sabato 11 maggio 2024

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20.

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum, et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, praedicáte Evangélium omni creatúrae. Qui credíderit, et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, haec sequéntur: In nómine meo daemónia eiícient: linguis loquéntur nobis: serpéntes tóllent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super aegros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in coelum, et sedet a déxtris Dei. Illi autem profécti, praedicavérunt ubíque, Dómino cooperánte, et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 14-20.

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici, radunatisi per mangiare, e rinfacciò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: "Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno serpenti e se avranno bevuto qualcosa di velenoso questo non farà loro male, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". E il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in Cielo e siede alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la parola con i miracoli che la seguivano.

Il periodo pasquale ci invita a riflettere in maniera particolare sulle tre virtù teologali, cioè quegli abiti dell'anima infuse direttamente da Dio nella nostra anima al momento del Battesimo e nutrite con i Sacramenti, irraggiungibili con le sole forze umane. La solennità di Pasqua, memoria della Resurrezione di Cristo dai morti, avrebbe dovuto farci riflettere sulla fede. Ora la solennità di Ascensione ci farà riflettere sulla speranza, così come Pentecoste dovrebbe farci riflettere sulla carità. 

L'Ascensione di Gesù al Cielo non è stata infatti un gesto di esibizionismo divino, ma un evento di grande significato per gli apostoli, che erano ancora smarriti dopo la crocifissione del loro Maestro. Secondo il pensiero di San Tommaso d'Aquino, la vista di Cristo che ascendeva al Cielo con il suo corpo assume diversi scopi educativi per la Chiesa. 

Prima di tutto, quest'immagine - che anche noi possiamo portare alla nostra immaginazione - serve ad aumentare la Fede già fondata sull'evento pasquale, poiché la mancanza della presenza fisica di Cristo ci fa capire che Egli, in quanto Dio, abbraccia tutto ciò che esiste e ciò che facciamo: non è affatto limitato dalla località come noi uomini. Inoltre, l'Ascensione - e questo è il tratto più importante - rappresenta la fonte della Speranza, poiché ci fa comprendere che il Bene cui aspiriamo è in alto, anche se difficile da raggiungere. Infine, serve a preparare l'affetto della Carità, orientando i nostri desideri verso le verità eterne e fornendoci una visione più completa della realtà.

Secondo il Vangelo di Luca, l'Ascensione avvenne nell'Orto degli Ulivi, lo stesso luogo in cui Gesù fu tradito e arrestato prima della crocifissione. Curiosamente, Marco, il cui vangelo è noto per la sua brevità, non menziona questo dettaglio, ma collega l'evento alla missione apostolica di predicare il vangelo, convertire i cuori, battezzare e guarire i peccatori. Nelle Sacre Scritture, si menziona che il Signore Risorto si è assiso alla destra del Padre. Ma cosa vuol dire questa espressione? La destra, nel contesto biblico, è simbolo di giustizia. Quindi, la destra del Padre si riferisce alla massima giustizia, quella divina. Nel vangelo, il Signore afferma: "Sono venuto nel mondo per giudicare" (Giovanni 9, 39), sottolineando che la giustizia divina richiede che il Figlio, che ha redento l'umanità, distribuisca attraverso la Chiesa - che partecipa misticamente al suo corpo ferito - i meriti per la salvezza. Allo stesso tempo, questa giustizia divina richiede che il Figlio punisca i demeriti delle sue creature quando necessario, quelle creature che rifiutano l'amore di Dio per l'amore del mondo.

Il Signore è definito come la "primizia di coloro che risorgono dai morti" (1Corinzi 15, 20). Come Cristo è risorto, così risorgeremo anche noi, quando verrà restaurato il Regno di Israele (Atti 1, 6). Questo regno non è il regno terreno di Davide, ma un regno eterno, del quale il regno dell'Antico Testamento era solo una pallida immagine: il regno del Paradiso, la Gerusalemme celeste, che sorge alla fine dei tempi dopo il Giudizio Universale. È interessante notare che Cristo sia risorto portando ancora i segni della sua Passione: attraverso quella sofferenza, infatti, Cristo ha guadagnato il diritto di essere un giudice misericordioso e un salvatore giusto per l'umanità.

Gaetano Masciullo 

sabato 4 maggio 2024

I sette doni dello Spirito Santo

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 23-30

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum iam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli eius: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 23-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete, e otterrete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose per mezzo di parabole. Ma viene il tempo in cui non vi parlerò più per mezzo di parabole, ma vi parlerò apertamente del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome, e non vi dico che io pregherò il Padre per voi: poiché lo stesso Padre vi ama perché avete amato me e avete creduto che sono uscito da Dio. Uscii dal Padre e venni nel mondo: ed ora lascio il mondo e torno al Padre". Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco che ora parli chiaramente e senza parabole. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno ti interroghi: per questo crediamo che tu sei venuto da Dio".

Il Maestro Gesù ci invita a rivolgerci a Dio nel Suo nome. Egli chiarisce: "Qualsiasi cosa chiederete al Padre nel Mio nome, ve la concederà". Ma c'è qualcosa di speciale a cui Gesù si riferisce in questo passo del Vangelo? C'è qualcosa di particolare che Gesù desidera che chiediamo al Padre, affinché la nostra gioia sia "completa"?

Effettivamente, nonostante il Signore sia provvido e "ricompensi coloro che Lo cercano" (Ebrei 11, 6), c'è un dono che Egli desidera conferire alla Sua creatura più di ogni altra cosa. Solo questo Dono potrà rendere completa la gioia di coloro che credono nel nome di Gesù. Ora sappiamo che il nome Gesù significa "Dio salva": credere nel nome di Gesù significa quindi riconoscere che Dio ci ha salvati attraverso il sacrificio di Cristo.

Cosa dobbiamo chiedere al Padre per rendere completa questa gioia che la croce di Cristo ha reso possibile? La narrazione evangelica di questo episodio è proclamata dalla Chiesa in un momento cruciale del ciclo liturgico pasquale, che culmina con le solennità dell'Ascensione e, successivamente, di Pentecoste. È qui che sorge il sublime Dono che dobbiamo implorare dal Signore: lo Spirito Santo, il "Signore che dà la vita", lo Spirito del Padre che è anche lo "Spirito del Figlio" (Galati 4, 6), perché da loro procede e con loro unisce i due in una sola e beata Trinità di amore.

Ma lo Spirito, oltre a unire la Trinità, unisce anche tutto il creatore alla sua creatura, redenta dal prezioso sangue, e desidera dimorare in ogni cuore dell'uomo salvato: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1 Corinzi 3, 16). Ogni credente è chiamato a essere un sacro tempio di Dio, seguendo l'esempio di Gesù stesso, che per primo chiamò il Suo puro corpo Tempio del Padre: egli lo fece affinché fosse un esempio per noi.

Chiedere a Dio il dono dello Spirito Santo significa, secondo la tradizione della Chiesa, custodire in noi sette santi doni, sette virtù soprannaturali, che completano e sostengono le virtù teologali e naturali. Ciò implica che i sette doni dello Spirito Santo perfezionano e supportano una condizione che dobbiamo coltivare in noi stessi. Questi sette doni sono tradizionalmente conosciuti come doni di sapienza, di scienza, di intelletto, di fortezza, di timore di Dio, di pietà e di consiglio.

La virtù teologale della Fede trova applicazione nella scienza e nell'intelletto. La scienza è quel dono che ci consente di discernere con chiarezza ciò che deve essere creduto da ciò che non lo deve essere. L'intelletto, invece, è il dono che ci permette di penetrare profondamente nei misteri della Fede, cioè nelle verità rivelate da Dio.

La virtù teologale della Speranza si collega al timore di Dio. Quest'ultimo ci spinge a non volere più offendere Dio, non per paura dell'inferno, ma per amore e per il timore di separarci da Lui (è anche noto come timore filiale).

La virtù cardinale della Prudenza si accompagna al dono del consiglio. Questo dono è una virtù infusa da Dio che ci guida verso le cose che sono bene ordinate per il fine eterno o verso quelle che sono necessarie per vivere bene, sia esse temporali che spirituali.

Alla virtù cardinale della Giustizia corrisponde il dono della pietà, una virtù di venerazione che ci porta a relazionarci con Dio come con un Padre celeste.

La virtù cardinale della Fortezza trova riscontro nel dono che porta lo stesso nome, una virtù soprannaturale che ci spinge a perseverare nella grazia anche a costo della vita.

Infine, la Sapienza, il dono più nobile e sinonimo di santità, si applica alla virtù più elevata, la carità teologale. Quest'ultima rappresenta l'apice della vita mistica e spirituale ed è il dono proprio dei santi. È la vetta del cammino ripido che porta all'unione con il Signore, e a cui tutti noi dobbiamo aspirare. La sapienza indica la perfezione della mente umana che ci spinge a seguire la volontà dello Spirito Santo, quasi come un istinto.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...