sabato 27 maggio 2023

Antica e Nuova Pentecoste

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 14, 23-31.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus, et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed eius, qui misit me, Patris. Haec locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia, et súggeret vobis ómnia, quaecúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbétur cor vestrum, neque formídet. Audístis quia ego dixi vobis: Vado, et vénio ad vos. Si diligerétis me, gauderétis útique, quia vado ad Patrem, quia Pater maior me est. Et nunc dixi vobis priúsquam fiat: ut cum factum fúerit, credátis. Iam non multa loquar vobíscum. Venit enim prínceps mundi huius, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 14, 23-31.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Chiunque mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che avete udito non è mia, ma del Padre, di colui che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto mentre vivevo con voi. Il Paraclito, poi, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, insegnerà a voi ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace: ve la dò non come la dà il mondo. Non si turbi il vostro cuore, né si impaurisca. Avete udito che vi ho detto: vado e vengo a voi. Se voi mi amaste, vi rallegrereste certamente che io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso, prima che succeda: affinché, quando ciò sia avvenuto, crediate. Non parlerò ancora molto con voi. Viene il principe di questo mondo ed egli non ha alcun potere su di me; ma bisogna che il mondo sappia che amo il Padre e agisco conformemente al comandamento che il Padre mi ha dato.

La Pentecoste conclude il tempo di Pasqua. Essa è l'ultimo giorno utile per assolvere a uno dei cinque precetti generali della Chiesa, ossia quello di "confessarsi e comunicarsi almeno una volta all'anno, sotto pena di peccato grave".

Nella Legge antica, la festa di Pentecoste - detta in ebraico Shavuot, "festa delle settimane" - era stata istituita per commemorare la consegna delle tavole dei comandamenti di Dio a Mosè sul Sinai. Viene chiamata così perché avviene sette settimane dopo, il cinquantesimo giorno dopo l'attraversamento del Mar Rosso da parte degli ebrei, evento che rappresenta appunto la Pesah, la Pasqua, cioè il transito, del Signore. Se il numero sette rappresenta nella numerologia biblica la perfezione, la completezza (si pensi a Dio che crea il cosmo in sette giorni, una settimana), "sette volte sette" indica una perfezione rinnovata da Dio stesso: una espressione simile era stata usata da Gesù per indicare quante volte il credente deve perdonare il fratello: "non vi dico fino a sette volte, ma settanta volte sette" (Matteo 18, 22; cfr. anche Genesi 4, 24).

Tutto ciò che avvenne nell'Antico Testamento, tuttavia, è solo immagine e prefigurazione di quanto avviene nella Nuova ed eterna Alleanza di Cristo. Così la vera Pasqua è la Resurrezione di Cristo, che morto sulla croce come vero agnello sacrificale; messo nel sepolcro come gli ebrei e gli egizi che furono bagnati dalle acque, gli uni per la vita a simboleggiare i battezzati, gli altri per la morte a simboleggiare la mentalità mondana; infine, risorto a vita nuova per la potenza del Padre, come gli ebrei liberati dall'Egitto, cioè dal peccato. 

Cerchiamo dunque di capire quale parallelismo sussista tra l'antica e la nuova Pentecoste. Lo Spirito di Dio, manifestatosi sotto forma di nube - "tutto il Sinai fumava, perché il Signore era disceso in mezzo al fuoco; il fumo ne saliva come da una fornace, e tutta la montagna metteva spavento" (Esodo 19,18) - aveva consegnato agli ebrei la Legge; ora, manifestatosi ancora come fuoco (cfr. Atti 2, 3), lo stesso Spirito, che è Spirito del Padre e Spirito del Figlio, consegna ai nuovi ebrei - cioè agli apostoli congregati nel cenacolo, alla Santissima Vergine Maria, e alle altre donne del cenacolo - i doni soprannaturali necessari per predicare con costanza ed efficacia la lieta novella di Cristo a tutto il mondo. 

Non più, dunque,  un popolo eletto limitato ai confini della Giudea, ma l'intera umanità. Tutto ciò che era avvenuto fino a quel momento, dalla chiamata di Abramo fino all'avvento di Cristo, era stato immagine, prefigurazione e preparazione per riportare tutti gli uomini di buona volontà (e per questa, amati dal Signore) a ricongiungersi al Dio uno, trino, vivo e vero.

Gaetano Masciullo

sabato 20 maggio 2023

La pedagogia dell'Ascensione

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20.

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum, et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, praedicáte Evangélium omni creatúrae. Qui credíderit, et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, haec sequéntur: In nómine meo daemónia eiícient: linguis loquéntur nobis: serpéntes tóllent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super aegros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in coelum, et sedet a déxtris Dei. Illi autem profécti, praedicavérunt ubíque, Dómino cooperánte, et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 14-20.

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici, radunatisi per mangiare, e rinfacciò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: "Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno serpenti e se avranno bevuto qualcosa di velenoso questo non farà loro male, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". E il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in Cielo e siede alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la parola con i miracoli che la seguivano.

L'Ascensione di Cristo Signore al Cielo è stato un evento pedagogico per gli Undici apostoli, ancora smarriti dopo lo scandalo della crocifissione del Maestro. 

San Tommaso d'Aquino bene spiega che la visione di Cristo che ascende al Cielo con il suo corpo serve alla Chiesa tutta per "l'aumento della Fede", perché, venendo meno la percezione sensoriale della presenza di Cristo fra di noi, capiamo che Egli avvolge nella sua presenza tutto ciò che esiste e che facciamo; è servita "al sollevamento della nostra Speranza", perché capissimo che il Bene cui dobbiamo aspirare è in alto e quindi difficile da raggiungere e tuttavia non impossibile, perché ce l'ha promesso Dio; è servita "ad innalzare l’affetto della Carità", cioè ad aggiustare la mira dei nostri desideri e orientarli verso le verità eterne e avere così una visione più completa sulla realtà (chi è in alto vede più lontano rispetto a chi è in basso).

Come ci racconta san Luca proprio all'inizio del suo secondo testo sacro, gli Atti degli apostoli, il luogo dell'Ascensione di Gesù in Cielo fu nell'Orto degli Ulivi, cioè il Getsemani, (Atti 1, 12), lo stesso luogo in cui il Figlio di Dio fu tradito e consegnato ai peccatori perché fosse crocifisso. Curioso notare che l'evangelista Marco, al quale - secondo una tradizione antica e veneranda - quell'Orto apparteneva, non menziona il luogo di questo grande avvenimento, ma in maniera stringata (come sempre fa questo vangelo) collega l'evento prodigioso alla missione apostolica di predicare la verità, convertire i cuori, battezzare e guarire i malati.

Il Signore Risorto, dice la Scrittura, si è seduto alla destra del Padre. Cosa intende comunicarci con quest'espressione? La destra è nel linguaggio biblico immagine della giustizia. La destra del Padre, pertanto, è un'espressione che fa riferimento alla somma giustizia, quella divina. "Sono venuto nel mondo per compiere un giudizio" (Giovanni 9, 39), dice il Signore nel vangelo, e la giustizia divina esige che lo stesso Figlio che ha redento l'umanità distribuisca attraverso la Chiesa, che misticamente partecipa del suo corpo piagato, i meriti per la salvezza, ma anche che riprenda quando è necessario i demeriti delle sue creature, che rifiutano l'amore di Dio per l'amore del mondo.

Il Signore è la "primizia di coloro che giacciono morti" (1 Corinzi 15, 20). Com'è risorto il Cristo, così risorgeremo anche noi, quando sarà restaurato il Regno di Israele (Atti 1, 6), che non è il regno terreno di Davide, ma un altro regno, un regno eterno del quale quello vetero-testamentario fu solo un immagine pallida: il regno del Paradiso, la Gerusalemme celeste, che nascerà alla fine dei tempi dopo il Giudizio Universale. Interessante notare come il Cristo sia risorto conservando su di sè i segni della Passione: è attraverso quella sofferenza, infatti, che Cristo ha meritato di essere giudice misericordioso e salvatore giusto dell'umanità.

Gaetano Masciullo

sabato 13 maggio 2023

Chiedete lo Spirito Santo, e la vostra gioia sarà completa

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 23-30

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum iam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli eius: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 23-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete, e otterrete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose per mezzo di parabole. Ma viene il tempo in cui non vi parlerò più per mezzo di parabole, ma vi parlerò apertamente del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome, e non vi dico che io pregherò il Padre per voi: poiché lo stesso Padre vi ama perché avete amato me e avete creduto che sono uscito da Dio. Uscii dal Padre e venni nel mondo: ed ora lascio il mondo e torno al Padre". Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco che ora parli chiaramente e senza parabole. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno ti interroghi: per questo crediamo che tu sei venuto da Dio".

Il Signore Gesù ci invita a rivolgerci a Dio nel suo nome. Egli chiarisce:"qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome, ve la concederà". Ma c'è qualcosa di particolare cui Gesù vuole fare riferimento in questo episodio del vangelo? C'è qualcosa di speciale che Gesù vuole che chiediamo a Dio Padre, affinché la nostra gioia "sia completa"?

In effetti, per quanto il Signore sia provvido e "ricompensa coloro che lo cercano" (Ebrei 11, 6), c'è qualcosa che egli vuole donare alla sua creatura più di ogni altra cosa. Solo questo Dono potrà completare la gioia di coloro che credono nel nome di Gesù. Ora sappiamo che il nome Gesù significa "Dio salva": credere nel nome di Gesù significa dunque che Dio ci ha salvato nel sacrificio di Cristo.

Cosa dobbiamo chiedere al Padre per rendere completa questa gioia che la croce di Cristo ci ha aperto? 

La Chiesa proclama questo episodio di vangelo perché siamo incamminati verso l'epilogo del periodo liturgico pasquale, che si conclude con la solennità dell'Ascensione e, subito dopo, di Pentecoste. Ecco dunque il Dono sublime che dobbiamo chiedere al Signore: lo Spirito Santo, "Signore e che dà la vita", lo Spirito del Padre che è anche "Spirito del Figlio" (Galati 4, 6), perché da essi procede e con essi unisce i due in una sola Trinità beata di amore. 

Ma alla Trinità lo Spirito unisce tutto il mondo sua creatura, redenta da quel prezioso sangue, e brama di vivere in ogni cuore dell'uomo salvato: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Corinzi 3, 16). Ogni credente è chiamato ad essere Tempio santo di Dio, su modello di quanto fece lo stesso Gesù, che chiamò per primo il suo stesso corpo purissimo Tempio del Padre: egli lo fece perché fosse per noi di esempio.

Chiedere a Dio il dono dello Spirito Santo significa, secondo la tradizione della Chiesa, custodire in noi sette santi doni, sette virtù soprannaturali, che si applicano alle virtù teologali e alle virtù naturali. Questo significa che i sette doni dello Spirito Santo perfezionano e supportano una condizione che dobbiamo preoccuparci di coltivare in noi stessi. Questi sette doni sono chiamati tradizionalmente dono di sapienza, di scienza, di intelletto, di fortezza, di timore di Dio, di pietà, di consiglio. 

Alla virtù teologale della Fede si applicano la scienza e l'intelletto. La scienza è quel dono che ci permette di distinguere con chiarezza le cose da credere da quelle da non credere. L'intelletto è invece quel dono che ci permette di penetrare a fondo nei misteri di Fede, cioè nelle verità rivelataci da Dio. 

Alla virtù teologale della Speranza si applica il timore di Dio. Esso ci spinge a non voler più offendere Dio, non per paura dell'inferno, ma per amore e per paura di separarsi da lui (si parla anche di timore filiale).

Alla virtù cardinale della prudenza si applica il dono del consiglio. Esso è quella virtù infusaci da Dio che ci dirige verso le cose bene ordinate al fine eterno oppure verso quelle cose che ci sono necessarie per ben vivere, siano esse temporali o spirituali. 

Alla virtù cardinale della giustizia corrisponde il dono della pietà, quella virtù di venerazione che ci fa relazionare con Dio come con un Padre celeste.

Alla virtù cardinale della fortezza corrisponde il dono che porta lo stesso nome, virtù soprannaturale che ci spinge a perseverare nella grazia anche a costo della vita.

La sapienza, infine, che è il dono più nobile ed è sinonimo di santità, si applica alla virtù più importante, che è la virtù teologale della carità: essa è l'apice della vita mistica e spirituale, ed è il dono proprio dei santi. Vetta del cammino ripido che porta all'unione con il Signore e cui tutti noi dobbiamo ambire, la sapienza indica quella perfezione della mente umana che ci spinge a seguire la volontà dello Spirito Santo, quasi come se fosse un istinto.

Gaetano Masciullo

sabato 6 maggio 2023

Lo Spirito tornerà ad aleggiare sui cuori dei credenti

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 16, 5-14.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia haec locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: éxpedit vobis ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto, et de iustítia, et de iudício. De peccáto, quidem, quia non credidérunt in me: de iustítia vero, quia ad Patrem vado, et iam non vidébitis me: de iudício autem, quia prínceps huius mundi iam iudicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quaecúmque áudiet, loquétur, et quae ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 5-14.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Vado a Colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E, venendo, Egli accuserà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi, ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che dovrà arrivare. Egli mi glorificherà, perché ciò che riceverà da me lo annunzierà anche a voi".

Si avvicina il tempo dell'Ascensione e la Chiesa ci invita a meditare su una delle promesse che il Signore ha fatto ai suoi apostoli circa l'invio dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste. Le parole del brano di vangelo secondo Giovanni sono, com'è tipico di questo evangelista, teologicamente molto dense.

Il Signore qui ci dice che era necessaria la sua morte in croce per poter inviare lo Spirito Santo sugli apostoli. Per comprendere bene la natura di questa necessità, è indispensabile tornare con la mente a quanto leggiamo nel libro della Genesi. In principio, quando Dio creò l'universo, lo "Spirito aleggiava sulle acque" (Gn 1, 2). L'azione dello Spirito Santo è presente nella storia del mondo sin dalla sua creazione, ma tra la sua azione creatrice e il suo governo di grazia e la venuta di Cristo c'è stata una frattura, quella del peccato originale, che ha scacciato quello stesso Spirito dal cuore dell'uomo.

Dunque, da qui la necessità della croce, della quale il Signore parla in questo discorso di addio che egli pronunciò in occasione dell'Ultima Cena. Il mistero della Redenzione apre le porte alla "nuova creazione" che si verificherà proprio il giorno di Pentecoste, quando lo Spirito Santo tornerà ad "aleggiare sulle acque", cioè sui cuori degli apostoli. Interessante notare che proprio l'acqua è il simbolo utilizzato da Gesù, nello stesso vangelo secondo Giovanni, per indicare la grazia vivificante dello Spirito Santo nell'anima dei credenti: "Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Gv 7, 37-38), e l'evangelista soggiunge: "Questo egli disse riferendosi allo Spirito, che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (Gv 7, 39).

Il Figlio dunque è il prezzo d'amore per ripristinare la creazione al suo stato di perfezione originaria, e anzi una perfezione perfino superiore, perché - come scrive san Paolo - "la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità" (Rm 8, 19-20). Lo Spirito Santo torna ad aleggiare sulla creazione, e in particolare sulle anime dei credenti in stato di grazia, resi "fiumi di acqua viva", in attesa di aleggiare definitivamente sull'intera creazione, quando sarà riportata alla perfezione dopo la parusia.

Leggiamo poi che, se da una parte lo Spirito Santo tornerà per consolare coloro che credono nel Figlio (infatti questo significa il termine greco paraclito: "consolatore" e "difensore"), dall'altra parte verrà anche ad accusare il mondo, cioè coloro che continuano a scegliere il peccato anziché la vita. E Gesù ci dice che lo Spirito Santo accuserà il mondo in maniera triplice: circa il peccato, circa la giustizia, e circa il giudizio.

Bisogna capire cosa intendeva dire Gesù nell'esprimere queste tre parole, alla luce della spiegazione che lo stesso Signore ci fornisce: "Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato".

La mancanza di fede nel Figlio - "non credono in me" - è per il Signore il peccato per antonomasia. Non perché sia il peccato più grave (quello è l'odio) né perché sia il peccato che genera tutti gli altri peccati (quello è la superbia), bensì perché l'incredulità è il peccato che ostacola la restaurazione del Regno di Dio nel cuore dell'uomo. Esso è il peccato che impedisce allo Spirito di Dio di aleggiare nuovamente sulle acque.

Poi il Signore soggiunge che lo Spirito Santo rimprovererà il mondo per la giustizia, perché il Figlio va al Padre e nessuno lo vedrà più. Queste parole fanno riferimento al mistero dell'Ascensione. In che senso l'Ascensione è un atto di giustizia? E' giusto, in effetti, che il Figlio non resti in questo mondo, che rimarrà segnato dalle conseguenze del peccato antico fino alla "restaurazione del Regno di Israele" (At 1, 6), cioè fino alla resurrezione dei morti. Al Figlio è stato dato ciò che gli spetta con l'Assunzione, cioè il suo seggio di gloria "alla destra del Padre", dove la destra nel linguaggio biblico è proprio il simbolo della giustizia.

Viene infine il giudizio. Lo Spirito Santo rimprovererà il mondo circa il giudizio, perché il principe di questo mondo - cioè il tentatore, il satana che indusse Adamo al peccato - è già condannato. Il Signore, ci dice il vangelo, è sì "venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi" (Gv 9, 39), ma altrove ci dice anche che il suo giudizio non è per la condanna: "non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo" (Gv 12, 47). Attenzione: questo non vuol dire che alcuni uomini non siano giudicati degni di condanna. Purtroppo, è più facile che l'uomo si danni piuttosto che si salvi: "larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa" (Mt 7, 16). 

Il giudizio di condanna è la norma, l'ordinarietà per l'uomo fin dalla caduta originale è la dannazione. Gesù è venuto per dare un giudizio nuovo: il giudizio della croce che salva. Allora colui che subirà il giudizio definitivo di condanna non sarà più l'uomo, ma il diavolo. Satana è il principe di questo mondo, cioè il capo: condannando e disperdendo il capo, tutto il suo popolo sarà disperso e annientato. Lo Spirito Santo soffierà via e rinchiuderà nel tartaro lo spirito empio. 

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...