giovedì 14 aprile 2022

Cinque piaghe, cinque medicine per la nostra vita

"Il Calvario" del Veronese
Parte della Sequenza della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (cfr. Gv 18,1-40; 19,1-42):

Tunc ergo trádidit eis illum, ut crucifigerétur. Suscepérunt autem Iesum et eduxérunt. Et báiulans sibi Crucem, exívit in eum, qui dícitur Calváriæ, locum, hebráice autem Gólgotha: ubi crucifixérunt eum, et cum eo álios duos, hinc et hinc, médium autem Iesum. Scripsit autem et títulum Pilátus: et pósuit super crucem. Erat autem scriptum: Iesus Nazarénus, Rex Iudæórum. Hunc ergo títulum multi Iudæórum legérunt, quia prope civitátem erat locus, ubi crucifíxus est Iesus. Et erat scriptum hebráice, græce et latíne. Dicébant ergo Piláto pontífices Iudæórum: "Noli scríbere Rex Iudæórum, sed quia ipse dixit: Rex sum Iudæórum". Respóndit Pilátus: "Quod scripsi, scripsi". Mílites ergo cum crucifixíssent eum, accepérunt vestiménta eius (et fecérunt quátuor partes: unicuíque míliti partem), et túnicam. Erat autem túnica inconsútilis, désuper contéxta per totum. Dixérunt ergo ad ínvicem: "Non scindámus eam, sed sortiámur de illa, cuius sit". Ut Scriptúra implerétur, dicens: "Partíti sunt vestiménta mea sibi: et in vestem meam misérunt sortem". Et mílites quidem hæc fecérunt. Stabant autem iuxta Crucem Iesu Mater eius et soror Matris eius, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Iesus Matrem et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: "Múlier, ecce fílius tuus". Deínde dicit discípulo: "Ecce mater tua". Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua. Póstea sciens Iesus, quia ómnia consummáta sunt, ut consummarétur Scriptúra, dixit: "Sítio". Vas ergo erat pósitum acéto plenum. Illi autem spóngiam plenam acéto, hyssópo circumponéntes, obtulérunt ori eius. Cum ergo accepísset Iesus acétum, dixit: "Consummátum est". Et inclináte cápite trádidit spíritum. Iudæi ergo (quóniam Parascéve erat), ut non remanérent in cruce córpora sábbato (erat enim magnus dies ille sábbati), rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Iesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum iam mórtuum, non fregérunt eius crura, sed unus mílitum láncea latus eius apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi dunque presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei”. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: “Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il Re dei Giudei”. Rispose Pilato: “Ciò che ho scritto, ho scritto”. I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: "Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca". Così si adempiva la Scrittura: "Si sono divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte". E i soldati fecero proprio così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Durante tutto il Medioevo, si diffuse una devozione molto densa dal punto di vista teologico, negli ultimi tempi andata purtroppo perduta, ma che andrebbe riscoperta per comprendere in maniera più profonda il grande mistero divino della Redenzione opera da Nostro Signore Gesù Cristo sul legno della croce.

L'accesso all'albero della vita in Eden fu proibito all'uomo in seguito al peccato originale. Adesso, in Cristo viene a noi ridonato: la croce è il vero albero della vita e Cristo è il vero frutto della vita, che ci è dato di gustare e godere ogni giorno nell'Eucarestia.

La devozione di cui sto parlando è quella alle cinque piaghe di Nostro Signore. Egli fu infatti inchiodato alla croce e dopo morto fu trafitto dalla lancia di san Longino: il corpo di Cristo fu quindi piagato cinque volte: due volte nelle mani, due volte nei piedi, una volta nel cuore. Questo fatto assume un fortissimo significato mistico per l'anima cristiana. Consideriamo infatti che Cristo morì sulla croce perchè doveva redimerci dal peccato originale e con questo consideriamo anche che cinque furono le ferite che quell'antico peccato ha lasciato nell'anima nostra, tanto da coinvolgerci non solo nello spirito, ma anche nella mente e nella carne.

A partire dagli effetti più spirituali per arrivare a quelli più corporali: prima ferita: la perdita della grazia, con la conseguente impossibilità di conseguire l'accesso alla vita del paradiso; seconda ferita: l'oscurità dell'intelletto, che ci impedisce di comprendere le cose in maniera immediata o prossima all'immediatezza, ma appesantiti dalle passioni siamo più facilmente predisposti a pensare in maniera scorretta; la debolezza della volontà, la quale, dopo aver compreso dall'intelletto cosa è vero e quindi buono da perseguire, subisce l'irruenza delle passioni disordinate, che ci orientano a compiere il male, anche quando sappiamo che è male; la violenza della concupiscenza, cioè tutte le passioni e in particolare i desideri, che obbedendo alle esigenze della carne, rovesciano il giusto governo dell'anima sul corpo, così che non sono più l'intelletto e la volontà a comandare da re e da regina sulle nostre facoltà, ma subiscono il comando delle passioni; la caducità della carne, cioè la predisposizione ad ammalarsi, invecchiare e a sperimentare la morte (mentre sappiamo dal dogma dell'Assunzione di Maria che l'uomo senza peccato originale era destinato a transitare in Cielo tramite la dormizione).

Gesù Cristo è venuto a sanare come un farmaco queste cinque piaghe che tutti gli uomini hanno contratto da Adamo in avanti. E non è casuale che le piaghe sono state subite nelle due mani, nei due piedi e nel costato: infatti le mani rappresentano le opere e i piedi la sensualità (come abbiamo visto nel commento al Giovedì Santo). Il cuore invece rappresenta la carità, cioè la grazia di Dio.

E allora ecco che le cinque piaghe di Gesù Cristo corrispondono a cinque virtù che dobbiamo chiedere al Signore come dono in virtù dei meriti della sua passione e morte, come cinque farmaci per vincere quei cinque morbi dell'anima.

La devozione alle cinque piaghe di Cristo fu molto praticata e diffusa dai certosini e dom Gherard Kalckbrenner, autore di un'opera dal titolo Rapiarum (1566), spiega che la piaga della mano destra rappresenta l'obbedienza, la piaga della mano sinistra rappresenta l'umiltà, la piaga del piede destro rappresenta la pazienza, la piaga del piede sinistro rappresenta la misericordia, mentre la piaga del costato rappresenta la carità.

E' molto interessante analizzare più da vicino queste cinque medicine. Di esse, due non possono essere conseguite con l'ascesi, cioè con le sole forze umane, e sono la carità (perché virtù teologale) e la misericordia, che è un effetto della carità; mentre le restanti tre - obbedienza, umiltà e pazienza - sono conseguibili con l'ascesi, ma è anche vero che sono tra le più difficili e ardue da raggiungere, e da qui la necessità di chiedere l'indispensabile aiuto divino nella preghiera costante.

L'obbedienza è una virtù che appartiene alla virtù cardinale della giustizia, mentre l'umiltà appartiene alla temperanza e la pazienza alla fortezza. Ora l'obbedienza è davvero una virtù difficile da esercitare, per diverse ragioni che non è il caso di enucleare in questa occasione, ma ci basti per ora notare che essa corrisponde alla mano destra di Cristo.

Quindi, se la mano rappresenta il mezzo con cui operiamo, e se destra e sinistra sono tradizionalmente in un rapporto di conseguenza e subalternità, nel senso che la destra viene prima della sinistra, allora l'obbedienza è la medicina alla piaga dell'intelletto oscuro, perché il principio di ogni nostra azione risiede ultimamente nell'intelletto, con il quale conosciamo la verità, e l'intelletto mostra alla volontà il bene da raggiungere e di conseguenza comanda la volontà.

Se l'intelletto non è pronto a obbedire a ciò che Dio rivela e comanda, non si può iniziare il cammino della perfezione cristiana. La mano sinistra rappresenta l'umiltà, che si svela come la medicina alla piaga della volontà debole. E l'umiltà si contrappone alla superbia, che è la madre e regina di tutti i vizi, cioè il vizio in vista di cui tutti gli altri vizi operano: la superbia è la volontà dell'eccellenza che va oltre i limiti della propria natura. L'umiltà invece ci porta a moderare questa volontà debole e disordinata e ad accettare la volontà di Dio in noi: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33). I santi sono coloro che "non da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv 1,13). Ma per essere umili, bisogna prima essere obbedienti a Dio, così come ciò che viene da destra va verso ciò che è a sinistra.

La stessa cosa vale per i piedi. Il piede destro di Cristo è la pazienza, una virtù appartenente alla fortezza. Essa è la medicina che ci guarisce dalla violenza della concupiscenza. Infatti, la pazienza è quella virtù che conserva il bene della ragione dalla tristezza e dal dolore, che impediscono il cammino spirituale. Gesù nella sua passione è il vero maestro della pazienza.

Le passioni disordinate e violente, ma anche la fatica noiosa di perseverare in un'azione buona, possono turbare la nostra vita. Ecco allora che la pazienza, come scrive san Gregorio Magno, diventa "radice e custode di tutte le virtù".

Arriviamo infine al piede destro, che è la misericordia, un effetto della carità. Essa è la medicina alla piaga della caducità della carne. Non possiamo combattere contro l'ineluttabilità dell'indebolimento del nostro corpo, contro le malattie che ci affliggono, contro la morte dei cari che periodicamente segna la nostra vita. Eppure Gesù ci ha mostrato questa grande medicina che è la misericordia che allieta l'anima e il corpo: nutrire gli affamati, dar da bere a chi ha sete, vestire i nudi, ospitare i migranti, visitare i malati e i detenuti, seppellire i morti, ma anche e soprattutto consigliare i dubbiosi, insegnare, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare, sopportare i molesti, pregare per i vivi e per i defunti.

Siamo quindi giunti all'ultima e più importante piaga di Gesù Cristo, quella del costato, cioè del suo Sacro Cuore, perforato dalla lancia di san Longino, simbolo dell'amore divino, e dal quale è uscito sangue misto ad acqua, cioè i Sacramenti fondanti della Chiesa: l'Eucarestia e il Battesimo.

La piaga del Sacro Cuore è la virtù della carità, cioè della grazia, l'amicizia tra Dio e l'uomo, pagata con il sangue di Cristo, che è medicina alla piaga purulenta della disgrazia, che ci ha chiuso le porte del Cielo. Essa è la piaga più importante, così come la carità è la più importante delle virtù e così come l'anima immortale è la parte più importante del nostro essere. In questo giorno, così solenne per la Cristianità, meditiamo e chiediamo al Signore questi grandi doni.

Gaetano Masciullo

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