sabato 30 marzo 2024

Cristo, Gioia immortale


Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 1-7.

In illo témpore: María Magdaléne, et María Iacóbi, et Salóme, emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Iesum. Et valde mane una sabbatórum, véniunt ad monuméntum, orto iam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt iúvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Iesum quaéritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis eius, et Petro, quia praecédit vos in Galilaéam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 1-7.

In quel tempo, Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomè comperarono degli aromi per andare ad ungere Gesù. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, arrivarono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicevano tra loro: "Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro?" E guardando, videro che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto sul lato destro, rivestito di candida veste, e rimasero sbalordite. Egli disse loro: "Non vi spaventate, voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avevano posto. Ma andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse".

La luce dell'alba di Pasqua risplende con una gioia senza pari. Il sepolcro vuoto di Gesù diventa il simbolo trionfante della vittoria sulla morte, trascendendo ogni dimensione: spirituale, morale e fisica. La risurrezione del Signore è un evento tangibile, ma il suo spirito è altrove, non più confinato in un luogo di morte.

Il Signore, il Dio della vita, si mostra dove c'è vita, e opera con sollecitudine, anticipando i suoi apostoli in Galilea. Questa immagine riporta alla mente la colonna di fuoco che guidava gli Israeliti, immagine della Chiesa, attraverso il deserto, come segno della presenza divina che li proteggeva e guidava. Per i credenti, Gesù è come la colonna di fuoco, illuminando e proteggendo con il suo Spirito coloro che vivono nella sua grazia. 

L'annuncio dell'angelo alle donne non è solo di gioia, ma di una chiamata urgente. È significativo che l'angelo metta in evidenza Pietro, riconoscendo il suo ruolo primario, sfatando così (ancora una volta) l'idea che il primato petrino non abbia basi bibliche. In questo passo, Dio invita la Chiesa a rialzarsi e ad annunciare con fervore che il peccato è stato sconfitto e che una nuova vita attende l'umanità nel nome di Gesù Cristo.

Questa premura angelica richiama alla mente l'antica premura della Pasqua: ritroviamo questo richiamo nell'Esodo, dove l'angelo del Signore, nella notte in cui Dio compie la sua giustizia sugli dèi dell'Egitto e fa strage dei primogeniti egiziani, ordina a Israele, tramite il profeta Mosè, di celebrare quella notte di liberazione. Tuttavia, è un comando strano per una festa: di solito le feste sono occasioni di gioia e svago. Invece, gli ebrei sono esortati da Dio a consumare la Pasqua "in fretta", persino a mangiare l'agnello "in piedi, con la cinta ai fianchi, il bastone in mano".

Questa premura viene ripresa nell'evento della nuova Pasqua, come raccontato nei vangeli: "andate", è il repentino ordine. Non c'è tempo per esitare o per esaminare la situazione. È necessario raggiungere Cristo in Galilea, simbolo dell'incontro tra Israele e le genti, tra il vecchio e il nuovo testamento, tra l'antica e la nuova alleanza che Dio intende instaurare: "Galilea delle genti".

Perché questa fretta, ci si chiede? Non è fretta, ma sollecitudine. La risposta è chiara: Dio chiama l'uomo alla salvezza oggi stesso. Spesso il mondo, soprattutto il mondo moderno con le sue illusioni, tentazioni e seduzioni, ci invita a rimandare il pensiero di Dio. "La vita è breve", si dice, "goditi il momento presente, un domani penserai alla morte e alle cose tristi!". Davvero? La morte è una realtà amara e inevitabile, un destino che tutti affrontiamo. È solo riflettendo sulla nostra fine e sul nostro destino finale che possiamo dare un senso alla nostra vita. Partendo dalla contemplazione della morte (un tempo era indicata come uno dei Novissimi dalla Chiesa), possiamo trovare vera gioia, pace e una prospettiva che va oltre la morte biologica. Oltre alla morte corporea, dobbiamo temere la "seconda morte" dell'inferno. Come recita il Credo, nostro Signore è sceso agli inferi e ha predicato il vangelo alle anime che là aspettavano la redenzione. Anche se ha liberato molte anime, la giustizia ha i suoi limiti. 

In questa Pasqua, cerchiamo di accogliere rapidamente la grazia di Cristo e di annunciarla con zelo al mondo, poiché Egli ha vinto la morte e il peccato.

Gaetano Masciullo

sabato 23 marzo 2024

Cristo è Re e Sacerdote di tutta la terra


Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 21, 1-9.

In illo témpore: Cum appropinquásset Iesus Ierosólymis, et venísset Béthphage ad montem Olivéti: tunc misit duos discípulos suos, dícens eis: Ite in castéllum, quod contra vos est, et statim inveniétis ásinam alligátam, et pullum cum ea: sólvite, et addúcite mihi: et si quis vobis áliquid díxerit, dícite, quia Dóminus his opus habet, et conféstim dimíttet eos. Hoc áutem totum factum est, ut adimplerétur quod dictum est per Prophétam, dicéntem: Dícite fíliae Sion: Ecce Rex tuus venit tibi mansuétus, sédens super ásinam et pullum, fílium subiugális. Eúntes áutem discípuli, fecérunt sicut praecépit illi Iesus. Et adduxérunt ásinam et pullum: et imposuérunt super eos vestiménta sua, et eum désuper sedére fecérunt. Plúrima áutem turba stravérunt vestiménta sua in via: álii áutem caedébant ramos de arbóribus, et sternébant in via: turbae áutem, quae praecedébant, et quae sequebántur, clamábant, dicéntes: Hosánna fílio David: benedíctus qui venit in nómine Dómini.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 21, 1-9.

In quel tempo, essendosi Gesù avvicinato a Gerusalemme e essendo arrivato a Betfage presso il Monte degli Ulivi, inviò subito due suoi discepoli, dicendo loro: "Andate nel villaggio soprelevato che è di fronte a voi e troverete subito un'asina legata e un puledro insieme a essa: scioglieteli e portatemeli e, se qualcuno vi dirà qualcosa, dite che il Signore ha bisogno di essi e subito li lascerà". Infatti tutto questo accadde perché si adempisse ciò che era stato detto attraverso il Profeta, che dice: "Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo Re viene mansueto, che siede sopra un'asina e sopra il suo puledro da soma". Andati quindi i discepoli, fecero come Gesù aveva ordinato loro. E condussero l'asina e il puledro e posero sopra di essi i suoi vestiti e lo fecero sedere sopra quello [il puledro]. Infatti una grande folla stese le proprie vesti sulla via, altri invece tagliavano i rami dagli alberi e li gettavano sulla via, la folla invece che lo precedeva e che lo seguida acclamava dicendo: "Osanna al figlio di Davide: benedetto colui che viene nel nome del Signore".

Dopo tre anni trascorsi qui sulla terra, finalmente Gesù sta per adempiere al suo scopo. Egli è entrato nel mondo per affrontare la dolorosa Passione, necessaria per espiare il peccato antico. Dio, diventando Uomo, ha scelto di pagare un debito infinito che l'umanità, da sola, non avrebbe mai potuto pagare.

Dio è coerente con se stesso. Ha stabilito le fondamenta dell'universo sulla giustizia. Il primo angelo ha perso la grazia di Dio senza alcuna tentazione esterna, quindi la sua condizione infernale è irrevocabile. L'uomo ha perso la grazia a causa della tentazione e dell'inganno del diavolo. Era giusto che da un altro essere - Gesù in quanto Dio - arrivasse il consiglio per mantenere la grazia. Allo stesso modo, era giusto che da un essere umano - Gesù in quanto Uomo - arrivasse l'espiazione e la giustificazione per il peccato che ha afflitto tutta l'umanità. Ecco spiegato il motivo per cui Gesù è vero Dio e vero Uomo, non solo Dio e non solo Uomo. L'Incarnazione è proporzionata alla colpa da cancellare, il peccato originale.

Inevitabilmente, considerando che una coppia di esseri umani - Adamo ed Eva - aveva commesso un peccato mortale che coinvolgeva tutti, solo un altro individuo con la stessa natura (ossia un altro uomo) poteva espiarne la colpa. Tuttavia, nessun uomo è in grado di espiare un peccato infinito, nemmeno se consideriamo l’intera umanità che ha vissuto dall’alba dei tempi fino a oggi e oltre: gli uomini non possono offrire la propria vita come pagamento per la Grazia perduta, che è infinita. Ciò è bene dimostrato dal sacrificio di Isacco, che Dio ferma all'ultimo momento.

Era necessario che Dio - l’unico capace di meriti infiniti - si abbassasse fino a prendere le fattezze della specie colpevole, ossia l’umanità, e ripristinasse la giustizia nell’universo per amore della sua creazione. In questo modo, la grande missione terrena di Gesù Cristo viene sintetizzata! Tuttavia, prima di fare il suo ingresso finale a Gerusalemme, in qualità di sacerdote e vittima allo stesso tempo, ecco che la volontà imperscrutabile di Dio volle ancora una volta manifestare la regalità di Gesù Cristo, sfidando l’odio e l’invidia delle autorità ebraiche. Mentre i farisei tramavano per uccidere Gesù, il popolo si riuniva per riconoscere Gesù come il Cristo, l'Unto di Israele, e lo acclamava di conseguenza come re.

Nel vangelo secondo Matteo, leggiamo che Gesù si stava dirigendo da Betania, la città di Lazzaro, verso Gerusalemme, passando per Betfage, un villaggio che il vangelo descrive come un paesello sopraelevato. Secondo quanto riportato da san Remigio nel suo commento su questo passo evangelico e poi da san Bernardo di Chiaravalle all'interno di quel bellissimo viaggio mistico della Terra Santa riportato nella sua Lode della Nuova Cavalleria, Betfage - il cui nome significa "casa della bocca" - era un paese abitato principalmente da sacerdoti, probabilmente appartenenti alla tribù di Levi. La Legge mosaica proibiva agli ebrei di compiere più di mille passi nel giorno di sabato, quindi i sacerdoti che si recavano a Gerusalemme per officiare i riti prescritti spesso pernottavano in questo piccolo villaggio.

L’evangelista ci racconta che Gesù inviò due discepoli a prendere un’asina e un puledro, prevedendo che alcune persone, presumibilmente i proprietari degli animali, potrebbero opporsi. Tuttavia, quando i due discepoli riferirono l’ordine di Gesù - “Il Signore ne ha bisogno” - nessuno protestò. I Padri della Chiesa interpretarono questa pronta obbedienza da parte di perfetti sconosciuti come un segno della sottomissione di tutta l’umanità alla volontà di Gesù Cristo, il quale è Signore anche di coloro che non lo conoscono e persino di coloro che sono sotto il potere del Maligno. È interessante notare che Matteo è l’unico evangelista che menziona l’asina, oltre al suo puledro, su cui Gesù avrebbe poi cavalcato. Gli altri evangelisti (Marco, Luca e Giovanni) non fanno riferimento all’asina in questo contesto (cfr. Marco 11,1-8; Luca 19,29-35; Giovanni 12,14-15).

Questo evento è avvolto nel mistero e può essere compreso solo attraverso l’interpretazione della Chiesa. La distanza tra Betfage e Gerusalemme è così breve che non richiedeva l’uso di una cavalcatura. Il puledro simboleggia tutti i popoli pagani che non avevano ancora conosciuto Dio, mentre l’asina rappresenta Israele. È per questo motivo che solo Matteo menziona l’asina: il suo vangelo era principalmente rivolto agli ebrei convertiti al cristianesimo.

È interessante notare che Cristo non sale sull’asina, ma sul puledro, proclamando che la sua missione redentrice non è limitata a Israele. Anche se solo ai Giudei fu profetizzata la sua venuta nel mondo, il puledro è figlio dell’asina, proprio come il Nuovo Testamento deriva dall’Antico Testamento ed è il suo compimento e perfezione. Inoltre, Gesù invia due apostoli a prelevare entrambi gli animali, poiché la predicazione del Vangelo e la fede in Cristo sono essenziali per la salvezza di tutti, non solo dei pagani, ma anche degli ebrei.

I discepoli trovano l’asina e il puledro legati, simboleggiando che tutta l’umanità prima di Cristo era schiava del diavolo a causa del peccato originale. La parola “vizio” deriva dal latino “victus”, che significa “legato”, e i vizi rendono gli uomini simili alle bestie, privi di ragione. Cristo ordina ai due discepoli di sciogliere gli animali, poiché è attraverso la Chiesa che Dio comanda di liberare tutti gli uomini dai vincoli della carne, del mondo e del diavolo. Infine, Gesù aggiunge: “e portatemeli”, poiché la gloria di Dio è la felicità della vita umana. Quante volte il mondo ostacola la Chiesa nel compito di diffondere il Vangelo e di salvare le anime attraverso i Sacramenti? Quante volte la Chiesa si sente intimidita dai poteri terreni? Tuttavia, Cristo invita la Chiesa a perseverare nell’annuncio evangelico nonostante le avversità.

“Osanna!” - esclamava la folla festante a Gerusalemme - “Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!” (Giovanni 12, 13). In questo momento si stava realizzando la profezia dell’Antico Testamento: “Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina” (Zaccaria 9,9). La parola ebraica “osanna” significa “salva!” ed è un ulteriore riferimento alla missione redentrice di Cristo, oltre che al nome stesso di Gesù, che significa proprio "Dio salva".

Iniziamo la Settimana Santa, la Settimana di Passione, riconoscendo Gesù Cristo come Re e Signore delle nostre anime, sovrano della Chiesa e del mondo, l’unico in grado di riscattarci dalla triste eredità dei nostri progenitori e l’unico che può aprire per noi le porte del paradiso.

Gaetano Masciullo

sabato 16 marzo 2024

In Cammino verso la Croce

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 8, 46-59.

In illo témpore: Dicébat Iesus turbis Iudaeórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei áudit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Iudaéi, et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et daemónium habes? Respóndit Iesus: Ego daemónium non hábeo: sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego áutem non quaero glóriam meam: est qui quaerat, et iúdicet. Amen, amen dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in aetérnum. Dixérunt ergo Iudaéi: Nunc cognóvimus quia daemónium habes. Abráham mórtuus est, et prophétae: et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in aetérnum. Numquid tu maior es patre nostro Abráham, qui mórtuus est? et prophétae mórtui sunt? Quem teípsum facis? Respóndit Iesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego áutem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum, et sermónem eius servo. Abráham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gávisus est. Dixérunt ergo Iudaéi ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abráham vidísti? Dixit eis Iesus: Amen, amen dico vobis, ántequam Abráham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut iácerent in eum: Iesus áutem abscóndit se, et exívit de templo.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 8, 46-59.

In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: "Chi di voi può accusarmi di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio". Risposero dunque i Giudei e gli dissero: "Non diciamo forse bene che tu sei un samaritano e un posseduto dal demonio?" Gesù rispose: "Non sono posseduto dal demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io invece non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se qualcuno avrà servito la mia parola, non gusterà la morte in eterno". Gli dissero dunque i Giudei: "Ora sappiamo che sei posseduto dal demonio. Abramo è morto e pure i profeti e tu dici: Chi avrà servito la mia parola non gusterà la morte in eterno. Sei forse più grande del nostro padre Abramo, che è morto, o dei profeti, che sono morti? Chi pretendi di essere?" Gesù rispose: "Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla; è il Padre mio che mi glorifica, che voi dite essere vostro Dio, ma non lo conoscete: io invece lo conosco e se dicessi di non conoscerlo sarei simile a voi, un bugiardo. Ma lo conosco e servo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò perché vide il mio giorno: vide e gioì". Gli dissero dunque i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?" Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono". Allora raccolsero delle pietre per scagliarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Nella liturgia odierna, ci avviciniamo al culmine della Quaresima, la Settimana Santa. Oggi inizia la Settimana di Passione, 15 giorni prima della Pasqua. Questo giorno segna un passaggio significativo, poiché ci avvicina al cuore del Mistero della Redenzione: la sofferenza e il sacrificio di Cristo. La Chiesa ci invita a meditare profondamente su questa realtà con segni ben precisi: nelle chiese i crocifissi e le immagini sacre vengono coperte da un velo viola e disadorno, segno di lutto e penitenza. Durante la liturgia, vengono omesse le dossologie, cioé i Gloria Patri, a sottolineare ancora di più questo sentimento di mesta partecipazione alle sofferenze di Cristo, e della Vergine Maria Addolorata.

Oggi, il Vangelo ci presenta l'ennesima teofania di Gesù, cioé una manifestazione della sua natura divina. In questa occasione, Egli la rivela non attraverso miracoli eclatanti, ma mediante una semplice affermazione. Questa rivelazione verbale serve come risposta alle accuse ingiuste, proteggendo la Sua onorabilità come Figlio di Dio.

La provocazione che Gesù pone - "Se dico la verità, perché non mi credete?" - risuona con forza anche nel cuore di noi che ci professiamo discepoli. Quante volte abbiamo messo in dubbio gli insegnamenti della Chiesa, non per mancanza di prove, ma perché sfidano le nostre convinzioni personali, i nostri interessi o, ancor peggio, le nostre passioni indisciplinate che prevalgono sulla volontà e sulla logica?

Nel profondo del cuore umano giace una battaglia tra l'accettazione della divina verità e la ribellione contro di essa. Tale conflitto non è banale: è una lotta che tocca l'essenza stessa della nostra anima, un rifiuto che si erge come uno dei peccati più gravi, un affronto allo Spirito Santo. È la sfida della verità contro l'inganno, come ci insegna il passaggio evangelico.

La pagina di vangelo odierna ci racconta di scribi e farisei, custodi della fede in Israele, che si trovarono di fronte al Messia. La loro conoscenza delle Scritture li aveva indotti a riconoscere Gesù come il Messia promesso, ma il loro cuore indurito dall'invidia li trattenne dall'accettarlo. Non potevano concepire che un semplice carpentiere di Nazareth potesse incarnare una grandezza che superava quella di Mosè e dei profeti, nonostante le prove della sua vita e dei suoi miracoli fossero innegabili. Tutte le profezie erano compiute. O meglio, quasi tutte: la più grande doveva ancora avverarsi.

La fragilità umana, così facilmente corrotta dal peccato e priva della luce della grazia, spesso cede di fronte alle tentazioni. Invocando la libertà, ci incateniamo alle passioni che ci divorano dall'interno, dimenticando che la vera schiavitù nasce nel profondo dell'anima. Tra i nemici che l'uomo deve affrontare, il più insidioso è certamente quello che vive nella sua stessa carne, corrotta dal peccato antico, e solo in secondo luogo vengono in ordine di pericolosità le insidie del Maligno e le seduzioni del mondo. Solo quando domeremo le passioni che ci assediano, potremo liberarci dagli ostacoli che impediscono il nostro pieno sviluppo naturale, morale e spirituale. È allora che saremo pronti a ricevere i doni celesti che ci elevano, i sette doni dello Spirito Santo. "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Giovanni 8,32), ci assicura il Maestro.

Oggi la Chiesa tutta ascolta la dichiarazione di Cristo che risuona attraverso i secoli: "Prima che Abramo fosse, Io Sono". Queste parole non sono un errore di grammatica, ma un'eco dell'eternità, un richiamo al nome eterno di Dio rivelato a Mosè tra le fiamme del roveto. In questo dialogo con i Giudei, Gesù non solo ha affermato la Sua preesistenza rispetto ad Abramo, ma ha rivendicato una realtà ancora più profonda: la Sua identità divina, antecedente alla creazione stessa.

La reazione dei Giudei è stata immediata e violenta. La comprensione del vero significato, celato dietro alle parole di Gesù, scatenò in loro un furore tale da spingerli a cercare di ucciderLo. Per loro, quelle parole non erano solo blasfeme, ma un attacco diretto alla loro interpretazione della fede. Eppure, ogni gesto e miracolo di Gesù fino a quel momento aveva tessuto la trama della Sua missione messianica e divina. In un atto che prefigura la Sua futura scomparsa dal mondo, "Gesù si nascose e uscì dal tempio". Il tempo per il Sacrificio supremo non era ancora maturo, la Redenzione attendeva ancora la sua ora, divinamente stabilita.

Gaetano Masciullo

sabato 9 marzo 2024

Le Consolazioni di Cristo compendiate nell'Eucarestia

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 6, 1-15.

In illo témpore: Ábiit Iesus trans mare Galilaéae, quod est Tiberíadis: et sequebátur eum multitúdo magna, quia vidébant signa, quae faciébat super his, qui infirmabántur. Súbiit ergo in montem Iesus: et ibi sedébat cum discípulis suis. Erat áutem próximum Pascha, dies festus Iudaeórum. Cum sublevásset ergo óculos Iesus, et vidísset quia multitúdo máxima venit ad eum, dixit ad Philíppum: Unde emémus panes, ut mandúcent hi? Hoc áutem dicébat tentans eum: ipse enim sciébat quid esset factúrus. Respóndit ei Philíppus: Ducentórum denariórum panes non suffíciunt eis, ut unusquísque módicum quid accípiat. Dicit ei unus ex discípulis eius, Andréas frater Simónis Petri: Est puer unus hic, qui habet quinque panes hordeáceos, et duos pisces: sed haec quid sunt inter tantos? Dixit ergo Iesus: Fácite hómines discúmbere. Erat áutem foenum multum in loco. Discubuérunt ergo viri, número quasi quinque míllia. Accépit ergo Iesus panes, et cum grátias egísset, distríbuit discumbéntibus: simíliter et ex píscibus quantum volébant. Ut áutem impléti sunt, dixit discípulis suis: Collígite quae superavérunt fragménta, ne péreant. Collegérunt ergo, et implevérunt duódecim cóphinos fragmentórum ex quinque pánibus hordeáceis, quae superfuérunt his, qui manducáverant. Illi ergo hómines cum vidíssent quod Iesus fécerat signum, dicébant: Quia hic est vere Prophéta, qui ventúrus est in mundum. Iesus ergo cum cognovísset, quia ventúri essent ut ráperent eum, et fácerent eum regem, fugit íterum in montem ipse solus.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 6, 1-15.

In quel tempo, Gesù se ne andò aldilà del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che egli faceva su coloro che erano infermi. Gesù salì quindi sopra un monte e qui si sedette con i suoi discepoli. Era infatti prossima la Pasqua, festa dei Giudei. Quando dunque Gesù alzò gli occhi, e avendo visto che una enorme moltitudine veniva da lui disse a Filippo: "Dove compreremo il pane perché questi ne mangino?". Disse infatti ciò per metterlo alla prova: egli infatti sapeva cosa stava per fare. Filippo gli rispose: "Una quantità di pane del valore di duecento danari non è sufficiente per costoro, perché ognuno riceva un piccolo pezzo". Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma cosa è questo per tanta gente?". Ma Gesù disse: "Fate sedere gli uomini". C'era infatti molta erba sul posto. E quegli uomini si misero a sedere ed erano quasi cinquemila. Gesù prese dunque i pani, rese grazie e li distribuì a coloro che si erano seduti, e così fece per i pesci, finché ne vollero. Saziati che furono, disse ai suoi discepoli: "Raccogliete gli avanzi, affinché non vadano a male". Li raccolsero e riempirono dodici canestri di frammenti dei cinque pani di orzo che erano avanzati a coloro che ne avevano mangiato. E questi, quindi, veduto il segno fatto da Gesù, dissero: "Costui è veramente quel profeta che doveva venire nel mondo". Ma Gesù, sapendo che sarebbero venuti a prenderlo con la forza per farlo re, fuggì di nuovo da solo sul monte.

La Quarta Domenica di Quaresima è anche conosciuta come Domenica della Letizia o Domenica in Laetare, perché l'introito liturgico che risuona da secoli recita: Laetáre, Ierúsalem – “Allietati, Gerusalemme.”

Il richiamo a Gerusalemme, città simbolo della vita spirituale, è un invito a gioire. Coloro che amano Gerusalemme sono chiamati a esultare con essa, a condividere la sua consolazione. Questo messaggio proviene dal libro di Isaia (66,10-11), e ci ricorda che anche nei momenti di penitenza e riflessione, la gioia può e anzi deve essere presente.

Finora, il nostro cammino quaresimale ha attraversato diversi temi, in realtà già a partire dalla Domenica di Settuagesima. Li ripercorriamo rapidamente nominandoli: il peccato, il castigo, la conversione, la penitenza, la tentazione, il giudizio, la perseveranza. Il tema di questa Domenica è la consolazione. 

Oggi, la Chiesa ci presenta un altro segno: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Questo episodio evangelico ci ricorda la provvidenza divina, la capacità di Dio di moltiplicare le risorse quando sembrano scarse. Il sacerdote, indossando paramenti rosa, anticipa la resurrezione, mescolando questo colore alla penitenza violacea. È un segno di speranza, un invito alla perseveranza.

La Quaresima volge al termine, e già intravediamo la Settimana di Passione, culmine della missione terrena di Nostro Signore Gesù Cristo. La perseveranza con cui stiamo percorrendo questo cammino non deve essere vista come occasione di afflizione o di durezza, bensì come una fonte di letizia. Il Paradiso non è solo un futuro lontano: inizia già qui, nella nostra vita quotidiana.

Il tema della consolazione divina ci viene presentato nell'episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci. La moltitudine che si raduna attorno a Gesù rappresenta la stessa Chiesa, un insieme di anime assetate di verità e di amore. Questa folla, nella sua fame materiale, simboleggia anche la nostra fame spirituale. Cristo, vedendo questa necessità, si rivolge all’apostolo Filippo con una domanda apparentemente pratica: “Dove compreremo il pane perché questi ne mangino?”.

Filippo, l’apostolo desideroso di conoscenza celeste, non riesce ancora a vedere oltre i segni tangibili. La sua richiesta di vedere il Padre - in un altro passo del vangelo secondo Giovanni - sarà sincera, ma Gesù gli rivelerà che la risposta è già presente in Lui stesso: “Chi ha visto me ha visto il Padre.” Qui emerge la verità che ogni bene, sia materiale che spirituale, proviene dal Padre attraverso Cristo.

Dio, nella sua infinita bontà e sapienza, si rivolge a noi attraverso ciò che possiamo percepire con i sensi. La nostra esperienza corporea è parte integrante della nostra vita spirituale. Ecco perché Dio si è fatto Uomo per rivelarsi a noi. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è un segno tangibile, dunque, della sua Provvidenza e della sua grazia.

In questo tempo di Quaresima, ricordiamoci che meritare i beni da Dio non è solo una questione di giustizia, ma anche di apertura del nostro cuore a Dio. La nostra fame di grazia può essere saziata in particolare attraverso l’Eucarestia, il massimo dei Sacramenti, che Cristo ci ha lasciato come sua eredità. Così come i pani e i pesci si moltiplicarono per sfamare la folla, così anche la grazia di Dio si riversa su di noi, nutrendoci e guidandoci verso la vita eterna. 

La giustizia, intesa come dare a ciascuno ciò che merita, e la misericordia, che invece dona ciò di cui ciascuno ha bisogno, sembrano due attributi opposti. Tuttavia, in Dio, queste due qualità convergono. Egli non può essere giusto senza misericordia, né misericordioso agendo ingiustamente. L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci ci offre una prospettiva su questa apparente tensione. Gesù, vedendo la folla affamata, riconosce il loro bisogno sia materiale che spirituale. Qui risiede la misericordia divina: la capacità di vedere oltre l’apparenza e rispondere alle necessità più profonde.

Tuttavia, Gesù sa anche che il cibo deve essere procurato in qualche modo. La sua domanda a Filippo, “Dove compreremo il pane?”, rivela la giustizia implicita alla misericordia. La Provvidenza divina non annulla la necessità di agire con giustizia. Dio opera attraverso mezzi tangibili, come il cibo che sfama la folla. Allora il digiuno quaresimale, unito alla Passione di Cristo, diventa il prezzo per ottenere i beni celesti. L’Eucarestia, il sommo “ringraziamento” sacramentale, sintetizza tutto ciò. In essa, siamo grati a Dio per ogni bene ottenuto in questa vita. La giustizia e la misericordia si intrecciano, e noi, come credenti, siamo chiamati a vivere in questa tensione, riconoscendo che il nostro destino eterno è già avviato. 

Gaetano Masciullo

sabato 2 marzo 2024

La Perseveranza: virtù fondamentale della Quaresima

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 11, 14-28.

In illo témpore: Erat Iesus eiíciens daemónium, et illud erat mutum. Et cum eiecísset daemónium, locútus est mutus et admirátae sunt turbae. Quídam áutem ex eis dixérunt: in Beélzebub príncipe daemoniórum éiicit daemónia. Et álii tentántes, signum de coélo quaerébant ab eo. Ipse áutem ut vidit cogitatiónes eórum, díxit eis: Omne regnum in seípsum divísum desolábitur, et domus supra domum cadet. Si áutem et sátanas in seípsum divísus est, quómodo stabit regnum eius? Quia dícitis in Beélzebub me eiícere daemónia. Si áutem ego in Beélzebub eiício daemónia, fílii vestri in quo eiíciunt? Ideo ipsi iúdices vestri érunt. Porro si in dígito Dei eiício daemónia: profécto pervénit in vos regnum Dei. Cum fortis armátus custódit átrium suum, in pace sunt ea, quae póssidet. Si áutem fórtior eo supervéniens vícerit eum, univérsa arma eius áuferet, in quibus confidébat, et spólia eius distríbuet. Qui non est mecum, contra me est; et qui non cólligit mecum, dispérgit. Cum immúndus spíritus exíerit de hómine, ámbulat per loca inaquósa, quaérens réquiem, et non invéniens, dicit: Revértar in domum meam unde exívi. Et cum vénerit, ínvenit eam scopis mundátam, et ornátam. Tunc vadit, et assúmit semptem álios spíritus secum nequióres se, et ingréssi hábitant ibi. Et fiunt novíssima hóminis illíus peióra prióribus. Factum est áutem, cum haec díceret, extóllens vocem quaédam múlier de turba, dixit illi: Beátus venter, qui te portávit, et úbera, quae suxísti. At ille dixit: Quinímmo beáti qui áudiunt verbum Dei, et custódiunt illud.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 11, 14-28.

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio ed esso era muto. E non appena cacciò il demonio, il muto parlò e le folle ne rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: "Egli caccia i demoni in virtù di Belzebù, il principe dei demoni". Altri poi, per tentarlo, gli chiedevano un segno dal cielo. Ma egli, avendo scorto i loro pensieri, disse loro: "Qualunque regno diviso in se stesso cadrà in rovina, e una casa cadrà sull’altra. Se anche Satana è diviso in se stesso, come sussisterà il suo regno? Perché voi dite che io scaccio i demoni in virtù di Belzebù. Se io scaccio i demoni in virtù di Belzebù, in virtù di chi li scacciano i vostri figli? Per questo, saranno essi i vostri giudici. Se io con il dito di Dio scaccio i demoni, allora è venuto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte e armato custodisce il proprio atrio, allora è al sicuro tutto ciò che egli possiede. Ma se un altro più forte di lui lo sovrasta e lo vince, porta via tutte le armi in cui egli riponeva la sua fiducia e ne spartisce le spoglie. Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde. Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, vaga per luoghi privi di acqua, cercando riposo, e, non trovandolo, dice: 'Ritornerò nella mia casa, da dove sono uscito'. E, giungendo, la trova spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed entrano ad abitarvi e la fine di quell’uomo è peggiore di prima". Ora avvenne che, mentre diceva queste cose, una donna alzò la voce tra la folla e gli disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno che hai succhiato!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono".

Il tema della Liturgia tradizionale della III Domenica di Quaresima è la perseveranza, virtù fondamentale per intraprendere il cammino di perfezionamento cristiano. La perseveranza (o costanza) è l'abitudine a conservare la grazia nel corso della propria vita. L'umiltà e la perseveranza sono come due montanti di quella "porta stretta" che conduce al Cielo. 

La pagina del vangelo odierna ci mostra che cos'è la perseveranza. Essa parte da un fenomeno di guarigione spirituale, di liberazione, compiuta da Gesù su un pover'uomo che era posseduto da uno spirito impuro che lo rendeva muto, anzi - come dice il termine originale greco, cophos - sordo e muto. Il diavolo, infatti, con il peccato mortale, rende l'uomo incapace di ascoltare la Parola di Dio (fides ex auditu, dirà san Paolo), di predicarla al fratello e di metterla in pratica. 

L'insinuazione dei suoi avversari, molto probabilmente farisei, diviene occasione per il Signore di insegnare qualcosa di molto importante. I farisei accusano Gesù di scacciare i demoni con l'autorità ricevuta dal principe dei demoni, ma Gesù obietta dicendo che il regno di satana è diviso in se stesso ed è destinato a crollare. Gli ebrei cacciavano i demoni nel nome di Dio: perché dunque Gesù è accusato di cacciarli in nome di satana? Due cause opposte non possono avere uno stesso effetto. Il regno di satana non è uno in se stesso, ma è condannato alla divisione e alla precarietà, anche se - dalla nostra prospettiva - può sembrare saldo e forte. Il regno di satana è fragile, perché la vera unità si fonda sulla verità, ma la verità è una persona, Gesù Cristo. 

Ecco dunque che il Signore racconta una parabola che bene ci aiuta a comprendere in cosa consiste la virtù della perseveranza. Ogni uomo è simile al guardiano di un palazzo, incaricato di custodirlo con le debite armi. Il palazzo è immagine dell'anima. Si noti bene che il Signore non dice che l'uomo è sovrano, ma guardiano del palazzo: così ognuno di noi non è il sovrano della propria anima, ma soltanto il guardiano, perché il sovrano è Dio. Le debite armi per difendere il palazzo dell'anima sono le quattro virtù cardinali: temperanza, prudenza, giustizia e fortezza. Ecco però che giunge il nemico dell'anima umana, il diavolo, che muove guerra contro di noi. Se è più forte di noi, ecco che siamo destinati a soccombere nella battaglia. Cosa rende il diavolo più o meno forte di noi? La risposta è semplice: la grazia di Dio. Diceva san Giovanni Bosco: "Non dobbiamo temere di avere tutto il mondo contro di noi, perché se siamo soli con Dio, siamo la maggioranza".

Il diavolo è più forte di noi se noi non siamo in grazia di Dio, mentre è più debole se siamo nella sua grazia. Ecco che il diavolo vince con la sua tentazione, facendoci cadere nel peccato, e distrugge le nostre armi - cioé le nostre virtù, e ci incatena nei vizi - e ci spoglia dei nostri averi, cioé cancella i meriti che fino a quel momento avevamo raccolto agli occhi di Dio. Ecco perché il Signore soggiunge: "chi non è con me, è contro di me". Si badi bene che Gesù sta dicendo che basta non essere con lui, basta essere indifferenti al suo amore, per essere già contro Dio. O con Dio o con satana: non c'è una terza opzione. "Chi non raccoglie con me, disperde": cioé chi non compie opere buone in grazia di Dio, compie opere inutili, perché non hanno merito agli occhi del Padre.

Poiché il Signore vuole insegnarci che cosa sia la perseveranza, e poiché la perseveranza non consiste nel vincere le tentazioni del diavolo una volta sola, ma continuamente, ecco che la parabola continua. Se il diavolo è più debole di noi, perché siamo in grazia, egli si allontana e vaga nelle regioni deserte e prive di acqua, cioé lontane dalla grazia. Ma qui si vede l'arroganza di satana: egli ritiene di essere il proprietario delle anime, e perciò le chiama "casa mia". Noi invece sappiamo che l'uomo non è casa di satana, ma "tempio dello Spirito Santo". Se non perseveriamo nella grazia di Dio, il diavolo torna con una forza maggiore, con tentazioni più forti - ovviamente tutto con il permesso divino - e se l'uomo soccombe, perché ha ritenuto di poter vincere senza Dio, ecco che la fine dell'uomo è peggiore della condizione in cui era caduto la prima volta. 

La pagina del vangelo di oggi finisce con una bellissima nota mariana. Una donna loda ad alta voce la donna che ha portato nel grembo Gesù e che lo ha allattato. La risposta del Signore, che a prima vista può sembrare dura verso la propria madre, in realtà ne è una lode: Maria non è beata perché semplicemente ha portato alla luce Gesù, il Figlio di Dio, ma perché ha saputo ascoltare la voce di Dio, custodirla e metterla in pratica. Vediamo dunque che la pagina del vangelo si conclude con un rimando all'esorcismo iniziale. Il diavolo con il peccato rende l'uomo sordo alla parola di Dio, mentre la Madonna ci insegna ad ascoltarla, a custodirla, ed essere davvero beati, cioé felici.

Gaetano Masciullo

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