sabato 28 gennaio 2023

In che modo Dio controlla le forze naturali?

Il Vangelo del giorno. Commenti e approfondimenti: Martedì ...

IV Domenica dopo l'Epifania

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 23-27.
In illo témpore: Ascendénte Iesu in navículam, secúti sunt eum discípuli eius: et ecce motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli eius, et suscitavérunt eum dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Iesus: Quid timidi estis, módicae fídei? Tunc súrgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare obédiunt ei?

Séguito del S. Vangelo secondo Matteo 8, 23-27.

In quel tempo, essendo poi Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?». Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. I presenti furono presi da stupore e dicevano: «Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?».

Il vangelo proclamato in questa Domenica dà avvio a due riflessioni teologiche molto interessanti quanto importanti. La prima, di carattere spirituale allegorico, riguarda il rapporto tra Cristo e la Chiesa, rappresentata dalla barca travolta dalla tempesta. Sempre, nella storia del cristianesimo, la Chiesa è apparsa minoritaria, odiata, perseguitata, tante volte è apparsa sull'orlo di crollare e sparire definitivamente.

Così, nei primi secoli, fino all'avvento di Costantino nel IV secolo, i cristiani hanno vissuto un alternarsi di persecuzioni e periodi di relativa pace ed era diffusa tra i credenti la convinzione che la fine del mondo fosse prossima, mentre i pagani erano convinti che la nuova fede in "uno schiavo crocifisso" sarebbe sparita con la minaccia e la spada. Quando pensiamo ai primi secoli della Chiesa, ci immaginiamo un periodo aureo della fede, scandito dal sangue dei martiri e da gloriose professioni, ma in realtà quelli che furono martiri, cioé che resistettero fino alla tortura e alla pena capitale, erano minoritari tra i credenti.

I santi martiri non dovettero opporsi soltanto ai nemici esterni alla Chiesa, ma anche (e forse soprattutto) a quei cristiani che, non avendo fortezza, si piegavano facilmente ai ricatti del potere imperiale e rinnegavano facilmente Cristo per avere salva la vita. "In fondo - dovevano pensare questi ultimi - Dio solo legge il cuore dell'uomo e anche se brucerò l'incenso davanti alla figura dell'imperatore, egli saprà che nel mio cuore riconosco solo lui come Dio". Quanti oggi penserebbero la stessa cosa?

La storia della Chiesa, anche dopo la diffusione capillare del cristianesimo in Europa e poi nel mondo, ha sempre visto l'alternarsi di trionfi e gravi crisi e persecuzioni. Questa che stiamo vivendo non è certamente la crisi maggiore, ma solo una delle tante, con i caratteri che le sono peculiari.

L'episodio di oggi ci tranquillizza quindi sul fatto che Cristo è Signore della storia. Quando la barca di Pietro, che è la Chiesa, sembra essere sopraffatta dalle onde del mondo (il mare è sempre nel linguaggio biblico simbolo del mondo, che è uno dei nemici della salvezza dell'uomo) e Dio sembra dormire, cioé essere indifferente alle persecuzioni, ecco che in realtà "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8, 28).

C'è poi una seconda riflessione che scaturisce da questo episodio, in qualche modo collegato anche alla prima. Si tratta di una riflessione di carattere teologico - cosmologico: in che modo Dio controlla le forze naturali?

Sappiamo infatti che Dio è creatore, e quindi tutto ciò che esiste a livello naturale e soprannaturale dipende ultimamente da lui solo. Sappiamo anche che la creazione è terminata: cioè tutti gli elementi ultimi che compongono la realtà naturale esistono già e generano nuove cose, nuovi composti, come per rimescolamento e adattamento (potremmo così cristianizzare il motto di Lavoisier: "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma").

Ma, se la creazione è perfetta, cioè compiuta, Dio comunque non rimane indifferente nei suoi confronti. Dio non è un orologiaio che, dopo aver prodotto l'orologio e appeso al muro, bada ai fatti suoi. E' nella natura di Dio infatti essere - come diceva un filosofo medievale - bonum diffusivum sui, "bene diffusivo di se stesso". C'è dunque un'azione di Provvidenza e di governo da parte di Dio delle cose create.

Quello che a noi appare come casuale in natura, perché non sappiamo vedere le ragioni ultimissime degli eventi, in realtà avviene sempre sotto l'occhio vigile e provvidente di Dio. Dio, nel creare il mondo, ha stabilito leggi fisiche ben precise e inderogabili e gli eventi naturali come le stagioni, le intemperie, il clima favorevole, ma anche gli eventi più inquietanti come i terremoti, i maremoti, gli uragani, rispondono certamente a questo grande meccanismo autonomo che è la natura (anche se - il credente lo sa - anche la natura soffre, in una maniera misteriosa, le conseguenze del peccato originale commesso dall'uomo).

Ma Dio è sovrano delle leggi che egli stesso ha creato e può certamente interromperle o addirittura abolirle quando vuole: se non lo fa, è perché Dio fa tutto nel migliore dei modi e quindi non avrebbe senso creare il meglio per poi sostituirlo con ciò che è peggio.

Eppure, Dio consente spesso il male nella natura corrotta (malattie, e altre gravi cose) per istruire anche spiritualmente l'uomo, proprio come fa nel vangelo di oggi. Dio consente la tempesta per mostrare la propria forza e rivelare ancora una volta la natura divina di Cristo agli apostoli. Quando Dio interviene senza badare alle altrimenti inderogabili e ordinarie leggi fisiche, si dice che si ha un prodigio o un miracolo.

Gaetano Masciullo

sabato 21 gennaio 2023

Come poteva il centurione avere fede in ciò che ignorava?

Ascensione Spirituale nel nome di Cristo Gesù: aprile 2016
III Domenica dopo l'Epifania.
Racconto della guarigione miracolosa di un lebbroso
e del servo paralitico del centurione.

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13.
In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis potes me mundáre. Et exténdens Iesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra eius. Et ait illi Iesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod praecépit Móyses, in testimónium illis. Cum áutem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum, et dicens: Dómine, puer meus iacet in domo paralyticus, et male torquétur. Et ait illi Iesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites et dico huic: Vade, et vadit; et álii: veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Áudiens autem Iesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen dico vobis, non invéni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham, et Isaac, et Iacob in regno coelórum: fílii autem regni eiiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus, et stridor déntium. Et dixit Iesus centurióni: Vade, et sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 8, 1-13.
Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi». E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato». E subito la sua lebbra scomparve. Poi Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro». Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò». Ma il centurione riprese: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa». All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va', e sia fatto secondo la tua fede». In quell'istante il servo guarì.

Nel vangelo di oggi, sono raccontati in sequela due eventi miracolosi di guarigione, che appaiono l'uno indipendente dall'altro, eppure sono collegati da un grande senso spirituale: motivo per cui la Chiesa li proclama entrambi nella stessa domenica.

Il primo episodio è quello di un lebbroso che viene completamente purificato da Gesù. L'evangelista scrive che il lebbroso "adorava" il Cristo, il che ci lascia intuire che quel pover'uomo - pur piagato da una malattia terribile che scarnificava e riduceva le energie e l'aspetto a poco più che a quelle di una larva umana - aveva compreso, per una grazia singolare, che quel Gesù di Nazareth non era un uomo qualunque, ma il Messia promesso a Israele, anzi: l'Incarnazione stessa di Dio, Dio egli stesso. Infatti, nella cultura ebraica, si sapeva bene che solo Dio è degno di adorazione.

E la preghiera di adorazione del lebbroso è esplicita: "Signore [da notare bene che il lebbroso non chiama Gesù Rabbì, "maestro", ma Adonai, "Signore", titolo riservato soltanto a Dio], se vuoi, puoi purificarmi". Gesù prontamente risponde in qualità di Dio: "Lo voglio: sii purificato". All'umile e santamente rassegnata volontà del lebbroso ("...se vuoi...") risponde l'onnipotente e attiva volontà di Dio.

La Chiesa ha letto nell'evento storico della purificazione del lebbroso anche un significato simbolico e spirituale: il lebbroso rappresenta così l'intero Israele, piagato dal peccato - non solo il peccato originale, ma anche (e forse soprattutto) il peccato della superbia e il peccato dell'invidia, che avevano acceccato gli occhi dei farisei e degli scribi, impedendo loro di adorare Gesù come vero Dio.

Eppure, Israele attendeva di essere sanato da Cristo. Da qui il comando di Gesù al lebbroso di mantenere la riservatezza, di conservare la stessa umiltà che aveva meritato il prodigio - "Guarda di non dirlo ad alcuno" - e di attenersi alla Legge di Mosè: "Va, mostrati ai sacerdoti e offri quanto prescritto da Mosè, affinché serva loro da testimonianza". Il riferimento è a quanto prescritto nell'Antico Testamento, in Levititico 14, 1-32, dove si parla di un complesso rituale di sacrifici di riparazione da offrire al Signore, sacrifici che devono essere necessariamente eseguiti dai sacerdoti nel Tempio.

In questo modo, Gesù vuole due cose. La prima cosa è comunicare l'aspetto sacerdotale della redenzione. E' infatti in virtù del suo essere "sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek" che Cristo offre non più sangue di tortore e agnelli, ma il suo stesso sangue - cioè la sua stessa vita - di essere umano a Dio Padre, e riscatta gli uomini di buona volontà dalla lebbra del peccato originale.

La seconda cosa che Gesù vuole comunicare - stavolta ai sacerdoti, cioè alle massime autorità ebraiche - è la sua identità divina. I sacerdoti, infatti, conoscendo le Scritture, avrebbero dovuto comprendere dalla testimonianza del lebbroso e dall'evidenza della guarigione che Gesù fosse il Messia promesso a Israele e che Gesù avesse natura di Dio. E infatti i Dottori di Israele compresero che Gesù fosse Dio, ma per invidia non vollero riconoscerlo e adorarlo.

Allora ecco che a questo dramma si collega il secondo miracolo, quello del servo paralitico del centurione romano. Se le autorità ebraiche dimostrano di non avere fede nel Dio che si rivelò ai loro padri, d'altro canto coloro che sono pagani e ai quali Dio non diede testamento manifestano una fede più meritoria. "Non ho trovato fede così grande in Israele", risponde infatti Gesù estasiato dopo la professione del romano.

E' questo un punto molto interessante. La fede infatti non è un sentimento, ma una virtù infusa da Dio, non conseguibile con le sole forze umane, che consiste nell'adeguamento dell'intelletto alle verità rivelate da Dio. Ma come poteva un romano accettare verità che ignorava? Egli infatti non conosceva il Dio di Israele nè sapeva che doveva venire il Messia nel mondo. Eppure, Gesù dice di lui addirittura di non aver "trovato fede così grande in Israele".

San Tommaso d'Aquino ci spiega che la virtù della fede può essere di due tipi: implicita ed esplicita. Propriamente parlando, la fede è solo quella esplicita, cioè la virtù di chi sa quali siano le verità rivelate da credere e ci crede. Tuttavia, nella Scrittura incontriamo diverse persone che hanno posseduto una fede implicita, cioé, pur sapendo che c'è un dio, hanno intuito con la forza dell'intelletto alcune verità perfettibili con la rivelazione o hanno creduto nella parola del Signore senza comprenderla a fondo. Così scrive il Doctor Angelicus:

Se furono salvati alcuni, ai quali non fu fatta nessuna rivelazione, essi non furono salvati senza la fede nel Mediatore. Infatti, anche se non ebbero una fede esplicita, ebbero tuttavia una fede implicita nella divina provvidenza, poiché credevano che Dio è il liberatore degli uomini nei modi che a lui piacciono e secondo che egli stesso li abbia rivelati a quelli che [già] conoscevano la verità.

Tommaso d'Aquino, Somma di Teologia II-II, q. 2, a. 7, ad 3.

La fede implicita è una predisposizione dell'uomo, ispirata da Dio, a credere in certe verità imperscrutabili ed essere disposti a crederci a prescindere, qualunque esse siano. Il centurione aveva questo tipo di fede: credeva in Dio, nella sua provvidenza e sapeva che Gesù aveva a che fare con lui.

Quando Cristo si lamenta della poca fede di Israele, si riferisce a quelle autorità sacerdotali cui aveva inviato il lebbroso poco tempo prima, le quali dovrebbero avere una fede esplicita nel Messia, eppure peccano di superbia e invidia. Ed ecco il paradosso: la fede implicita del centurione supera la fede esplicita dei sacerdoti.

Da qui la profezia di Cristo sulla Chiesa cattolica e sulla Nuova alleanza di un nuovo sacerdozio eterno: "molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli", cioé la rivelazione non sarà esclusivo appannaggio di Israele, ma di tutti gli uomini di buona volontà.

Gaetano Masciullo

sabato 14 gennaio 2023

La domanda di Cana: "Cosa c'è tra me e te?"

Purificarci dall'abitudine
II Domenica dopo l'Epifania.
Commento al vangelo proclamato nella forma straordinaria del rito romano.

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 2, 1-11.
In illo témpore: Núptiae factae sunt in Cana Galilaéae: et erat mater Iesu ibi. Vocátus est áutem et Iesus et discípuli eius ad núptias. Et deficiénte vino, dicit mater Iesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Iesus: Quid mihi et tibi est, múlier? nondum venit hora mea. Dicit mater eius minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant áutem ibi lapídeae hydriae sex pósitae secúndum purificatiónem Iudaeórum, capiéntes síngulae metrétas binas vel ternas. Dicit eis Iesus: Impléte hydrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Iesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut áutem gustávit architriclínus aquam vinum factam, et non sciébat unde esset, minístri áutem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est: tu áutem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Iesus in Cana Galilaéae: et manifestávit glóriam suam et credidérunt in eum discípuli eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11.
In quel tempo, vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e lì vi era la madre di Gesù. E alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù rispose: "Che c'è tra me e te, o donna? La mia ora non è ancora venuta". Disse sua madre ai domestici: "Fate tutto quello che egli vi dirà". Ebbene, vi erano lì sei giare di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù disse loro: "Riempite d’acqua le giare". E le riempirono fino all’orlo. Gesù disse: "Adesso attingete e portate al maestro di tavola". E portarono. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapeva donde l’avessero attinta, ma i domestici lo sapevano; chiamato lo sposo gli disse: "Tutti servono da principio il vino migliore e danno il meno buono quando sono brilli, ma tu hai conservato il vino migliore fino ad ora". Così Gesù, in Cana di Galilea, dette inizio ai miracoli e manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

L'episodio del miracolo alle nozze di Cana è il primo "segno" divino che Gesù compie nella sua vita pubblica ed è narrato dal solo evangelista Giovanni. Questo episodio è davvero ricco di spunti di riflessione e di meditazione. Ne vedremo alcuni.

Se confrontiamo questo segno con i miracoli che Gesù compirà in altre occasioni (si pensi alle innumerevoli guarigioni), forse la trasformazione dell'acqua in vino potrà apparirci qualcosa di ridicolo, quasi da prestigiatore. Per la mentalità biblica, tuttavia, il vino e l'acqua sono due simboli molto importanti, tanto che entrambi sono stati conservati nella liturgia eucaristica.

L'acqua, infatti, rappresenta l'umanità: essa è sinonimo di vita e di purezza, ma in antichità essa poteva divenire anche un pericolosissimo veicolo di malattie infettive. L'ambivalenza dell'acqua tra la vita e la morte rispecchiava dunque bene agli occhi dell'antico popolo di Israele (e non solo) la condizione dell'essere umano: santo e peccatore.

Al contrario, il vino era considerato la bevanda della gioia, ma anche un alimento dotato di capacità farmaceutiche, tanto che san Paolo arriva a consigliare l'amico Timoteo, in una sua lettera, di bere vino per curare i problemi di stomaco: "Smetti di bere soltanto acqua, ma fa' uso di un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni" (1Timoteo 5, 23).

Storicamente, infatti, si ritiene che tutti gli alcolici siano nati per finalità mediche, e solo successivamente siano stati relegati a bevande di piacere, visto che l'alcol risultava essere un ottimo anestetico naturale, ma anche una valida difesa dal rigore invernale. Il vino, pertanto, rappresenta la divinità.

Il segno di Cana, pertanto, è un insegnamento che Gesù fa ai discepoli e alla Chiesa, non tramite le parole, ma attraverso i gesti e i simboli, che colpiscono spesso la mente dell'uomo molto più che i concetti e le frasi.

Le giare ripiene di acqua che Gesù tramuta in vino rappresentano i singoli uomini, accomunati dalla stessa natura (quella umana), che può essere però redenta e trasformata in Dio solo dal tocco e dalla volontà di Gesù Cristo, inviato dal Padre appositamente per la nostra redenzione.

C'è un ultimo elemento, molto importante e spesso sottaciuto, di questo episodio: il ruolo della madre di Gesù, Maria. Leggiamo infatti che è Maria a chiedere a Cristo di compiere il segno per gli sposi. Ma la risposta di Gesù potrebbe risultarci spiazzante: "Che c'è tra me e te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". A livello etimologico, la domanda di Gesù significa letteralmente: "Cosa importa di questa cosa a me o a te?".

E per questo infatti Gesù aggiunge alla domanda: "Non è ancora giunta la mia ora", come a dire: dal momento che non è pronto il momento per manifestarmi al mondo come redentore, cioè sulla Croce, non è neanche il momento di santificare l'uomo.

La domanda di Gesù è ancora più stupefacente quando leggiamo la reazione di Maria. Piuttosto che tacere o controbattere, lei procede come se avesse ricevuto una risposta affermativa da parte di Gesù alla richiesta di aiuto e, rivolgendosi ai servi, dice loro: "Fate quello che vi dirà".

Il ruolo di Maria in questo episodio sottolinea l'importanza dell'intercessione della preghiera dei santi nel nostro rapporto con Dio. E in particolare, l'intercessione proprio di Maria, l'unica donna concepita senza il peccato originale e la creatura con i meriti più grandi dinanzi agli occhi di Dio. Senza la preghiera di Maria, probabilmente gli sposi quel giorno sarebbero rimasti senza vino (e - fuor di metafora - l'umanità sarebbe rimasta senza la grazia).

La domanda di Gesù assume anche un altro significato, di cui ci parla sant'Agostino. La domanda di Gesù è infatti così parafrasata dal Dottore di Ippona: "La parte che in me sta per fare il miracolo non è quella che hai generato tu, ma quella che è stata generata dallo Spirito Santo". La domanda sarebbe dunque da interpretare alla lettera. Cosa c'è tra Maria e Gesù? La risposta è la seguente: la natura umana, ma una natura perfettamente umana, esente dal peccato originale, ed è in virtù di questo grande merito che la natura divina di Cristo redime l'acqua infetta della natura umana.

Gaetano Masciullo

sabato 7 gennaio 2023

La Santa Famiglia di Nazareth

Prima Domenica dopo l'Epifania.
Secondo la forma stroardinaria del rito romano,
oggi si festeggia la Santa Famiglia.

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 2, 42-52.
Cum factus esset Iesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Ierosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Iesus in Ierúsalem, et non cognovérunt paréntes eius. Exstimántes áutem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Ierúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos, et interrogántem eos. Stupébant áutem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis eius. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit mater eius ad illum: Fíli, quid fecísti nobis sic? Ecce pater tuus, et ego doléntes quaerebámus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quaerebátis? Nesciebátis quia in his, quae Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et mater eius conservábat ómnia verba haec in corde suo. Et Iesus proficiébat sapiéntia, et aetáte, et grátia, apud Deum, et hómines.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 2, 42-52.
Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che, dopo tre giorni, lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori e li ascoltava e li interrogava e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco che tuo padre e io, addolorati, ti cercavamo". Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio?". Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth e stava soggetto a essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e agli uomini.

In occasione della festa della Santa Famiglia di Nazareth, la Chiesa ci invita a meditare quello che la Tradizione cattolica definisce il "quinto mistero della gioia", secondo la dicitura utilizzata nella recita del rosario. Possiamo immaginare l'ansia che invase gli animi di Giuseppe e Maria, quando si accorsero di aver perso il figlioletto Gesù, appena dodicenne, tra la confusione della carovana che da Gerusalemme riportava l'intera famiglia di Cristo verso casa a Nazareth. I genitori di Cristo si accorsero dell'avvenuto smarrimento dopo "una giornata di cammino", il che significa - considerando la distanza tra Gerusalemme e Nazareth - che la carovana era quasi giunta a destinazione.

La ricerca dei genitori di Gesù durò ben tre giorni. Il rimando biblico va di necessità ai tre giorni di Cristo nel sepolcro, prima della sua Resurrezione: segno che tutti i misteri della storia salvifica ruotano intorno al mistero centrale, quello della Croce. E come Gesù, durante i tre giorni di smarrimento, predicava ai Dottori, cioè al popolo di Israele e alla nascente Chiesa, per introdurli alla Nuova Alleanza definitiva tra Dio e l'uomo, così, durante i tre giorni nel sepolcro, andò a predicare negli inferi, per annunciare quella stessa Redenzione e riscattare dalle tenebre i giusti che non poterono accedere in Paradiso a causa del peccato originale.

L'evangelista Luca sottolinea, alla fine di questo episodio, che Gesù cresceva "in sapienza, in età e in grazia". La Chiesa ci indica così quale deve essere il supremo fine dell'educazione e dell'istruzione parentale. I genitori infatti ricevono da Dio la sublime vocazione a coltivare la prole secondo questi tre assi.

Sapienza. Con questo termine, la Scrittura indica il complesso di tutte le virtù naturali, acquisibili con le sole forze dell'uomo: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Un padre e una madre degni di questo nome non possono esimersi dall'avviare una educazione moralmente solida per i propri figli.

Età. Con questo termine, la Scrittura denota la cura da parte dei genitori di tutta la dimensione psicofisica del figlio, cioè tutte le esigenze legate alla corporeità. Gesù infatti, pur essendo Dio, non volle esimersi dal vivere una vita perfettamente umana, per indicarci un modello, inclusa la crescita.

Grazia. Con questo termine, la Scrittura denota il rapporto tra Dio e la persona umana. I genitori devono avere fortemente a cuore che i propri figli crescano nella grazia di Dio e soprattutto conoscano come si rimane in grazia di Dio, che rimane in definitiva il tesoro più grande e l'eredità più prospera che un padre e una madre possano lasciare alla propria prole.

Gaetano Masciullo

giovedì 5 gennaio 2023

La manifestazione di Gesù Bambino ai Magi

I SANTI MAGI AL PRESEPIO
6 Gennaio.
Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo.

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 2, 1-12.
Cum natus esset Iésus in Béthlehem Iuda, in diébus Heródis regis, ecce Magi ab Oriénte venérunt Ierosólymam, dicéntes: Ubi est qui natus est rex Iudaeórum? Vídimus enim stellam eius in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Áudiens áutem Heródes rex, turbátus est, et omnis Ierosólyma cum illo. Et cóngregans omnes príncipes sacerdótum, et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nascerétur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Iudae: Sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Iuda, nequáquam mínima es in princípibus Iuda: ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israël. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellae, quae appáruit eis: et míttens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens, staret supra, ubi erat puer. Vidéntes áutem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt púerum cum Maria matre eius et procidéntes adoravérunt eum. Et apértis thesáuris suis obtulérunt ei múnera, áurum, thus, et myrrham. Et respónso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem per áliam viam revérsi sunt in regiónem suam.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 2, 1-12.
Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, chiedendo: "Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo". Sentite tali cose, il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: "A Betlemme di Giuda, perché cosí è stato scritto dal Profeta: 'E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i principi di Giuda, poiché da te uscirà il condottiero che reggerà il mio popolo, Israele'". Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: "Andate e cercate diligentemente il bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo". Quelli, udito il re, partirono. Ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono. E, aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.

La parola greca Epifania significa "manifestazione". Nel corso di queste festività natalizie, abbiamo visto come il neonato bambino Gesù dovette manifestare la propria natura messianica ad alcune persone particolari, che avrebbero così rappresentato l'intera umanità.

Abbiamo visto che si manifestò ai pastori, simbolo di Israele e della Chiesa, e poi ai due profeti nel Tempio, simbolo dei santi. Rimane dunque, come ultima manifestazione, quella ai Magi, che rappresentano simbolicamente tutto il mondo. Gesù infatti era certamente il Messia promesso al popolo di Israele, ma la sua missione redentrice è stata destinata a tutti gli uomini di buona volontà.

Questa promessa è dunque raffigurata in questa visitazione dei Magi, i quali appunto non erano appartenenti al popolo dei giudei. Essi erano infatti sacerdoti di una religione orientale, oggi estinta, ma che è stata per molti e lunghi secoli la seconda grande religione monoteista (dopo l'ebraismo e prima dell'avvento del cristianesimo e dell'islam). Questa religione prende il nome di mazdeismo (o impropriamente anche zoroastrismo, dal nome del loro principale profeta e rifondatore, Zarathustra, vissuto tra il IX e il VIII secolo a.C.).

La religione mazdeista credeva nell'esistenza di un solo Dio, chiamato in persiano Ahura-Mazda, e in una guerra millenaria contro gli angeli caduti capeggiati da Ahriman, il "signore delle tenebre". La cosa singolare è che il mazdeismo professava anche l'attesa in un Messia, il Saoshyant, parola che curiosamente significa "salvatore", proprio come il nome ebraico di Gesù.

Questo spiega perché i vangeli ci parlano di questi individui - i Magi appunto - che partirono da Oriente, cioè dall'Impero dei Sasanidi, verso la Giudea. Per qualche ragione, sembra dunque che i Magi aspettassero la venuta del Messia. Di più: il vangelo secondo Matteo ci dice anche che i Magi erano ben consapevoli della natura intima di Gesù Cristo e del fatto che egli doveva nascere in Giudea.

Infatti, una volta arrivati a Betlemme dietro indicazione di Erode, i Magi donano alla famiglia di Gesù tre risorse molto preziose (all'epoca, infatti, l'incenso e la mirra avevano un valore pari all'oro), che recano con sè una simbologia ben precisa.

L'oro raffigura la condizione regale di Cristo. Gesù Cristo è il "re dei Giudei": questo è il titolo che gli stessi Magi, pur non essendo ebrei, attribuiscono al Signore durante l'incontro con Erode. L'incenso raffigura la natura divina di Cristo. Tutti i popoli antichi erano soliti bruciare l'incenso nei templi per prestare culto alla propria (o alle proprie) divinità. I Magi sapevano - non sappiamo dire se per rivelazione privata o se per qualche intervento nella loro religione - che quel bambino non era un semplice uomo.

Infine, la mirra raffigura la natura umana e mortale di Cristo. Gli antichi popoli erano soliti ungere con questa resina vegetale i corpi dei defunti prima di seppellirli (o bruciarli). Molto probabilmente, questa mirra fu effettivamente conservata fino alla sepoltura di Gesù Cristo. Ancora una volta, dunque, la manifestazione di Cristo sottolinea il fine ultimo dell'Incarnazione: la Redenzione universale e il riscatto del genere umano dal peccato originale sul legno della croce.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...