sabato 13 aprile 2024

Gesù è il Buon Pastore

 

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 10, 11-16.

In illo témpore: Dixit Iesus pharisǽis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercenárius autem et qui non est pastor, cuius non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves: mercenárius autem fugit, quia mercenárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et álias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovíli: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 10, 11-16.

In quel tempo, Gesù disse ai Farisei: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. Il mercenario invece, e chi non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, e lascia le pecore, e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore: il mercenario fugge perché è mercenario, e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e queste conoscono me, come il Padre conosce me, ed io il Padre. Io dò la vita per le mie pecore. E ho delle altre pecore, le quali non sono di quest’ovile: anche quelle occorre che io raduni, e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo ovile e un solo pastore".

Il vangelo di Giovanni, a differenza degli altri vangeli sinottici, pone l'accento sulla natura divina di Nostro Signore, che già nei primissimi decenni dell'età apostolica veniva messa in dubbio da alcuni gruppi di cristiani, che poi diverranno noti come ebioniti. Per questo motivo, all'interno di questo vangelo, più volte troviamo discorsi di Gesù che iniziano con l'espressione "Io sono", che rimanda direttamente alla manifestazione di Dio a Mosè nell'Esodo. In quell'occasione, Dio aveva detto che il suo nome è proprio "Io sono", nome impronunciabile per la mentalità ebraica, se non dal Sommo Sacerdote, una volta all'anno, nel sancta sanctorum del Tempio.

L'evangelista Giovanni, invece, mette il nome di Dio in bocca a Gesù più volte nel corso della sua narrazione, e ciò sia per sottolinearne la natura divina sia per sottolinearne la natura sacerdotale: Cristo è il vero Sommo Sacerdote. Nella pagina di vangelo odierno, in particolare, la teofania di Cristo è accompagnata da un'accezione tutta particolare. "Io sono: il buon pastore", dice il Signore. Precedentemente, Gesù aveva detto di essere "il pane vivo disceso dal Cielo" e "la luce". Adesso dice di essere "il buon pastore". Nell'indicare se stesso come pane, Gesù fa un chiaro riferimento all'Eucarestia, con la quale Egli si farà continuamente e sacramentalmente presente in mezzo agli uomini. Nell'indicare se stesso come luce, Gesù fa un chiaro riferimento alla dottrina, che Egli stesso incarna. Nell'indicare se stesso come buon pastore, Egli ci ricorda che non è solo il nostro nutrimento, ma anche colui che ci nutre: in Cristo sacerdote e vittima coincidono. 

Chi è infatti il pastore? Il pastore non è semplicemente colui che conduce il gregge verso l'ovile, ma è anzitutto colui che "assegna il pasto" (da qui il termine "pastore"), colui che nutre le pecore. Così Cristo nutre la Chiesa tramite i sacramenti, soprattutto l'Eucarestia, e la buona dottrina. Egli non è un pastore qualunque, ma il "buon pastore". Se leggiamo il testo greco, scopriamo che l'aggettivo kalòs vuol dire "bello", e nell'ottica greca la bellezza denota un'armonia integrale, che coinvolge dunque l'intero essere di Gesù. Cristo è bello perché armonioso e buono nel corpo, nell'anima, nella vita, nella divinità. 

Nell'indicare se stesso come buon pastore, il Signore però non manca nel metterci in guardia anche dai falsi pastori, che egli chiama con il significativo termine "mercenari". All'epoca del Signore, infatti, quando i pastori disponevano di greggi molto numerosi, assoldavano dei custodi affinché vegliassero al posto loro su certe porzioni di greggi. Evidentemente, i pastori - coloro cui le pecore appartenevano - avevano a cuore il benessere del gregge, mentre coloro che venivano assoldati avevano a cuore anzitutto il proprio interesse economico. Accadeva spesso, dunque, che non appena comparivano dei lupi all'orizzonte, questi operai assoldati all'ora fuggivano a gambe levate, perché non avevano alcun interesse nel difendere le pecore. Così sono i falsi messia, i falsi profeti: essi vogliono solo nutrire il proprio ego, la superbia è il loro interesse, non la salvezza del mondo.

In tutte le pagine di vangelo che la Chiesa proclamerà fino alla I Domenica dopo l'Ascensione, ci sarà sempre un riferimento, più o meno velato, alla discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli apostoli nel cenacolo, evento che segnerà l'istituzione della Chiesa, nella solennità di Pentecoste. Anche nella pagina di vangelo proclamata quest'oggi c'è un riferimento, molto implicito, a questo evento. Infatti, il Signore Gesù promette l'istituzione della Chiesa, quando dice: "ci sono pecore che non sono di quest'ovile" e poi aggiunge: "sarà un solo ovile e un solo pastore". L'ovile è immagine della Chiesa. Questo discorso è rivolto ai farisei, le massime autorità religiose di Israele, e "questo ovile" cui Egli fa riferimento è proprio il popolo di Israele. Ma questo popolo è solo il seme, la prefigurazione della Chiesa. Dio ama anche le pecore che non appartengono a quest'ovile, cioè i gentili, e chiama anch'esse alla salvezza sulla Croce.

Gaetano Masciullo

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