sabato 18 gennaio 2025

Maria come mediatrice: perché il primo miracolo di Gesù passa da sua madre


Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 2, 1-11.

In illo témpore: Núptiae factae sunt in Cana Galilaéae: et erat mater Iesu ibi. Vocátus est áutem et Iesus et discípuli eius ad núptias. Et deficiénte vino, dicit mater Iesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Iesus: Quid mihi et tibi est, múlier? nondum venit hora mea. Dicit mater eius minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant áutem ibi lapídeae hydriae sex pósitae secúndum purificatiónem Iudaeórum, capiéntes síngulae metrétas binas vel ternas. Dicit eis Iesus: Impléte hydrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Iesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut áutem gustávit architriclínus aquam vinum factam, et non sciébat unde esset, minístri áutem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est: tu áutem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Iesus in Cana Galilaéae: et manifestávit glóriam suam et credidérunt in eum discípuli eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11.

In quel tempo, vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e la madre di Gesù si trovava lì. Alle nozze fu invitato, dunque, anche Gesù e i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli dice: "Non hanno vino". E Gesù le dice: "Che cosa c'è tra me e te, donna? La mia ora non è ancora arrivata". Dice sua madre ai servi: "Qualunque cosa vi avrà detto, fatela". Ora, c'erano in quel luogo sei giare di pietra, poste a servizio della purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù dice loro: "Riempite le giare di acqua". E le riempirono fino all’orlo. E Gesù dice loro: "Ora attingete e portate al maestro di tavola". E ne portarono. Quando il maestro di tavola assaggiò l'acqua diventata vino, non sapeva da dove venisse, ma i servi che avevano attinto l'acqua lo sapevano. Il maestro di tavola chiama lo sposo e gli dice: "Chiunque serve prima il vino buono, e quando sono inebriati, allora serve quello peggiore; ma tu, al contrario, hai conservato il vino buono fino ad ora". Gesù fece questo primo segno in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.

Il racconto delle nozze di Cana, riportato da san Giovanni apostolo ed evangelista, ci introduce al primo segno pubblico di Gesù, un termine che Giovanni sceglie accuratamente.  Nel contesto giovanneo, il termine segno assume una valenza teologica precisa, indicante un evento che non solo rivela l'identità di Gesù, ma invita i testimoni a una risposta. Non è un semplice miracolo, ma un segno, ossia un atto che rimanda a una realtà più alta e nascosta: la natura divina di Cristo. Siamo di fronte all'ennesima epifania del Signore. L’evangelista sottolinea, infatti, che questo segno servì a manifestare la gloria di Gesù, ma la gloria è un attributo proprio di Dio, che indica la sua maestà e regalità. San Tommaso d’Aquino definisce la gloria come l’evidenza della maestà divina. Magnificare Dio, rendere maggiore la gloria di Dio, significa concretamente evangelizzare: far conoscere al mondo che Dio esiste, provvede e salva. L'aumento della gloria di Dio è quindi un obiettivo supremo per noi cristiani: più uomini conoscono Dio, più la sua gloria risplende sulla terra.

Questo primo segno avviene in un contesto altamente simbolico, quello delle nozze. Nel linguaggio biblico, il matrimonio è l'immagine dell’unione mistica tra Dio e l’umanità. La Chiesa stessa è descritta come la Sposa di Cristo, e l’Eucaristia ne è il banchetto nuziale quotidiano. Quale luogo migliore per il primo segno pubblico di Gesù? Il nome del villaggio, Cana, che significa "acquisto", ci offre un ulteriore spunto di riflessione: l’umanità, decaduta a causa del peccato originale, non può riacquistare la grazia perduta. Solo Cristo, attraverso il sacrificio della croce, può compiere questo riscatto e ridonare la grazia divina.

Un elemento cruciale è, in questa pagina di vangelo, l’intercessione di Maria. Durante il banchetto, il vino finisce — simbolo biblico della grazia divina, che dà gioia e rende vivo il rapporto di amicizia tra Dio e l’uomo. Senza la grazia, l’uomo cade in uno stato di mera creaturalità, perde la "somiglianza di Dio", diviene incapace di elevarsi al di sopra della sua condizione materiale. Maria, attenta osservatrice dei bisogni umani, si accorge della mancanza di vino, cioé dell'assenza della grazia divina nell'umanità, della quale lei invece è ricolma, come rivelò l'Angelo al momento dell'Incarnazione. 

Con cuore materno, ella intercede presso suo Figlio. In questo modo, l'evangelista sottolinea il ruolo unico e prezioso di Maria come mediatrice tra l’umanità e Cristo. Maria non agisce per imporre, ma per indicare con dolce fermezza la necessità di un intervento divino, prefigurando così la sua continua intercessione nella storia della salvezza, nella storia della Chiesa. Qui emerge il ruolo unico di Maria nell’economia della salvezza: certo non è lei la fonte della grazia, che proviene esclusivamente da Cristo, ma è la mediatrice che supplica e intercede per l’umanità. 

La risposta di Gesù, "Cosa c'è tra me e te, donna?", è spesso fraintesa. Non è una risposta sgarbata, ma un invito che Gesù rivolge a Maria per riflettere, per meditare sul suo ruolo. Come già avvenuto in altri passaggi dei vangeli, Maria è chiamata continuamente a crescere e meditare sul proprio ruolo nella Chiesa. Il termie donna rimanda direttamente alla profezia contenuta in Genesi 3,15, dove Dio annuncia che la donna e la sua discendenza schiacceranno la testa del serpente. In questo modo, Gesù rivela a Maria che ella ha un ruolo privilegiato come corredentrice, un ruolo subordinato a quello di Cristo, ma essenziale nel piano salvifico.

Significativa è anche l’obbedienza di Maria, che comprende, sa bene che la risposta di Gesù non è da intendere in senso sgarbato, e infatti invita i servi a "fare tutto ciò che Egli vi dirà". Questo gesto sottolinea la fede incrollabile di Maria e la sua scienza infusa soprannaturalmente. Se la risposta di Cristo fosse da intendere in senso burbero, come intendono i protestanti per sminuire il ruolo di Maria, allora Gesù si sarebbe coerentemente voltato dall'altra parte. Avrebbe risposto a Maria: "Fatti i fatti tuoi". Maria, invece, non intende così la risposta di Gesù, cioé come un riprovero, anzi prontamente dice ai servi: "Fate ciò che vi dirà". Anche l’affermazione di Gesù, "La mia ora non è ancora venuta", è cruciale: l’ora si riferisce al momento della sua Passione, quando offrirà se stesso come sacrificio redentore. Il miracolo di Cana, dunque, rimanda ancora una volta al sacrificio della croce e alla restaurazione della grazia.

Due altri elementi molto simbolici sono i servi e le sei giare di pietra. I servi rappresentano i ministri di Dio, in particolare i sacerdoti, chiamati a obbedire e cooperare alla distribuzione della grazia divina. Le giare, usate per la purificazione rituale, richiamano il rito prescritto dalla Legge mosaica, che prevedeva l’uso di acqua per la purificazione dei peccati e l’accesso alla comunione con Dio (cfr. Esodo 30,17-21; Levitico 14). Simboleggiano il passaggio dalla Legge antica alla Legge nuova: dalla purificazione esteriore del corpo alla purificazione interiore dell'intelletto e della volontà, resa possibile dal sangue di Cristo. Il vino — qui da intendere dunque anche in senso eucaristico — diventa il segno della nuova alleanza, dove la grazia non è solo restituita, ma abbondantemente riversata sull'uomo. Le giare sono non a caso di pietra, simbolo biblico della fortezza e della stabilità, un elemento che richiama in maniera diretta la Chiesa, fondata sulla roccia di Pietro e sulla verità immutabile di Cristo.

Le giare, inoltre, sono in numero di sei, che biblicamente è il numero imperfetto che rappresenta l’umanità ferita dal peccato. Il gesto di riempirle d’acqua fino all’orlo simboleggia la grazia che coinvolge, assorbe l'intera natura dell'uomo. 

Quando il maestro di tavola, che non conosce la provenienza del vino, lo assaggia e lo trova migliore del primo, vediamo un’immagine di Israele, il popolo eletto, che nel corso della sua storia non comprende pienamente l’origine della salvezza, ma ne riconosce la bontà. Elogiando lo sposo, il maestro di tavola inconsapevolmente rende grazie a Cristo, il vero sposo dell’umanità redenta, della Chiesa.

Infine, la frase finale del maestro di tavola contiene un insegnamento fondamentale: Dio agisce in modo opposto rispetto al mondo. Nella vita pratica, questo si traduce nella necessità per ciascuno di noi di accogliere con fede e pazienza le difficoltà, riconoscendo che spesso esse sono strumenti divini per maturare spiritualmente, purificarci dai nostri peccati, e avvicinarci così a Dio. Dove il mondo cerca di evitare la sofferenza a ogni costo, la logica divina trasforma le croci quotidiane in opportunità di grazia e di gioia eterna. Se il mondo offre prima il piacere e poi la desolazione, Dio permette inizialmente la sofferenza e la croce, ma dona infine la vera gioia che non tramonta. Il segno di Cana, quindi, non è solo una manifestazione della divinità di Cristo, ma un richiamo alla logica del Vangelo: dalla croce alla gloria, dalla mancanza alla pienezza. Giovanni conclude dicendo che i discepoli credettero in lui: questo è l’obiettivo di ogni segno, condurre alla fede e alla conoscenza della gloria di Dio.

Gaetano Masciullo

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