sabato 30 aprile 2022

San Giuseppe, modello dei lavoratori

La Santa Famiglia di Nazareth: maggio 2013

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum, 13, 54-58.
In illo témpore: Véniens Iesus in pátriam suam, docébat eos in synagógis eórum, ita ut miraréntur et
dícerent: Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María, et fratres eius Iacóbus et Ióseph et Simone et Iúdas? Et soróres eius nonne omnes apud nos sunt? Unde ergo huis ómnia ista? Et scandalizabántur in eo. Iesus áutem dixit eis: Non est prophéta sine honóre nisi in pátria sua et in domo sua. Et non fecit ibi virtútes multas propter incredulitátem illórum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 13, 54-58.
In quel tempo, Gesù andò nella sua patria e insegnava loro nelle loro sinagoghe, sicché restavano stupefatti e dicevano: "Da dove gli vengono questa sapienza e queste virtù? Non è egli il figlio dell’artigiano? E sua madre non è chiamata Maria e i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe e Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra noi? Da dove quindi vengono a costui tutte queste cose?" E restavano scandalizzati di lui. Ma Gesù disse loro: "Non è senza onore un profeta, fuorché nella sua patria e nella sua casa". E lì non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

Nel 1917, la Rivoluzione sovietica diffuse nel mondo in maniera sistematica l'ideologia comunista e l'invito violento a combattere la guerra di classe. Presto, in tutte le nazioni, il 1° Maggio (giorno dedicato tradizionalmente nella Chiesa alla festa dei santi apostoli Filippo e Giacomo Minore) divenne la "festa laica" dei proletari e degli operai.

Il 20 luglio 1889, i rappresentanti dei principali partiti comunisti e laburisti europei, durante la Seconda Internazionale Socialista, decisero a Parigi di istituire questa festa in chiave anti-capitalista e anti-cattolica, con l'intento di sobillare il popolo contro quelli che venivano etichettati come "padroni e tiranni", cioè i proprietari delle industrie e i preti. Il socialismo ebbe molto successo, facendo leva sulle numerose ingiustizie sociali e sul facile odio da dirottare verso la Chiesa. I leader comunisti scelsero il 1° Maggio come festa del lavoro perché, in quel giorno dell'anno 1886, tre anni prima, ci fu un grande sciopero di operai a Chicago, che culminò in tragedia.

Il papa Pio XII, nel 1955, decise di riformare questo giorno liturgico e di "cristianizzare" la festa dei lavoratori, per indicare al popolo che il lavoro è un concetto nobile e cristiano, da rivendicare e anzi riscattare dall'ideologia socialista. Così infatti leggiamo nel Breviario tradizionale a proposito di questa solennità: "Affinché la dignità del lavoro umano, e i princìpi su cui è fondata, siano incisi più profondamente nelle menti delle persone, Pio XII istituì la festa di San Giuseppe artigiano, in modo che potesse dare il suo esempio e la sua protezione a tutte le unioni lavorative. Seguendo il suo esempio, coloro che esercitano professioni lavorative devono imparare secondo quale piano e quale spirito devono adempiere al loro compito in modo che obbedendo prima di tutto ai comandamenti di Dio, sottomettano la terra e contribuiscano alla prosperità economica, mentre allo stesso tempo guadagnano i frutti della vita eterna."

Nell'ottica cattolica, dunque, il lavoro assume una dimensione naturale e una dimensione soprannaturale, senza separarsi.

Il Breviario spiega anche la ragione che ha spinto il Pontefice a scegliere proprio il 1° maggio come festa di san Giuseppe: "Molto opportunamente, il Sommo Pontefice ha ordinato di celebrare questa festa il 1° maggio, il giorno adottato dalle associazioni dei lavoratori. Possiamo quindi sperare che questo giorno, dedicato a San Giuseppe artigiano, d'ora in poi non esaspererà più l'odio o ecciterà i conflitti, ma che, ogni anno, inviterà tutti gli uomini a realizzare sempre di più ciò che manca alla pace civile, e che stimolerà anche coloro che detengono il potere a raggiungere attivamente ciò che richiede il buon ordine della comunità umana".

Infine, ecco indicate anche le promesse della potente intercessione di questo ultimo sapiente patriarca: "il custode previdente della Famiglia di Nazaret non abbandonerà coloro che sono suoi compagni nel mestiere e nel lavoro: li coprirà con la sua protezione e arricchirà le loro case di ricchezze celesti".

Il modello di questa unità di princìpi è quindi san Giuseppe, il padre putativo di Gesù Cristo e sposo della Beata Vergine Maria. Nel sottolineare la natura sponsale di san Giuseppe, Pio XII ha voluto indicare la causa finale del lavoro, orientato anzitutto al benessere economico della propria famiglia, oltre che alla stessa gloria divina e santificazione personale.

La vita di san Giuseppe e della sua famigliola di Nazareth non fu esente da difficoltà, anche gravi, non solo economiche, ma anche più umane. La tradizione cristiana ha individuato nella vita di questo grande patriarca sette dolori, prontamente consolati da altrettante gioie. Si tratta di una tradizione molto antica, sistematizzata per la prima volta, in seguito a una rivelazione privata riconosciuta dalla Chiesa, dal francescano Giovanni da Fano, nel XV secolo, uno dei promotori dell'Ordine dei cappuccini.

Ecco dunque l'elenco di questi sette dolori: la perplessità di dover abbandonare la fidanzata Maria, che era rimasta incinta per opera dello Spirito Santo, perplessità prontamente consolata da un sogno angelico (cfr. Mt 1,18-25); il dolore di vedere la moglie partorire e il figliolo nascere in una squallida stalla, prontamente consolato dalle glorie angeliche di quella notte (cfr. Lc 2,16-19); il dolore di vedere la circoncisione di Cristo, immagine della futura morte redentrice, consolata dall'imposizione del nome di Gesù, che significa "Dio salva" (cfr. Lc 2,21); il dolore di ascoltare la profezia di Simeone sulla dolorosa passione, consolata dalla promessa della salvezza di tante anime (cfr. Lc 2,25-35); l'ansia di dover improvvisare una disperata fuga in Egitto dalle manie omicide di Erode, consolata dalla potenza di Cristo nel rovesciare gli idoli egizi, immagini dei demoni (cfr. Mt 2,13-21); il timore nei riguardi di Archelao, governatore della Giudea, prontamente consolato da un altro sogno angelico, che consigliò di recarsi in Galilea, a Nazareth (Lc 2,22-23); il dolore e l'ansia causati dallo smarrimento di Gesù dodicenne a Gerusalemme, ritrovato tre giorni dopo nella Città Santa mentre dialogava con i dottori della Legge (cfr. Lc 2,42-52).

La vita di san Giuseppe dunque, instancabile lavoratore, padre esemplare e marito giusto, deve davvero essere lo stampino degli uomini dei nostri tempi, soprattutto degli uomini cattolici. La società contemporanea ha tanto bisogno di mascolinità autentica, tanto indebolita da secoli di retoriche, ideologie, illusioni mondane. Per trovare il modello dell'uomo santo, guardiamo a san Giuseppe. Egli è uomo di azione, non uomo di chiacchiere. Si noti che i vangeli non riportano neanche una parola di san Giuseppe. Matteo, l'evangelista che appare più affezionato a questo santo (forse perchè il suo vangelo era destinato agli ebrei convertiti), nomina Giuseppe sette volte e lo descrive come "uomo giusto". La giustizia è la virtù sociale per eccellenza ed è alla base della prosperità economica. Troviamo in san Giuseppe la nostra stella polare.

Gaetano Masciullo

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