sabato 24 giugno 2023

La Chiesa è segno visibile di salvezza nel mondo


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 5,1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Iesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adiuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Iesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Iacóbum et Ioánnem, fílios Zebedǽi, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Iesus: Noli timére: ex hoc iam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 5,1-11

In quel tempo, affollàtesi le turbe attorno a Gesù per udire la parola di Dio, Egli si teneva sulla riva del lago di Genezareth. E vide due barche tirate a riva, poiché i pescatori erano discesi e lavavano le reti. Salendo in una barca, che era di Simone, lo pregò di allontanarlo un poco dalla spiaggia; e sedendo insegnava alle folle dalla piccola imbarcazione. Quando finì di parlare, disse a Simone: "Va al largo e getta le reti per la pesca". E, rispondendogli, Simone disse: "Maestro, per tutta la notte abbiamo lavorato senza prendere niente. Tuttavia, sulla tua parola, getterò la rete". E fattolo, presero una così grande quantità di pesci che le reti si rompevano. E allora fecero segno ai compagni che erano nell’altra barca, affinché venissero ad aiutarli. Ed essi vennero e riempirono le due barche al punto che stavano per affondare. Visto questo, Simon Pietro si gettò ai piedi di Gesù, dicendo: "Allontanati da me, o Signore, poiché sono un peccatore". Lo spavento infatti si era impadronito di lui e di quelli che erano con lui a causa della pesca: ed erano sbigottiti anche Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: "Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini". E avendo tirato a terra le barche, lasciata ogni cosa, lo seguirono.

L'episodio di vangelo proclamato quest'oggi - IV Domenica dopo Pentecoste - non è il semplice resoconto dell'evangelista Luca di un evento prodigioso quale la pesca miracolosa, tra l'altro una delle due pesche miracolose descritte dai vangeli: l'altra avverrà dopo la Resurrezione, e mentre questa è descritta dal solo Luca, quella è descritta dal solo Giovanni.

L'episodio della pesca miracolosa in Luca, si diceva, è invece un concentrato di riferimenti simbolici, che l'evangelista ha bene saputo coniugare insieme alla descrizione del fatto prodigioso. Fin dall'inizio, infatti, non è casuale l'incontro di Gesù sulle sponde del lago di Genezareth con due barche tirate a riva e con i pescatori che sono intenti nel lavare e nel riparare le reti (cfr. Matteo 4, 21). Le due barche rappresentano l'Antico e il Nuovo Testamento, ma anche Israele e il resto del mondo pagano, mentre i pescatori a riva rappresentano gli uomini che sono chiamati a una conversione, a una purificazione dell'anima, a una sua "riparazione", per prepararla all'avvento del Regno di Dio in Cristo: "Purìficati, lavati le mani; monda il cuore da ogni peccato" (Siracide 38, 10).

Gesù però sale su una sola di queste due navi, quella di Pietro, cioè sulla barca del Nuovo Testamento, che allo stesso tempo è anche la barca di Israele, perché la Rivelazione che Dio ha consegnato a Israele è necessaria per preparare l'uomo alla pienezza della verità: "la salvezza viene dai giudei" (Giovanni 4, 22). Questa nave allora diventa simbolo di qualcosa di più grande e di più universale: la Chiesa cattolica. Non è un caso infatti che la nave diverrà uno dei simboli più diffusi per indicare la stessa Chiesa. Con l'avvento di Cristo, gli uomini di buona volontà sono chiamati ad unire le proprie forze nella stessa barca, proprio come fa san Pietro in questo episodio evangelico, dove leggiamo che lui e i suoi soci "fecero segno ai compagni che erano nell’altra barca, affinché venissero ad aiutarli". L'unità della Chiesa è necessaria perché Cristo in se stesso è uno. Senza il carisma dell'unità, le reti "si rompono" sotto il peso dei troppi pesci, cioè la Chiesa non può essere più segno visibile di grazia e salvezza per il mondo, ma una istituzione tra tante, destinata a fallire come tutte le opere umane.

Notiamo poi un'altra dinamica interessante in questo episodio di vangelo. Cristo dapprima insegna alle folle, salendo sulla barca di san Pietro e ponendosi a poca distanza dalle coste, e solo dopo dice al futuro principe degli apostoli: "Prendi il largo!". Il distanziarsi con la barca dalla terra simboleggia la necessità di santificarsi, cioè di morire alla mentalità del mondo (sanctus vuol dire proprio questo: "separato"): solo nella Chiesa possiamo essere santi. L'atto di sedersi rappresenta l'autorità di insegnare alle genti: solo la Chiesa ha l'autorità docente nel mondo, autorità ricevuta da Cristo stesso. 

Prendere il largo significa partire dalla stabilità della Rivelazione per andare incontro all'instabilità del mondo (le acque dei mari e dei laghi nella Scrittura solitamente rappresentano sempre la mentalità mondana, di coloro che non conoscono Dio), e questo non per rimanere nel mondo, non per affogare, così come il pescatore non va in mezzo al mare per rimanerci, ma per pescare e ritornare a riva. La pesca abbondante rappresenta quegli uomini dei quali san Pietro e gli altri apostoli, con i vescovi loro successori, saranno chiamati a diventare "veri pescatori".

Gaetano Masciullo

sabato 10 giugno 2023

L'Eucarestia: l'unico cibo e farmaco di immortalità

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 6, 56-59.

In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudaeórum: Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem, et bibit meum sánguinem, in me manet, et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui mandúcat hunc panem, vivet in aetérnum.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 6, 56-59.

In quel tempo, Gesù disse alle turbe dei giudei: "La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come è vivente il Padre che mi ha mandato, e io vivo a causa del Padre, anche chi mangia di me vivrà a causa mia. Questo è il pane che discende dal Cielo. Non come i vostri padri che mangiarono la manna e sono morti. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

Nella maestosa solennità del Corpus Domini - "Corpo del Signore" - la Chiesa proclama questo breve ma intenso passaggio del vangelo secondo Giovanni, l'evangelista che più degli altri si sofferma sulla natura divina di Gesù. È particolare osservare come san Giovanni non abbia inserito nel proprio vangelo, a differenza di quanto fanno gli altri evangelisti, i tre cosiddetti sinottici, il racconto dell'istituzione dell'Eucarestia.

Questa assenza ha sempre suscitato negli avversari della Chiesa cattolica, protestanti in primis, ma non solo, l'impressione, anzi la certezza, di trovarsi di fronte alla prova che l'Eucarestia e in particolare il dogma della transustanziazione sia un'invenzione dei preti cattolici, forse un retaggio d'età pagana, entrato a forza nel Cristianesimo. Questa percezione è però sbagliata, e colpisce constatare come i protestanti, che tanto hanno a cuore lo studio della Parola di Dio, non riescano ad avere una visione d'insieme dei vari testi che la compongono.

In effetti, Giovanni evangelista, pur non descrivendo l'istituzione dell'Eucarestia, tuttavia dedica diverse pagine agli altri avvenimenti dell'Ultima Cena (lavanda dei piedi, i grandi discorsi, ecc.), ma quello che è più importante, l'intero vangelo ricorda a tratti un grande inno eucaristico, che trova nei versetti proclamati quest'oggi il proprio apice. 

Le parole usate da Gesù non sono casuali. Egli dice: il mio corpo è veramente cibo. L'avverbio "veramente", trascritto da san Giovanni è pleonastico, cioè facoltativo, perché sarebbe bastato scrivere: "il mio corpo è cibo". Eppure, san Giovanni ha voluto rafforzare il concetto, per contrastare tutte quelle tendenze eretiche che già al tempo dell'apostolo iniziavano a serpeggiare nella Chiesa e che iniziavano a mettere in dubbio non solo la natura divina del Cristo, ma tutti i doni di grazia che Egli ha elargito alla sua Chiesa. Nel dire che il corpo di Gesù è veramente cibo, san Giovanni vuole insegnarci che il corpo di Cristo si comunica a noi sotto forma di cibo, come il cibo vero, e che non è una semplice metafora.

Si consideri, per esempio, che nello stesso vangelo di san Giovanni, in un altro passaggio, leggiamo le seguenti parole di Gesù: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Giovanni 10, 9). Non è scritto: Io sono veramente la porta, ma semplicemente: Io sono la porta. Nella mentalità di uno scrittore antico, la scelta delle parole da utilizzare non è casuale. In quest'ultimo caso, lo stesso evangelista ci sta suggerendo che l'immagine della porta si predica di Cristo in maniera allegorica, ma non così avviene per il cibo riguardo alla carne del Signore e la bevanda riguardo al suo sangue.

Poi il Signore aggiunge: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, e io in lui. Ecco dunque condensato in questo versetto il fine del Sacramento dell'Eucarestia: esso ci conserva nella grazia, cioè nel rapporto intimo e privilegiato che Dio vuole avere con tutti noi credenti. Per conservare qualcosa, però, bisogna prima averla: non si può conservare ciò che non si ha. L'Eucarestia infatti non dona la grazia a chi non ce l'ha, ma nutre coloro che già ce l'hanno.

Per questo la Chiesa, in questa solennità, canta durante la liturgia la Sequenza scritta dal grande san Tommaso d'Aquino, e dice: Lo assumono i buoni e i cattivi: ma con diversa sorte di vita e di morte. Per i cattivi è morte, per i buoni vita: oh che diverso esito ha una stessa assunzione. Questo insegnamento solenne della Chiesa fa eco a quanto già san Paolo insegna: "chi mangi il pane o beva il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Esamini ognuno se stesso, e così mangi di quel pane e beva di quel calice; poiché chi mangia e beve indegnamente, se non riconosce il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. Per questo vi son tra voi molti deboli e privi d'ogni forza, e tanti giacciono" (1Corinzi 11, 27-30). E come se non bastasse, ricordiamo anche l'insegnamento del Catechismo (leggiamo quello nuovo, se non vogliamo leggere quello di san Pio X): "È conforme al significato stesso dell'Eucaristia che i fedeli, se hanno le disposizioni richieste, si comunichino quando partecipano alla Messa" (CCC 1388), dove le disposizioni richieste dal Codice del diritto canonico sono le seguenti: "Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l'opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima" (CJC 916).

Se dobbiamo fare un'analogia per capire meglio perché è peccato grave comunicarsi in stato di peccato mortale (insegnamento incredibilmente snobbato oggi dai pulpiti), si pensi al caso di un bambino che ancora non è stato svezzato. Il cibo solido in se stesso è molto nutriente, ma quale madre scellerata darebbe al bambino non ancora svezzato un cibo solido dicendo: "glielo ho dato perché è nutriente"? Tale è la condizione dell'anima di colui che non è in grazia di Dio. L'anima deve prima maturare e crescere, prima di potersi accostare degnamente a questo cibo di vita eterna.

Gaetano Masciullo

sabato 3 giugno 2023

La Trinità, relazione di Amore


Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum, 28, 18-20.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quecúmque mandávi vobis. Et ecce ego vobíscum sum ómnibus diébus, usque ad consummatiónem saéculi.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo, 28, 18-20.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Mi è dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli.

San Tommaso d'Aquino insegnava che il migliore modo per concepire la Trinità fosse quello di pensarla come una concatenazione di tre anelli, piuttosto che come un triangolo, come solitamente si tende a fare. Questo perché tra le tre persone trinitarie c'è un rapporto di generazione tra le prime due (Padre - Figlio) e di processione dalle prime due alla terza (Spirito Santo). Nel triangolo, invece, sembra non essere chiaro che lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio: per questo motivo, gli scismatici orientali - che credono che lo Spirito Santo proceda dal solo Padre - tendono a usare il triangolo come simbolo trinitario.

Questi argomenti possono sembrare finezze teologiche, sottigliezze che in realtà non riguardano da vicino la Fede dei semplici cristiani. Eppure, la questione è ben più complessa. Se infatti la Chiesa ha per esempio ritenuto opportuno inserire la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio all'interno della professione di Fede che recitiamo ogni Domenica, vuol dire che tutti i cristiani sono tenuti a credere e a comprendere questo dogma di Fede.

Dio è infatti il modello di tutto ciò che esiste: ecco perché, rivelandosi a Mosè nel roveto ardente, egli disse che il proprio nome era "Io sono colui che sono"; come a dire: tutte le cose che esistono nel creato, incluso l'uomo, con le loro differenze e le loro molteplicità, tutte le perfezioni che nella natura assumono limiti e diversità, in Dio sono tutte concentrate come in un punto, come in un seme. Tutte le cose che esistono sono fatte a immagine di Dio: solo l'uomo però è stato fatto anche a sua somiglianza, cioè in nome della libertà e della grazia, egli diviene simile a Dio: alter Christus. E tutte le cose che esistono non sono tuttavia necessarie, ma contingenti: solo Dio è necessario, solo Dio può dire davvero "Io sono".

Questa è la semplicità di Dio, cioè l'assenza in lui di molteplicità, di parti, di differenze. Eppure, allo stesso tempo, la Chiesa insegna - sulle orme di Cristo che ce lo ha rivelato - che Dio è uno solo, ma al contempo trino. Ecco la difficoltà per il nostro cervello di concepire correttamente la Trinità: tutto ciò che è trino nel mondo sensibile non può essere uno. Se vedo tre uomini, so anche che sono tre cose diverse - in teologia si direbbe: tre sostanze. Se vedo tre stelle, tre cani, tre case... vale lo stesso ragionamento.

Quando però considero le tre Persone della Trinità, devo credere che siano una sola cosa, una sola sostanza. Come posso accettare questo apparente paradosso? Nel risolvere il Mistero (ammesso che all'uomo sia concesso farlo finché vive in questa valle di lacrime), non dobbiamo fare l'errore di concepire la Trinità in maniera eretica, e quindi sicuramente falsa: non dobbiamo immaginare per esempio le Persone trinitarie come tre modalità di essere dello stesso Dio. Questo è un errore molto ricorrente.

Per esempio, un uomo può essere allo stesso tempo marito, padre e operaio. Quando interagisce con la moglie, lo fa in qualità di marito; quando interagisce con i figli, lo fa in qualità di padre; quando interagisce con i colleghi, lo fa in qualità di operaio. Così si potrebbe pensare che Dio quando crea è Padre, quando salva è Figlio, quando santifica è Spirito Santo. Ma questo modo di pensare Dio è sbagliato: infatti noi sappiamo che Dio crea, redime, santifica e glorifica in perfetta unità, così che sia il Padre sia il Figlio sia lo Spirito Santo, in quanto formano un solo Dio, crea, redime, santifica e glorifica.

Ecco la soluzione, allora: le tre Persone trinitarie sono tre relazioni sussistenti. Non si spaventi il lettore leggendo questa espressione. Nell'esempio dell'uomo che abbiamo fatto prima, tutti gli attributi che abbiamo detto sono relazioni, cioè sono realtà che qualificano l'individuo non in relazione con se stesso, ma in relazione con qualcosa di esterno (come possono fare le qualità e le quantità: se dico che Marco è grosso, lo sto descrivendo secondo quantità, ma la quantità riguarda lui solo). Non è possibile in questo mondo sensibile trovare relazioni sussistenti, cioè che non siano "applicate" a qualche individuo. 

In Dio, invece, proprio perché privo di materia e privo di parti, le sue relazioni sono sussistenti e, nell'esserlo, egli rimane essere semplicissimo. Questo ci fa capire però che Dio non è solo in se stesso, perché una relazione presuppone sempre un altro. Ora Dio è altro a se stesso, e così facendo davvero possiamo dire che nulla manca in Dio: neanche la relazione con il prossimo. Non c'è forse modo migliore per capire il senso con cui diciamo che Dio è Amore: l'Amore infatti è la più nobile delle relazioni che possiamo intraprendere con chi ci è intorno.

Gaetano Masciullo

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20. In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit in...