sabato 25 novembre 2023

La Croce di Cristo è l'abominio della desolazione che ci salva


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 24,15-35.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur - si fíeri potest - étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 24, 15-35.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando vedrete l’abominio della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posto nel luogo santo - chi legge, comprenda - allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, e chi si trova sulla terrazza non scenda per prendere qualcosa in casa sua, e chi sta al campo non torni a prendere la sua veste. Guai poi alle donne incinte e a quelle che in quei giorni allattano. Pregate che non dobbiate fuggire d’inverno o in giorno di sabato. Infatti allora sarà grande la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo fino ad oggi, né sarà mai. E se quei giorni non fossero accorciati, nessun uomo si salverebbe, ma quei giorni saranno accorciati in grazia degli eletti. Allora, se qualcuno vi dirà: ecco qui il Cristo, o eccolo là, non credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti: e faranno grandi miracoli e prodigi, da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se quindi vi diranno: Ecco, è nel deserto, non uscite; ecco, è nella parte più nascosta, non credete. Infatti, come il lampo parte da Oriente e brilla fino a Occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, lì si raduneranno le aquile. Ma subito dopo quei giorni di tribolazione si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo: piangeranno tutte le tribù della terra e vedranno il Figlio dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà. Egli manderà i suoi angeli con la tromba e a gran voce a radunare i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli. Imparate questa similitudine dall’albero del fico: quando il suo ramo intenerisce e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina: così, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non siano adempiute tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

Quando ascoltiamo brani di vangeli come questo proclamato oggi, la nostra mente corre subito a scenari apocalittici da fine del mondo, ma dimentichiamo che il vero senso di queste parole non è apocalittico nel senso hollywoodiano del termine, cui purtroppo anche tantissimi pseudo-messaggi di presunti mistici ci hanno abituato nel corso dei decenni. La parola greca Apocalisse significa infatti "rivelazione" e non ha necessariamente in se stesso un significato catastrofista. 

Ma se leggiamo attentamente le ultime parole della sequenza odierna di vangelo, scopriamo che il vero senso di tutte queste parole deve andare in ben altra direzione. Il Signore infatti dice, rivolgendosi ai suoi apostoli, che "non passerà questa generazione che non siano adempiute tutte queste cose". Ora noi sappiamo che la generazione dell'epoca di Cristo è tramontata da un bel pezzo, e nessuno degli eventi narrati in questa pagina si è avverato: il sole non si è spento, la luna non è divenuta come il sangue e non c'è stata una pioggia distruttrice di meteoriti sulla terra. Delle due l'una: o Gesù era un ciarlatano, o il senso di queste parole era ben altro, e noi dobbiamo leggere questi riferimenti cosmici come simbolo di ben altro, di natura spirituale.

Certo è difficile pensare a ciarlataneria, se consideriamo che questo vangelo fu scritto da san Matteo quando la generazione di Gesù era già prossima alla fine, se non già passata. Dobbiamo dunque leggere queste parole con un'ottica diversa, allegorica, che è tipica in realtà un po' di tutti gli autori biblici, che sanno unire abilmente vicende storiche e riferimenti simbolici, com'è tipico della cultura e della letteratura ebraica. Capiamo allora perché l'autore si cura di inserire, proprio all'inizio di questa sequenza, l'inciso: "Chi legge, comprenda", come a dire: attenzione a non fermarvi a un'interpretazione superficiale, che si ferma all'apparenza.

L'abominio della desolazione è quello cui si fa riferimento nel libro del profeta Daniele: "il Cristo sarà ucciso, [...] ci sarà nel Tempio l'abominio della desolazione e la desolazione resterà fino alla fine dei secoli" (Dn 9, 27). Ora, cos'è questa desolazione eterna, che non cesserà neanche dopo il Giudizio Universale, se non la croce di Cristo, la sua Passione, che sola consente agli uomini di essere salvati? La parola del profeta è chiara al riguardo, e il riferimento anche. L'abominio della desolazione è dunque il Sacrificio della Croce, ripetuto ogni giorno in modo incruento nel Sacramento dell'Eucarestia.

Possiamo capire in questo modo anche le tre apparentemente strane indicazioni che il Signore fornisce: chi si trova in Giudea fugga sui monti, chi si trova in terrazza non scenda in casa per prendere oggetti, chi è nei campi non rientri in casa per prendere la veste. Anche queste indicazioni fanno riferimento a realtà simboliche. Il Signore vuole metterci in guardia da tre atteggiamenti che fanno da impedimento alla vita sacramentale. Questi impedimenti sono le nostre attività mondane, che rischiano di farci attaccare il cuore alle cose corruttibili: non solo le attività che riguardano i beni esteriori ("chi si trova in Giudea", cioè nelle città per fare affari, "fugga verso i monti", dove i monti sono il simbolo dell'incontro con Dio), ma perfino i propri desideri (la volontà è il tetto dell'anima: non scendiamo verso il "basso della casa" per cercare cose effimere) e le necessità della vita (chi sta nel campo - cioè chi lavora per il Regno di Dio - sia disposto a rinunciare anche alle cose necessarie, se Dio lo chiede, come lo è la tunica per vestirsi).

Alcuni impedimenti però non dipendono da noi, ma soltanto da Dio, che dispone tutto secondo la sua Provvidenza. Questi impedimenti inevitabili sono indicati nelle parole di Gesù in due modi: la condizione delle donne incinte o allattanti; e la possibilità che la fuga avvenga di inverno o di sabato. In effetti, la vita di grazia talvolta può essere impedita da un affetto smodato verso i più cari. Eppure, Gesù ci invita ad amarlo più della moglie, più della madre, perfino più dei figli: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me" (Matteo 10,37). E ancora si legge nel vangelo di quel tale che chiese a Gesù di seguirlo dopo aver seppellito il proprio padre, ma la risposta di Gesù è sconvolgente: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio" (Lc 9,60). Questo è sicuramente l'impedimento più difficile da combattere, e per questo Gesù sottolinea l'estrema difficoltà con l'espressione: "Guai alle donne...".

Altri impedimenti inevitabili sono dovuti alla nostra natura ferita dal peccato originale: per esempio, l'intelletto incapace di comprendere determinate cose o la debolezza del carattere e del temperamento. Questa debolezza di natura è rappresentata dall'espressione: "Pregate che non dobbiate fuggire d'inverno", perché l'inverno rappresenta la stagione più ostile alla vita. Altri impedimenti sono dovuti alle condizioni sociali e ai timori causati dai poteri politici. Questa debolezza della Legge è rappresentata dall'espressione: "Pregate che non dobbiate fuggire di sabato", perché il sabato è il giorno dei divieti secondo la Legge mosaica. Ma Gesù dice anche in entrambi i casi: "Pregate", perché questi impedimenti sono superabili con la grazia di Dio. Ecco quindi che Gesù spiega la causa di tutti questi ammonimenti: una tribolazione grande, "quale non fu dal principio del mondo fino ad oggi, né sarà mai".

La tribolazione cui fa riferimento Gesù non è una persecuzione temporale o uno sconvolgimento socio-politico. Egli parla del pervertimento della verità, anche questo a causa del peccato originale: l'uomo ha dimenticato Dio e ha creato idoli a propria immagine, ma i tempi di questa deviazione sono stati "resi brevi a causa degli eletti", cioè per amore di Dio verso la Chiesa, verso coloro che vengono purificati nel sangue dell'Agnello, lavati nel Battesimo e nutriti dall'Eucarestia. L'avvento di Cristo nella storia ha reso brevi i giorni della tribolazione: "E se quei giorni non fossero stati accorciati, nessuno si salverebbe".

Gaetano Masciullo

sabato 18 novembre 2023

La parabola del chicco di senape e delle tre misure di farina


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 13, 31-35.

In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile est regnum cœlórum grano sinápis, quod accípiens homo seminávit in agro suo: quod mínimum quidem est ómnibus semínibus: cum autem créverit, majus est ómnibus oléribus, et fit arbor, ita ut vólucres cœli véniant et hábitent in ramis ejus. Aliam parábolam locútus est eis: Símile est regnum cœlórum ferménto, quod accéptum múlier abscóndit in farínæ satis tribus, donec fermentátum est totum. Hæc ómnia locútus est Jesus in parábolis ad turbas: et sine parábolis non loquebátur eis: ut implerétur quod dictum erat per Prophétam dicéntem: Apériam in parábolis os meum, eructábo abscóndita a constitutióne mundi.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 13, 31-35.

In quel tempo, Gesù disse alle folle questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo, e questo granello è la più piccola di tutte le sementi, ma, cresciuta che sia, è più grande di tutte le altre piante e diventa un albero, così che gli uccelli dell’aria vanno e si riposano sui suoi rami". E disse loro un’altra parabola: "Il regno dei cieli è simile a un po’ di lievito, che una donna mescola con tre staia di farina, così che tutto sia fermentato". Gesù disse tutte queste parabole alle folle, e mai parlava loro se non in parabole, affinché si adempisse il detto del Profeta: "aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose nascoste dalla fondazione del mondo".

La sequenza di vangelo proclamata quest'oggi - VI Domenica dopo l'Epifania - può essere suddivisa in tre parti. Risulta forse particolarmente interessante partire dall'ultima, dove il Signore Gesù ci spiega perché parlava alle folle in parabole e solo con i discepoli, invece, si esprimeva in maniera piana. Abbiamo ascoltato, tramite le parole del profeta Davide, questa spiegazione: "Aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo" (Salmi 77, 2). Una parabola (o proverbio, secondo la dizione latina) è una similitudine: essa serve a spiegare la natura o alcuni aspetti di qualcosa facendo ricorso a oggetti, circostanze, eventi della vita quotidiana di chi ascolta. La comprensione di esse, tuttavia, non è immediata, e necessita di meditazione e riflessione costante con l'aiuto della grazia nella preghiera. Ecco perché, in un altro passo, il Signore Gesù dice: "Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono" (Matteo 13, 13).

Veniamo dunque alle due parabole di oggi, e interpretiamole non secondo i nostri gusti o le nostre impressioni, bensì secondo l'autorità dei Padri della Chiesa. La prima parabola è quella del chicco di senape. Secondo gli antichi, la senape aveva la proprietà di disintossicare l'organismo dal veleno. Allo stesso modo, il Regno dei Cieli - che nel vangelo non rappresenta mai il Paradiso, la vita futura dei beati, bensì in primo luogo lo stesso Cristo Gesù e la Chiesa, che è il suo corpo mistico - libera con la sua dottrina l'uomo dal vero veleno, che è il peccato. La dottrina del vangelo infatti è la dottrina "più piccola tra tutte", che appare insignificante se paragonata ai grandi sistemi filosofici, scientifici o tecnologici, eppure, una volta che è attecchita nel cuore dell'uomo, essa sola sa dare frutti di vita eterna. Come un albero enorme che accoglie uccelli di ogni specie, così la Chiesa - Corpo mistico di Cristo - accoglie tra le sue braccia uomini di ogni tribù, lingua e nazione. 

Nella seconda parabola, invece, il Regno dei Cieli è paragonato al lievito. Una donna - leggiamo nel vangelo - mescola questo lievito a tre staia di farina. Nel linguaggio della Scrittura, la donna è spesso associata alla Sapienza. In cosa consiste dunque la vera sapienza? Nell'unire la grazia di Dio, qui rappresentata dal lievito, all'uomo in tutte le sue facoltà. La farina, infatti, qui rappresenta l'uomo, misurato in tre staia, perché secondo la mentalità ebraica tre sono le componenti di ogni essere umano: il cuore, l'anima e le forze, che corrispondono alla tripartizione dell'uomo di cui ci parla san Paolo: "Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo" (1Tessalonicesi 5,23); "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Deuteronomio 6, 5).

Gaetano Masciullo

sabato 11 novembre 2023

Lasciate che grano e zizzania crescano insieme

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 13, 24-30.

In illo témpore: Dixit Iesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus eius, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizánia, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáte in hórreum meum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 13, 24-30.

In quel tempo, Gesù disse alle turbe questa parabola: "Il Regno dei Cieli è simile a un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma nel tempo che gli uomini dormivano, il suo nemico andò e seminò della zizzania in mezzo al grano, e partì. Cresciuta poi l’erba, e venuta a frutto, comparve anche la zizzania. E i servi del padre di famiglia, accostatisi, gli dissero: Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Da dove dunque è venuta la zizzania? Ed egli rispose loro: Qualche nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a coglierla? Ed egli rispose: No, perché cogliendo la zizzania non strappiate con essa anche il grano. Lasciate che l’uno e l’altra crescano sino alla messe, e al tempo della messe dirò ai mietitori: Strappate per prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla, e il grano raccoglietelo nel mio granaio".

Il Regno dei Cieli - dice Gesù - è simile al seminatore, non al campo. Il seminatore è Cristo, il campo è il mondo, il buon seme è la Parola di Dio. Il mondo appartiene a Cristo, come il campo al seminatore, ma a causa del "sonno degli operai", cioè del peccato che intorpidisce lo spirito, ecco che il nemico - cioè satana e i suoi demoni - può avere libero accesso nella proprietà di Cristo, e spargere zizzania.

Interessante notare che la zizzania e il grano sono due piante molto simili tra loro. Il male che satana compie e infonde nel cuore dell'uomo, spesso e volentieri, non è un male evidente ed esagerato, ma un male sottile, ambiguo, subdolo, che sa travestirsi di bene: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci" (Mt 7, 15).

Molto spesso può essere difficile fare un sano discernimento, per il quale è dunque necessario un buon cammino sulla via della santità, e da qui proviene il monito dell'apostolo Giovanni: "Carissimi, non credete ad ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio, perché molti falsi profeti sono usciti fuori nel mondo" (1Gv 4, 1).

Interessante notare come gli operai, che sono in una certa misura responsabili della crescita della zizzania nel campo del padrone, a causa della loro negligenza, si lamentano con il padrone e quasi sembrano pretendere da lui ragione di questo incidente: "Non hai seminato buon seme nel tuo campo? - gli chiedono - Da dove dunque è venuta la zizzania?". E il seminatore, che è Cristo, non rinfaccia la colpa della pigrizia ai suoi servi, ma indica che c'è un nemico da cui bisogna stare in guardia. 

Ed ecco che Cristo, attraverso la figura della parabola, indica ai suoi discepoli e a noi il metodo da utilizzare per affrontare il male, specialmente quello più subdolo, nella Chiesa e nel mondo: "Lasciate che l’uno e l’altra crescano sino alla messe, e al tempo della messe dirò ai mietitori: Strappate per prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla, e il grano raccoglietelo nel mio granaio".

Quando il grano e la zizzania sono ancora poco più che germogli, essi non si distinguono l'uno dall'altro. Essi sono talmente simili che un operaio che intenda rimuovere la sola zizzania finirebbe inevitabilmente per strappare via tanti germogli di grano buono. Allo stesso modo, un sacerdote o un vescovo zelante troppo frettoloso di rimuovere il male dal gregge affidatogli, oppure un padre troppo ansioso di correggere gli errori dei propri figli quando ancora sono troppo piccoli, finirebbe per compiere grossolani errori e il bene promesso verrebbe rimosso insieme al presunto male. 

Bisogna pertanto attendere che grano e zizzania siano cresciuti. Quando essi giungono a maturità, le differenze morfologiche tra le due piante sono troppo evidenti e le somiglianze lasciano spazio alle differenze. Così avviene anche nel mondo dello spirito: come un fenomeno spirituale cresce e si diffonde (si pensi alle miriadi di presunte esperienze mistiche e ai tanti veggenti che brulicano nel mondo e nella Chiesa di oggi), così proliferano i suoi effetti. 

Se i frutti di questi fenomeni non sono i frutti dello Spirito di cui ci parla l'apostolo san Paolo - "carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mansuetudine, fede, modestia, continenza, castità" (Gal 5, 22-23) -, bensì i suoi opposti, allora siamo pur certi che ci troviamo di fronte a zizzania. E l'esito di queste opere è tremendamente indicato dal Signore: il fuoco eterno, cioè l'inferno, dove si è "legati in fastelli", perché nella dannazione eterna ogni bene e ogni libertà è rimossa, mentre nella gioia eterna del "granaio celeste", al contrario, la libertà del bene e della verità è esaltato al suo massimo grado.

Gaetano Masciullo

sabato 4 novembre 2023

Un miracolo intrecciato


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 9, 18-26.

In illo témpore: Loquénte Iesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Iesus sequebátur eum et discípuli eius. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti eius. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum eius, salva ero. At Iesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Iesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum eiécta esset turba, intrávit et ténuit manum eius. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 9, 18-26.

In quel tempo, mentre Gesù parlava alle folle, ecco che uno dei capi gli si accostò e lo supplicò dicendo: "Signore, mia figlia è appena morta, ma vieni, imponi la tua mano su di lei, e vivrà". Gesù, alzatosi, gli andò dietro con i suoi discepoli. Quand’ecco una donna, che da dodici anni pativa una perdita di sangue, gli si accostò da dietro, e toccò il lembo della sua veste. Diceva infatti tra sé: "Mi basterà toccare la sua veste e io sarò guarita". E Gesù, voltatosi e fissandola, le disse: "Confida, o figlia, la tua fede ti ha salvata". E da quell'ora la donna fu salva. Giunto che fu alla casa del capo, vedendo dei suonatori e una folla di gente rumoreggiante, disse: "Ritiratevi, poiché la fanciulla non è morta, ma dorme". E lo deridevano. Ma dopo che la gente fu fatta sgombrare, Egli entrò, prese la giovane per mano ed ella si alzò. E la fama di ciò si diffuse per tutto quel paese.

Il brano di vangelo di questa domenica ci mostra due miracoli che, in verità, sono intrecciati l'uno con l'altro, quasi a formare un solo grande miracolo. Da una parte, infatti, vediamo il Signore Gesù che si reca a casa di Giairo, capo della sinagoga di Cafarnao, per guarire la figlia morta; dall'altra vediamo una donna emorroissa che, mossa da una grande fiducia, desidera toccare il lembo del mantello di Cristo per guarire.

Sono due esempi di grande fede nel Dio di Israele che in Cristo trova la propria massima rivelazione. Da buon conoscitore delle Scritture, Giairo aveva capito che Gesù era il Messia promesso ai profeti e ai patriarchi, e crede fermamente nel suo carisma sacerdotale. Infatti la richiesta che Giairo esprime è molto particolare e precisa, tipica dei sacerdoti: "imponi la tua mano su di lei, e vivrà". Il gesto dell'imposizione delle mani ricorre in tutta la Scrittura come segno sacerdotale. Nel libro dei Numeri, Dio ordina a Mosè di imporre le mani su Giosuè di fronte al sacerdote Eleazaro per consacrarlo (cfr. Nm 27, 18ss); nel libro del Deuteronomio, poi, leggiamo che "Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui" (Dt 34,9). Nel Nuovo Testamento, san Paolo raccomanda a Timoteo: "Non dimenticare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l'imposizione delle mani da parte dei presbiteri" (1Tm 4, 14).

La fede dell'emorroissa è propria di una persona che non ha la stessa formazione e cultura di Giairo, eppure è altrettanto solida e gradita agli occhi di Dio. Questo brano è interessante anche perché serve a confutare biblicamente le accuse che provengono dal mondo protestante e restaurazionista contro i cattolici secondo le quali il culto delle reliquie dei santi sarebbe superstizione o idolatria. Qui leggiamo chiaramente che la donna malata desidera toccare il mantello di Cristo e ripone in questo gesto la propria speranza di guarigione. Questo deve essere lo stesso spirito che spinge i cattolici a venerare le reliquie dei santi.

Per la precisione, la donna emorroissa desiderava toccare uno dei quattro fiocchi che Gesù, come ogni buon ebreo osservante, portava alle estremità del proprio mantello. Si tratta di uno dei precetti che troviamo nella Scrittura: "Metterai fiocchi alle quattro estremità del mantello con cui ti copri" (Dt 22,12). Anche in Numeri si legge questo precetto: "Parla agli Israeliti e ordina loro che si facciano, di generazione in generazione, fiocchi agli angoli delle loro vesti e che mettano al fiocco di ogni angolo un cordone di porpora viola" (Nm 15,38). I quattro fiocchi rappresentano la perfezione dell'uomo, perché quattro sono le virtù cardinali da esercitare: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. 

L'esercizio delle virtù predispone alla santità. Dunque, per quella donna, toccare uno dei fiocchi del mantello di Gesù significava toccare in qualche misura la santità stessa di Cristo, fonte per l'uomo di ogni guarigione fisica e spirituale. Ecco allora che possiamo capire perché i due miracoli sono intrecciati come a formarne uno solo: la fede nella grazia che procede dalla vita sacerdotale di Cristo, cioè dalle sue virtù soprannaturali, non può essere separata dalla fede nella grazia che procede dalla pratica delle virtù naturali. Le une e le altre vanno insieme per giungere alla santità.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...