga della volontà debole. E l'umiltà si contrappone alla superbia, che è la madre e regina di tutti i vizi, cioè il vizio in vista di cui tutti gli altri vizi operano: la superbia è la volontà dell'eccellenza che va oltre i limiti della propria natura. L'umiltà invece ci porta a moderare questa volontà debole e disordinata e ad accettare la volontà di Dio in noi: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33). I santi sono coloro che "non da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv 1,13). Ma per essere umili, bisogna prima essere obbedienti a Dio, così come ciò che viene da destra va verso ciò che è a sinistra.

La stessa cosa vale per i piedi. Il piede destro di Cristo è la pazienza, una virtù appartenente alla fortezza. Essa è la medicina che ci guarisce dalla violenza della concupiscenza. Infatti, la pazienza è quella virtù che conserva il bene della ragione dalla tristezza e dal dolore, che impediscono il cammino spirituale. Gesù nella sua passione è il vero maestro della pazienza.

Le passioni disordinate e violente, ma anche la fatica noiosa di perseverare in un'azione buona, possono turbare la nostra vita. Ecco allora che la pazienza, come scrive san Gregorio Magno, diventa "radice e custode di tutte le virtù".

Arriviamo infine al piede destro, che è la misericordia, un effetto della carità. Essa è la medicina alla piaga della caducità della carne. Non possiamo combattere contro l'ineluttabilità dell'indebolimento del nostro corpo, contro le malattie che ci affliggono, contro la morte dei cari che periodicamente segna la nostra vita. Eppure Gesù ci ha mostrato questa grande medicina che è la misericordia che allieta l'anima e il corpo: nutrire gli affamati, dar da bere a chi ha sete, vestire i nudi, ospitare i migranti, visitare i malati e i detenuti, seppellire i morti, ma anche e soprattutto consigliare i dubbiosi, insegnare, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare, sopportare i molesti, pregare per i vivi e per i defunti.

Siamo quindi giunti all'ultima e più importante piaga di Gesù Cristo, quella del costato, cioè del suo Sacro Cuore, perforato dalla lancia di san Longino, simbolo dell'amore divino, e dal quale è uscito sangue misto ad acqua, cioè i Sacramenti fondanti della Chiesa: l'Eucarestia e il Battesimo.

La piaga del Sacro Cuore è la virtù della carità, cioè della grazia, l'amicizia tra Dio e l'uomo, pagata con il sangue di Cristo, che è medicina alla piaga purulenta della disgrazia, che ci ha chiuso le porte del Cielo. Essa è la piaga più importante, così come la carità è la più importante delle virtù e così come l'anima immortale è la parte più importante del nostro essere. In questo giorno, così solenne per la Cristianità, meditiamo e chiediamo al Signore questi grandi doni.

Gaetano Masciullo

mercoledì 13 aprile 2022

In Coena Domini: l'umiltà e l'obbedienza

Sequentia Sancti Evangelii secundum Ioannem 13, 1-15.
Ante diem festum Paschæ, sciens Iesus, quia venit hora eius, ut tránseat ex hoc mundo ad Patrem: cum dilexísset suos, qui erant in mundo, in finem diléxit eos. Et coena facta, cum diábolus iam misísset in cor, ut tráderet eum Iudas Simónis Iscariótæ: sciens, quia ómnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exívit, et ad Deum vadit: surgit a coena et ponit vestiménta sua: et cum accepísset línteum, præcínxit se. Deínde mittit aquam in pelvim, et coepit laváre pedes discipulórum, et extérgere línteo, quo erat præcínctus. Venit ergo ad Simónem Petrum. Et dicit ei Petrus: Dómine, tu mihi lavas pedes? Respóndit Iesus et dixit ei: Quod ego fácio, tu nescis modo, scies autem póstea. Dicit ei Petrus: Non lavábis mihi pedes in ætérnum. Respóndit ei Iesus: Si non lávero te, non habébis partem mecum. Dicit ei Simon Petrus: Dómine, non tantum pedes eos, sed et manus et caput. Dicit ei Iesus: Qui lotus est, non índiget nisi ut pedes lavet, sed est mundus totus. Et vos mundi estis, sed non omnes. Sciébat enim, quisnam esset, qui tráderet eum: proptérea dixit: Non estis mundi omnes. Postquam ergo lavit pedes eórum et accépit vestiménta sua: cum recubuísset íterum, dixit eis: Scitis, quid fécerim vobis? Vos vocátis me Magíster et Dómine: et bene dícitis: sum étenim. Si ergo ego lavi pedes vestros, Dóminus et Magíster: et vos debétis alter altérius laváre pedes. Exémplum enim dedi vobis, ut, quemádmodum ego feci vobis, ita et vos faciátis.

Seguito del vangelo secondo Giovanni 13, 1-15.
Prima del giorno della festa di Pasqua, sapendo Gesù che era giunta la sua ora per transitare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò per uno scopo. E preparata la cena, quando il diavolo già aveva messo in cuore a Giuda figlio di Simone Iscariota di tradirlo, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era uscito da Dio e andava a Dio, si alzò dalla cena e depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro. E Pietro gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù e gli disse: “Ciò che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. Gli disse Pietro: “Non mi laverai i piedi in eterno!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Gli disse Gesù: “Chi è lavato, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti”. Sapeva infatti che ci fosse qualcuno che l'avrebbe tradito; per questo disse: “Non tutti siete puri”. Dunque, dopo che ebbe lavato i loro piedi e ripreso le sue vesti, sedutosi di nuovo, disse loro: “Sapete che cosa ho fatto a voi? Voi chiamate me Maestro e Signore: e dite bene, perché lo sono. Se dunque io ho lavato i piedi vostri, il Signore e il Maestro, anche voi dovete lavare i piedi l'uno dell'altro. Vi ho dato infatti l’esempio, perché, come io ho fatto a voi, così anche voi facciate".

Il Giovedì Santo ci riporta alla memoria l'ultima cena di Gesù. In questa occasione, Cristo istituisce due grandissimi Sacramenti: anzitutto, l'Eucarestia, il più grande dei Sacramenti e dal quale derivano tutti gli altri sei, e poi l'istituzione del sacerdozio, che trova la propria ragion d'essere particolare nell'Eucarestia.

Il sacerdote infatti è colui che "fa sacro", in riferimento al pane e al vino, che diventano il corpo, il sangue, l'anima e la divinità di Cristo Signore. Ma la Chiesa vuole soffermarsi in particolare su quest'ultimo mistero di salvezza - l'Ordine del sacerdozio - mentre rifletterà più approfonditamente sull'Eucarestia in una solennità ad essa tutta dedicata, quella del Corpus Domini.

Nei primi secoli, il vangelo proclamato quest'oggi si leggeva il Martedì Santo, ma fu gradualmente spostato al Giovedì. San Tommaso d'Aquino, commentando questo capitolo di Giovanni, scrive che Gesù compì la lavanda dei piedi perché voleva preparare i suoi apostoli alla Passione in tre modalità: primo, educandoli con l'esempio; secondo, confortandoli con la parola (cosa che farà subito dopo: cfr. Gv 14-16); terzo, fortificandoli con la preghiera (ancora più avanti: cfr. Gv 17).

La lavanda dei piedi è quindi il modo con cui Cristo ha voluto educare gli apostoli. Questo è davvero un grande insegnamento, perché il Signore ci mostra che l'educazione del prossimo si compie anzitutto con gli esempi, con le azioni, ancora prima che con le parole, che invece saranno utilizzate successivamente da Gesù più per confortare che per educare.

Ma prima di approfondire il senso di questa educazione, è interessante analizzare quanto scrive san Tommaso d'Aquino circa i primi versetti del brano proclamato quest'oggi. La parola Pasqua viene dall'ebraico pesah che vuol dire "fase" nel senso di "transito" e ricorda il passaggio degli israeliti guidati da Mosè attraverso il Mar Rosso, dalla schiavitù dell'Egitto verso la libertà di Canaan, che gli ebrei però conquistarono dopo quarant'anni di vagabondaggio nel deserto.

L'evangelista in questi primi versetti ci rivela che la Pasqua ebraica era in realtà solo un simbolo della vera Pasqua, l'ora di Gesù in cui si verificherà un nuovo transito, quello "da questo mondo al Padre", il transito della Croce che riscatterà non solo gli ebrei, ma tutti gli uomini che accoglieranno i meriti di Cristo nel Battesimo dalla schiavitù del peccato verso la libertà della grazia.

Inoltre, ci informa anche di tre aspetti molto importanti della Passione di Cristo. Il primo, che essa fu prevista da Dio dall'eternità: e per questo è scritto "sapendo Gesù che era giunta la sua ora". La Passione di Cristo non fu certo un incidente di percorso, ma un tassello necessario della storia della salvezza. Il secondo, che fu voluta in un determinato tempo storico: e per questo si parla di "ora sua". Terzo, che fu benefica per il genere umano: e per questo è scritto "perché transitasse da questo mondo al Padre", perché Cristo portasse insieme a sè non solo la sua natura divina, ma anche quella umana, nel mistero, nella gloria e nella pienezza del Padre.

Anche sull'amore di Cristo per i suoi, cioè per le sue creature, l'evangelista ci fornisce importanti informazioni. Primo, che l'amore che Dio prova per gli uomini viene prima dell'amore che gli uomini provano per Dio, e per questo è scritto: "avendo amato i suoi". Secondo, che gli uomini sono amati da Dio anche in vista delle necessità e dei pericoli che devono affrontare in quanto sono "nel mondo". Terzo, che l'amore di Dio ha uno scopo, un fine ben preciso: "li amò per uno scopo". L'amore di Dio non è insensato, ma ha un fine ben preciso: la santità.

Per capire dunque il significato della lavanda dei piedi, bisogna analizzare il dialogo che avviene tra Cristo e Simon Pietro. La virtù che viene esaltata e indicata come timone del sacerdozio è la virtù dell'umiltà. Infatti, il ministero sacerdotale è chiamato così dal latino minus, che vuol dire "meno", in opposizione a magis, che vuol dire "più" e dalla quale viene la parola Magister, cioè "maestro".

Nell'esempio di Gesù, il magister e il minister finiscono per coincidere. Per questo egli dice: "Se dunque io ho lavato i piedi vostri, il Signore e il Maestro, anche voi dovete lavare i piedi l'uno dell'altro". Come a dire: io sono il massimo e ho agito da minimo. Già altrove il Signore aveva dato un assaggio di questa dottrina: "Chi si umilia, sarà esaltato" (Luca 14,11).

San Pietro non comprende il gesto del Maestro, che percepisce come troppo umiliante per il Signore, la cui maestà è stata sottolineata dall'evangelista san Giovanni subito prima di introdurre il gesto della lavanda: "il Padre gli aveva dato tutto nelle mani" e "era uscito da Dio e andava a Dio". Eppure Cristo lo ammonisce: "Se non ti laverò, non avrai parte con me", come a dire che l'umiltà è strettamente connessa a un'altra virtù, l'obbedienza. Ed ecco la pronta risposta di san Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e la testa".

Secondo la lettura dei Padri della Chiesa e di san Tommaso d'Aquino, queste tre parti del corpo rappresentano tre parti dell'anima. Ed ecco che la testa rappresenta la ragione, mentre le mani le opere e i piedi la sensualità, perché è la parte più bassa del corpo. Ora la fede e la carità avevano purificato gli apostoli dal punto di vista della ragione e delle opere, ma la loro sensualità era ancora attaccata ai beni temporali, cosa che li spingerà a fuggire nell'ora della prova.

L'umiltà è una virtù strettamente connessa alla temperanza. Essa, unitamente all'obbedienza dei precetti divini, purifica l'uomo dalle basse passioni che possono distoglierlo dal fine ultimo, quello cui accenna l'evangelista all'inizio del brano: "li amò per uno scopo". Preghiamo dunque per i sacerdoti cattolici, che più di tutti hanno bisogno di "farsi lavare i piedi da Gesù Cristo", cioè incarnare l'umiltà per essere maestri e custodi della dottrina che viene dal Cielo.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

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