sabato 16 marzo 2024

In Cammino verso la Croce

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 8, 46-59.

In illo témpore: Dicébat Iesus turbis Iudaeórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei áudit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Iudaéi, et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et daemónium habes? Respóndit Iesus: Ego daemónium non hábeo: sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego áutem non quaero glóriam meam: est qui quaerat, et iúdicet. Amen, amen dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in aetérnum. Dixérunt ergo Iudaéi: Nunc cognóvimus quia daemónium habes. Abráham mórtuus est, et prophétae: et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in aetérnum. Numquid tu maior es patre nostro Abráham, qui mórtuus est? et prophétae mórtui sunt? Quem teípsum facis? Respóndit Iesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego áutem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum, et sermónem eius servo. Abráham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gávisus est. Dixérunt ergo Iudaéi ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abráham vidísti? Dixit eis Iesus: Amen, amen dico vobis, ántequam Abráham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut iácerent in eum: Iesus áutem abscóndit se, et exívit de templo.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 8, 46-59.

In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: "Chi di voi può accusarmi di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio". Risposero dunque i Giudei e gli dissero: "Non diciamo forse bene che tu sei un samaritano e un posseduto dal demonio?" Gesù rispose: "Non sono posseduto dal demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io invece non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se qualcuno avrà servito la mia parola, non gusterà la morte in eterno". Gli dissero dunque i Giudei: "Ora sappiamo che sei posseduto dal demonio. Abramo è morto e pure i profeti e tu dici: Chi avrà servito la mia parola non gusterà la morte in eterno. Sei forse più grande del nostro padre Abramo, che è morto, o dei profeti, che sono morti? Chi pretendi di essere?" Gesù rispose: "Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla; è il Padre mio che mi glorifica, che voi dite essere vostro Dio, ma non lo conoscete: io invece lo conosco e se dicessi di non conoscerlo sarei simile a voi, un bugiardo. Ma lo conosco e servo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò perché vide il mio giorno: vide e gioì". Gli dissero dunque i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?" Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono". Allora raccolsero delle pietre per scagliarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Nella liturgia odierna, ci avviciniamo al culmine della Quaresima, la Settimana Santa. Oggi inizia la Settimana di Passione, 15 giorni prima della Pasqua. Questo giorno segna un passaggio significativo, poiché ci avvicina al cuore del Mistero della Redenzione: la sofferenza e il sacrificio di Cristo. La Chiesa ci invita a meditare profondamente su questa realtà con segni ben precisi: nelle chiese i crocifissi e le immagini sacre vengono coperte da un velo viola e disadorno, segno di lutto e penitenza. Durante la liturgia, vengono omesse le dossologie, cioé i Gloria Patri, a sottolineare ancora di più questo sentimento di mesta partecipazione alle sofferenze di Cristo, e della Vergine Maria Addolorata.

Oggi, il Vangelo ci presenta l'ennesima teofania di Gesù, cioé una manifestazione della sua natura divina. In questa occasione, Egli la rivela non attraverso miracoli eclatanti, ma mediante una semplice affermazione. Questa rivelazione verbale serve come risposta alle accuse ingiuste, proteggendo la Sua onorabilità come Figlio di Dio.

La provocazione che Gesù pone - "Se dico la verità, perché non mi credete?" - risuona con forza anche nel cuore di noi che ci professiamo discepoli. Quante volte abbiamo messo in dubbio gli insegnamenti della Chiesa, non per mancanza di prove, ma perché sfidano le nostre convinzioni personali, i nostri interessi o, ancor peggio, le nostre passioni indisciplinate che prevalgono sulla volontà e sulla logica?

Nel profondo del cuore umano giace una battaglia tra l'accettazione della divina verità e la ribellione contro di essa. Tale conflitto non è banale: è una lotta che tocca l'essenza stessa della nostra anima, un rifiuto che si erge come uno dei peccati più gravi, un affronto allo Spirito Santo. È la sfida della verità contro l'inganno, come ci insegna il passaggio evangelico.

La pagina di vangelo odierna ci racconta di scribi e farisei, custodi della fede in Israele, che si trovarono di fronte al Messia. La loro conoscenza delle Scritture li aveva indotti a riconoscere Gesù come il Messia promesso, ma il loro cuore indurito dall'invidia li trattenne dall'accettarlo. Non potevano concepire che un semplice carpentiere di Nazareth potesse incarnare una grandezza che superava quella di Mosè e dei profeti, nonostante le prove della sua vita e dei suoi miracoli fossero innegabili. Tutte le profezie erano compiute. O meglio, quasi tutte: la più grande doveva ancora avverarsi.

La fragilità umana, così facilmente corrotta dal peccato e priva della luce della grazia, spesso cede di fronte alle tentazioni. Invocando la libertà, ci incateniamo alle passioni che ci divorano dall'interno, dimenticando che la vera schiavitù nasce nel profondo dell'anima. Tra i nemici che l'uomo deve affrontare, il più insidioso è certamente quello che vive nella sua stessa carne, corrotta dal peccato antico, e solo in secondo luogo vengono in ordine di pericolosità le insidie del Maligno e le seduzioni del mondo. Solo quando domeremo le passioni che ci assediano, potremo liberarci dagli ostacoli che impediscono il nostro pieno sviluppo naturale, morale e spirituale. È allora che saremo pronti a ricevere i doni celesti che ci elevano, i sette doni dello Spirito Santo. "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Giovanni 8,32), ci assicura il Maestro.

Oggi la Chiesa tutta ascolta la dichiarazione di Cristo che risuona attraverso i secoli: "Prima che Abramo fosse, Io Sono". Queste parole non sono un errore di grammatica, ma un'eco dell'eternità, un richiamo al nome eterno di Dio rivelato a Mosè tra le fiamme del roveto. In questo dialogo con i Giudei, Gesù non solo ha affermato la Sua preesistenza rispetto ad Abramo, ma ha rivendicato una realtà ancora più profonda: la Sua identità divina, antecedente alla creazione stessa.

La reazione dei Giudei è stata immediata e violenta. La comprensione del vero significato, celato dietro alle parole di Gesù, scatenò in loro un furore tale da spingerli a cercare di ucciderLo. Per loro, quelle parole non erano solo blasfeme, ma un attacco diretto alla loro interpretazione della fede. Eppure, ogni gesto e miracolo di Gesù fino a quel momento aveva tessuto la trama della Sua missione messianica e divina. In un atto che prefigura la Sua futura scomparsa dal mondo, "Gesù si nascose e uscì dal tempio". Il tempo per il Sacrificio supremo non era ancora maturo, la Redenzione attendeva ancora la sua ora, divinamente stabilita.

Gaetano Masciullo

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