martedì 31 dicembre 2024

Ottava di Natale: un altro sguardo alla Croce

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 2, 21.

In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur puer: vocátum est nomen eius Iesus, quod vocátum est ab Ángelo priúsquam in útero conciperétur.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 2, 21.

In quel tempo, dopo che furono trascorsi otto giorni, affinché il bambino fosse circonciso, fu chiamato con il nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo prima di essere concepito nel grembo.

Nella liturgia dell'Ottava di Natale, emergono in maniera evidente due Misteri della salvezza tra loro intrecciati: la circoncisione di Cristo e il Nome Santo di Gesù. Nell'Antico Testamento, Dio ordinò al patriarca Abramo di circoncidere tutti i primogeniti maschi del popolo ebraico: "Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. (...) Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione. (...) Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza" (Gn 17,9-10.12a.14).

La circoncisione fu ordinata da Dio come immagine del Battesimo. Questa pratica non deve essere intesa solo come una misura igienica: essa ha un profondo significato teologico e mistagogico. Non è possibile comprendere il senso profondo della pratica della circoncisione se non si fa riferimento alla dottrina del peccato originale, cioé la superbia dell'intelletto da parte di Adamo ed Eva che ha degradato tutta la natura umana e che viene trasmesso, come una tara genetica, da padre in figlio. 

In tal senso, la circoncisione dell'organo maschile deputato alla generazione di altri esseri umani, che quindi vengono concepiti nello stesso peccato originale, prefigura il sacramento del Battesimo che sarà poi istituito da Cristo, poiché quest'ultimo applica i meriti della Croce al credente e lo libera dagli effetti del peccato originale. Il sanguinamento della circoncisione (e in particolare quello della circoncisione di Gesù neonato) prefigura il sangue salvifico di Cristo sulla Croce. 

La Chiesa ha insegnato che, anche se gli ebrei circoncisi erano salvati dalle conseguenze eterne del peccato originale, tuttavia non poterono entrare dopo la loro morte immediatamente nel Regno dei Cieli. Essi dovettero attendere la discesa agli inferi di Cristo, avvenuta il sabato santo, che aprì le porte del Cielo alle anime dei giusti patriarchi, che si trovavano negli inferi nel cosiddetto limbo dei padri o "seno di Abramo". Il Paradiso rimase chiuso per tutti fino a quel momento.

Con queste parole san Tommaso d'Aquino spiega il sacramento veterotestamentario della circoncisione: "La circoncisione - egli scrive - che si faceva tramite l’asportazione della membrana carnale del membro della generazione, significava lo spogliarsi della vecchia generazione. E da questa [generazione] vecchia siamo liberati mediante la passione di Cristo" (cfr. S.Th. III, q. 37, a. 1, ad 1). Spogliarsi della vecchia generazione significa appunto liberarsi dalla carne concepita nel peccato originale e proiettarsi verso il corpo glorioso e risorto futuro.

Per quanto riguarda il secondo Mistero sul quale dobbiamo meditare, cioé il Mistero del Nome di Gesù, esso significa in ebraico e nella sua variante aramaica antica "Dio salva" (Yeshua). Questo nome fu imposto dapprima alla Vergine Maria da Dio stesso, per mezzo dell'arcangelo san Gabriele, al momento dell'Annunciazione: "Ed ecco, concepirai nel tuo grembo e darai alla luce un figlio, e gli porrai nome Gesù" (Luca 1, 31); e poi anche a san Giuseppe: "[Maria] partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai loro peccati" (Matteo 1, 21). Tale nome, dunque, è perfettamente appropriato alla missione redentrice del Verbo incarnato, sottolineando la connessione tra la persona che lo porta e l'opera di salvezza.

Il nome stesso di Gesù confuta e protesta contro i tanti teologi che negano la missione terrena del Signore, cioé va contro tutti coloro che sostengono che Gesù sia stato soltanto un grande profeta, un grande filosofo, un grande personaggio della storia, e non già il Salvatore dell'umanità. Anche tanti teologi sedicenti cattolici, purtroppo, negano che Gesù si sia incarnato per volontà del Padre con la missione esplicita e consapevole di morire sulla Croce  come vittima perfetta di espiazione per salvarci dal peccato, anzitutto quello originale e poi anche quelli personali, e per istituire poi la Chiesa visibile su Pietro, con i suoi sette sacramenti, per applicare a tutti gli uomini i meriti della Redenzione. Ecco perché san Pietro ribadirà: "Non c'è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (Atti 4, 12). 

Nel linguaggio antico, il nome indica anche l'autorità, cioé la fonte del potere. Questo modo di intendere il termine 'nome' è rimasto anche nel linguaggio comune. Si pensi a quando un ufficiale dice: "Nel nome della legge, la dichiaro in arresto", cioé: "Per l'autorità conferitami dalla legge". Allora quando la Chiesa agisce nel nome di Gesù, sta dicendo che agisce per l'autorità conferitale da Gesù, che è un'autorità divina. Anche quando iniziamo la preghiera nel nome della Trinità, stiamo implicitamente affermando che possiamo pregare per l'autorità concessaci da Dio uno e trino.

Gaetano Masciullo

sabato 28 dicembre 2024

Anna la profetessa: il dettaglio biblico che rivela il destino della Chiesa

Sequéntia sancti Evangélii secundum Lucam 2, 33-40

In illo témpore: Erat Ioseph et María Mater Iesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem eius: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, ieiúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilǽam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 2, 33-40

In quel tempo, Giuseppe e Maria, madre di Gesù, restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: "Ecco egli è posto per la rovina e per la resurrezione di molti in Israele, e sarà bersaglio di contraddizioni, e una spada trapasserà la tua stessa anima, affinché restino svelati i pensieri di molti cuori". C’era inoltre una profetessa, Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Aser, molto avanti negli anni, vissuta per sette anni con suo marito. Rimasta vedova fino a ottantaquattro anni, non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con preghiere e digiuni. E nello stesso tempo ella sopraggiunse, e dava gloria al Signore, parlando di lui a quanti aspettavano la redenzione di Israele. E quando ebbero compiuto tutto secondo la legge del Signore, se ne tornarono in Galilea, nella loro città di Nazaret. E il fanciullo cresceva e si irrobustiva, pieno di sapienza: e la grazia di Dio era con lui.

La nascita di Nostro Signore Gesù Cristo è accompagnata da tre manifestazioni progressive: i pastori nella notte di Betlemme, i profeti Simeone e Anna nel Tempio, e i Magi dall’Oriente. Queste epifanie non avvengono simultaneamente, ma seguono un ritmo che corrisponde a una diversa pedagogia divina.  

Ai pastori, Dio si rivela quasi immediatamente, probabilmente poche ore dopo la nascita, nella semplicità e soprattutto nell'umiltà. Questi non sono gli ignoranti, ma gli anawim, come si dice nell'ebraico biblico, cioé i "poveri in spirito" che attendono il Messia nella fiducia e abbandono totali, anche senza strumenti intellettuali, con un cuore puro. La loro vicinanza al Cristo appena nato rappresenta la risposta pronta e gioiosa di chi, pur nella marginalità, sa riconoscere i segni del cielo.  

Ai profeti nel Tempio, quaranta giorni dopo, Dio si manifesta attraverso la Legge e la santa tradizione. Simeone e Anna rappresentano i colti fedeli che, nella preghiera e nella riflessione, hanno interiorizzato le Scritture e attendono la consolazione di Israele. Questa manifestazione insegna che la fede si nutre non solo di entusiasmo, ma anche di perseveranza e sapienza.  

Ai Magi, infine, Cristo si rivela circa due anni dopo, come luce per i pagani. Essi rappresentano i colti infedeli, uomini di scienza e cultura che non conoscono la Rivelazione, ma che la cercano con rettitudine. La dilazione temporale evidenzia che la comprensione della verità richiede tempo e cammino, specie per chi parte da lontano. Questa pedagogia divina ci insegna che Dio si manifesta a tutti, ma secondo i tempi e le disposizioni di ciascuno: agli umili con immediatezza, ai sapienti con profondità e in perfezione (i quaranta giorni rappresentano la penitenza come preparazione alla ricezione della Legge), ai lontani con pazienza.  

Nel canto di Simeone, il primo dei due profeti che i santi Maria e Giuseppe trovano nel Tempio, dove si recano per ottemperare la Legge di Mosè, si coglie l'importanza del ruolo di Maria, profeticamente indicata come partecipe al dramma della Redenzione: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 35). Maria è chiamata spesso dalla Tradizione cattolica "corredentrice", un titolo che non pone in discussione l'unicità dell'opera redentrice di Cristo, ma che sottolinea il suo contributo unico. Questo titolo si fonda su due aspetti: (1) la sua Immacolata Concezione, che la rendeva pienamente libera di accogliere l’Incarnazione e di aderire perfettamente alla volontà divina. Maria non subì il peso del peccato originale e, dunque, fu capace di un amore perfetto per il Figlio e per l'umanità redenta. Ciononostante, ammiriamo la perfetta obbedienza di Maria alla Legge, che volle compiere la purificazione prescritta da Mosè, nonostante la sua integrità originale; (2) la sua sofferenza materna, che la unì intimamente al sacrificio del Figlio. La croce di Maria fu spirituale e morale: ogni dolore di Cristo fu percepito nel cuore della Madre, secondo il vincolo d’amore unico che li univa. La spada profetizzata da Simeone simboleggia questa partecipazione al mistero pasquale, un dolore che, per la sua intensità e purezza, acquisisce un valore corredentore. Ella è la prima dei cristiani che sanno partecipare dei dolori di Cristo, secondo quanto insegna l'apostolo Paolo: "Completo nella mia carne ciò che manca alla Passione di Cristo" (Col 1, 24).  

Maria, con il suo fiat e con la sua offerta silenziosa ai piedi della croce, si fa mediatrice di grazie. Non c'è conflitto tra Cristo, unico Redentore, e Maria, che ne è la cooperatrice più perfetta: come la Chiesa stessa riconosce, tutte le grazie ci giungono attraverso di lei, perché perfetti e sovrabbondanti sono i suoi meriti.  

Anna, profetessa, è descritta con dettagli mistici che nascondono significati profondi. Dietro la figura storica di questa profetessa, infatti, si nasconde un'allegoria preziosissima della Chiesa, che nascerà in Cristo. Si dice, anzitutto, che ha vissuto sette anni di matrimonio: il suo essere rimasta sposa per sette anni rappresenta il compimento perfetto della Chiesa, che è "sposa" di Cristo e che in Lui vede la pienezza della propria vocazione. Dopo la morte dello sposo, Anna vive nella preghiera e nel digiuno, anticipando la missione della Chiesa come comunità orante e penitente. Ancora una volta, come nel Battista, la Parola di Dio indica il triplice atteggiamento della Chiesa: orante, penitente, missionaria. 

Leggiamo che Anna è figlia di Fanuel, della tribù di Aser. I nomi non sono casuali nel piano divino. Il nome Anna significa "grazia". La Chiesa è, in effetti, l'unico sacramento di salvezza per il mondo, cioé l'unico segno e l'unico veicolo di grazia per l'umanità. Non c'è salvezza all'infuori di Cristo, non c'è santità al di fuori della vita sacramentale. Il nome Fanuel significa “volto di Dio”. Qui assistiamo a un rimando biblico molto importante. Tante volte nell'antico testamento si fa riferimento al volto di Dio: ""Fa' risplendere su di noi il tuo volto e saremo salvi" (Salmo 80, 4). Quando Dio creò l'uomo, lo creò a propria immagine e somiglianza. Ora, si dice che un uomo assomiglia a un altro uomo, quando notiamo affinità nel volto. La somiglianza originale tra l'uomo e Dio consiste nel rapporto di grazia, nella carità perfetta. Una somiglianza che il peccato originale ha deturpato, anzi cancellato. Dio in Cristo e nella Chiesa ridona all'uomo il volto di Dio, ciò che lo rende simile a Dio: la grazia.  

Ancora, Anna è della tribù di Aser, una delle dodici tribù di Israele. Il nome Aser significa "felicità", "benedizione", "beatitudine". Esso simboleggia la beatitudine, cioé la santità, che la Chiesa porta al mondo attraverso l’annuncio della salvezza e della grazia. La tribù di Aser ricevette una benedizione speciale sia da Giacobbe che da Mosè. Giacobbe disse: "Pingui saranno i prodotti di Aser che fornirà delizie regali" (Genesi 49, 20). Mosè, invece, benedisse Aser dicendo: "Aser è il più benedetto dei figli di Giacobbe; il più gradito tra i suoi fratelli, tuffa il suo piede nell'olio" (Deuteronomio 33, 24-27). 

In Anna, dunque, l'epifania della natura divina e messianica di Gesù si accompagna all'epifania della natura divina della Chiesa. Sebbene appena nata con l'Incarnazione del Messia, la Chiesa appare già matura nella sua sapienza, e perciò è prefigurata in Anna "molto avanti negli anni": ella è molto anziana, cioé molto sapiente secondo il linguaggio biblico, perché animata, resa viva, dallo Spirito Santo. Come Anna, la Chiesa si dedica alla preghiera, al digiunio e all'annuncio, vivendo nella consapevolezza che solo in Cristo si realizza la salvezza.  

Anna profetizza, perché vede in Cristo il compimento delle promesse fatte a Israele. Così la Chiesa, animata dal medesimo Spirito, continua a proclamare Cristo al mondo, con una sapienza che trascende il tempo e gli eventi. Capiamo pertanto che la Redenzione non è un atto improvviso, ma un processo pedagogico, in cui Dio coinvolge tutti gli uomini, in Maria come corredentrice, nei profeti come testimoni, nella Chiesa come sposa fedele. Cristo è la luce per tutti, ma ciascuno deve riconoscerlo secondo il proprio cammino e la propria disposizione. 

Gaetano Masciullo


mercoledì 25 dicembre 2024

Perché ricordare il primo martire subito dopo il Natale?


Sequéntia sancti Evangélii secundum Matthǽum 23, 34-39.

In illo témpore: Dicébat Iesus scribis et pharisǽis: Ecce, ego mitto ad vos prophétas, et sapiéntes, et scribas, et ex illis occidétis et crucifigétis, et ex eis flagellábitis in synagógis vestris, et persequémini de civitáte in civitátem: ut véniat super vos omnis sanguis iustus, qui effúsus est super terram, a sánguine Abel iusti usque ad sánguinem Zacharíæ, filii Barachíæ, quem occidístis inter templum et altáre. Amen, dico vobis, vénient hæc ómnia super generatiónem istam. Ierúsalem, Ierúsalem, quæ occídis prophétas, et lápidas eos, qui ad te missi sunt, quóies vólui congregáre fílios tuos, quemádmodum gallína cóngregat pullos suos sub alas, et noluísti? Ecce, relinquétur vobis domus vestra desérta. Dico enim vobis, non me vidébitis ámodo, donec dicátis: Benedíctus, qui venit in nómine Dómini.

Seguito del Santo Vangelo secondo Matteo 23, 34-39.

In quel tempo, Gesù diceva agli scribi e ai farisei: "Ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi, e di questi ne ucciderete e crocifiggerete, e ne flagellerete nelle vostre sinagoghe, e li perseguiterete di città in città: in modo che ricada su di voi tutto il sangue del giusto, che è stato effuso sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il tempio e l’altare. In verità, io vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che a te sono stati inviati, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i propri pulcini sotto le ali, e non hai voluto? Ecco, a causa vostra la vostra casa sarà lasciata deserta. Vi dico, infatti, che non mi vedrete più, fino a quando non diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore".

In memoria di santo Stefano, protomartire, cioé primo tra i martiri della Chiesa, la Chiesa proclama una pagina di vangelo molto dura, oggi diremmo "politicamente (o clericalmente) scorretta". Cristo non teme di denunciare apertamente l’ostinazione di Gerusalemme, simbolo del rifiuto dell’umanità tutta, ma in particolare degli eletti, alla verità divina, e preannuncia il destino dei suoi inviati. Questo monito è una dichiarazione profetica della persecuzione che dovranno subire i suoi discepoli e, allo stesso tempo, una chiamata alla responsabilità che ciascuno deve assumersi di fronte alla Rivelazione divina.

Il linguaggio di Cristo è diretto e duro: accusa coloro che, per varie ragioni terrene, si oppongono alla Verità incarnata e perseguitano chi la proclama. Bisogna tener presente, tuttavia, che impugnare la verità conosciuta è un peccato contro lo Spirito Santo, che è tra i più gravi che vi siano in assoluto. Questo atteggiamento di denuncia e di condanna da parte di Gesù è lontano dal sentimentalismo o dal relativismo che spesso permeano la nostra società contemporanea, dove parlare di peccato, giudizio e responsabilità personale è considerato scomodo o divisivo, persino nella Chiesa. Gesù non teme, invece, di rivelare la gravità del rifiuto della grazia, mettendo in guardia contro le conseguenze eterne di questa scelta.

“Io mando a voi profeti…”: queste parole manifestano il cuore divino di Nostro Signore Gesù Cristo. Il Signore non parla come un semplice profeta, ma come Dio stesso. Dicendo “Io mando a voi…”, afferma implicitamente la propria natura divina, sottolineando che egli è il vero Autore della missione dei profeti e degli apostoli. Questo è particolarmente significativo nel tempo natalizio, che celebra il mistero dell’Incarnazione: il Bambino nato a Betlemme è Dio fatto uomo, il Verbo eterno che viene a salvare, ma che sarà rifiutato e condotto alla croce.

Se diamo attenzione al calendario liturgico cattolico-romano tradizionale subito dopo il Natale, notiamo delle ricorrenze particolari. Subito dopo la celebrazione della nascita del Salvatore, infatti, la Chiesa ci invita a riflettere sul mistero del martirio, proponendoci una sequenza dal profondo significato: santo Stefano: martire nel corpo e nello spirito, che testimonia con la sua vita e la sua morte la fedeltà a Cristo fino all’effusione del sangue; san Giovanni Evangelista: martire nello spirito ma non nel corpo, che pur non subendo il martirio fisico, visse gravi persecuzioni per la sua totale consacrazione alla diffusione del vangelo; santi Innocenti: martiri nel corpo ma non nello spirito, vittime della crudeltà di Erode e immagine della lotta tra il potere terreno e il Regno di Dio; san Thomas Becket: martire nello spirito e nel corpo, come santo Stefano, è la prima grande vittima degli abusi di stato nella storia cristiana e testimonia l’opposizione tra il potere temporale che rifiuta Dio e la libertà della Chiesa.

Questa successione liturgica non è casuale, ma illumina il profondo legame tra il Natale e il martirio. Il Natale non è solo la celebrazione della nascita di un Bambino, ma l’irruzione del Regno di Dio nella storia, una realtà che provoca inevitabilmente una reazione da parte delle forze del male. Il martirio è la risposta ultima e radicale all’amore di Dio: un amore che si dona totalmente, fino al sacrificio supremo.

Il Natale e il martirio sono uniti dalla logica della Croce. Cristo nasce per morire e risorgere, e coloro che lo seguono sono chiamati a partecipare alla sua missione redentrice, anche a costo della vita. Santo Stefano ci ricorda che la fede non è una via facile o comoda, ma un cammino di fedeltà che può richiedere il dono totale di sé. Questo ci interpella profondamente: siamo disposti ad accogliere Cristo nella nostra vita, anche quando ci chiede di portare la croce del sacrificio, del rifiuto o della persecuzione?

Gaetano Masciullo

martedì 24 dicembre 2024

Chi accoglie Cristo, questi è figlio di Dio


Inítium S. Evangélii secundum Ioánnem 1, 1-14.

In princípio erat Verbum, et verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebrae eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quae illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot áutem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his qui crédunt in nómine eius: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam eius, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiae et veritátis.

Inizio del S. Vangelo secondo Giovanni 1, 1-14.

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è stato fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno contenuta. Ci fu un uomo inviato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. C'era la vera luce, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo ha conosciuto. Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Ma a quanti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati. E il Verbo si è fatto carne, e venne ad abitare in mezzo a noi: e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Il Prologo del Vangelo secondo san Giovanni è un vero e proprio inno al Mistero dell'Incarnazione, e per questo motivo la Chiesa lo proclama nella terza Messa del giorno di Natale, secondo il calendario liturgico romano tradizionale. Con parole sublimi, san Giovanni ci introduce alla verità centrale della fede cristiana: il Verbo eterno, "Dio presso Dio", si è fatto carne per la nostra salvezza.

San Giovanni proclama con chiarezza la divinità di Cristo: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio". Queste parole confutano ogni riduzione della figura di Cristo a quella di un semplice uomo, profeta o maestro. Negare la divinità di Cristo significa svuotare di senso l'Incarnazione, perché solo Dio poteva farsi uomo per redimere l'umanità. Cristo è l'eterno Verbo di Dio, che assume la nostra natura umana senza perdere la sua divinità, per riconciliare il cielo e la terra. "Dio presso Dio": questa espressione usata dell'Evangelista è una chiave importante per comprendere il Mistero del Natale.

Nel Prologo, san Giovanni Battista è presentato come il testimone per eccellenza del Verbo fatto carne. La sua missione è quella di preparare la via del Signore, indicando agli uomini la luce vera che illumina ogni mente e ogni cuore. San Giovanni Battista rappresenta la Chiesa, chiamata ad accogliere Cristo e a donarlo al mondo. Come il Battista, la Chiesa deve essere assumere un triplice atteggiamento. La Chiesa, infatti, deve essere vigilante, orante e penitente, consapevole della propria missione profetica in un mondo che spesso rifiuta la luce per rimanere nelle tenebre, come in una specie di comfort zone.

Il Prologo sottolinea, infatti, una realtà molto dolorosa: Cristo "veniva nel mondo, eppure il mondo non lo ha conosciuto. È venuto fra i suoi, eppure i suoi non lo hanno accolto". Questo passaggio smaschera le false visioni universaliste che riducono la salvezza a un diritto automatico per tutti. Cristo è venuto per tutti, ma solo coloro che lo accolgono con fede e vivono in comunione con Lui diventano figli di Dio. Credere in Cristo non significa solo riconoscere la sua esistenza, ma aderire pienamente a ciò che Egli è, a ciò che Egli chiede: il Verbo incarnato, il Redentore, il Signore che continua a operare nella storia e soprattutto nella vita sacramentale della Chiesa, e che tornerà come Giudice alla fine della nostra vita personale e alla fine dei tempi.

San Giovanni apostolo afferma inoltre: "A quanti però lo hanno accolto, Cristo ha dato il potere di diventare figli di Dio". Questa verità fondamentale contrasta con l'idea diffusa che tutti gli uomini siano automaticamente figli di Dio, solo perché esistono. In realtà, tutti sono creature di Dio, ma solo il Battesimo, in virtù della passione e morte di Cristo, rende l'uomo figlio di Dio e coerede di Cristo. Essere figli di Dio significa partecipare della sua vita divina, essere trasformati dalla grazia e vivere come testimoni del suo amore nel mondo. Questo dono sublime ci è stato reso possibile solo dal sacrificio redentore di Cristo sul legno della Croce.

Il Prologo di san Giovanni ci invita allora a contemplare il Mistero dell'Incarnazione nella sua profondità teologica e spirituale. Accogliendo Cristo nella nostra vita, entriamo in comunione con Dio e diventiamo suoi figli. Nel Natale, celebriamo proprio questa meraviglia: il Verbo eterno si è fatto carne per donarci la vita divina sulla Croce e per mezzo della Croce. Siamo chiamati a rispondere a questo dono con fede, adorazione e testimonianza, vivendo come autentici figli di Dio nella luce di questo Verbo del Padre che si è fatto carne in un bambino piccolo e indifeso.

Gaetano Masciullo

Pace agli uomini di buona volontà

Sequéntia sancti Evangélii secundum Lucam 2, 7-14.

In illo témpore: Maria péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit iuxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ cœléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

Sequenza del S. Vangelo secondo Luca 2, 7-14.

In quel tempo, Maria partorì il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nella locanda. E c'erano dei pastori in quella regione, che vegliavano e custodivano il proprio gregge durante le ore della notte. Ed ecco, l'Angelo del Signore apparve di fronte a loro, e lo splendore di Dio li circondò di luce, ed essi ebbero gran timore. E l’Angelo disse loro: "Non temete: ecco, infatti, porto a voi la buona notizia di una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: perché oggi è nato per voi il Salvatore, che è Cristo Signore, nella città di Davide. E questo sia per voi il segno: troverete un neonato avvolto in panni e posto in una mangiatoia". E subito si raccolse con l’Angelo una moltitudine della milizia celeste, che lodava Iddio e che diceva: "Gloria nel più alto dei cieli a Dio, ed in terra pace agli uomini di buona volontà".

Questo passo del vangelo secondo san Luca, proclamato nella Messa della Notte di Natale secondo il calendario liturgico romano tradizionale, ci conduce al cuore del Mistero dell'Incarnazione, da contemplare sempre alla luce della Redenzione, che ne rappresenta il fine ultimo. Il Natale non è infatti semplicemente la celebrazione della nascita di un Bambino, ma la manifestazione dell'infinito amore di Dio che si è fatto uomo per redimere l'umanità dal peccato e per riconciliarla con il Padre. 

L'Incarnazione è comprensibile solo alla luce della Croce. Dio Figlio si è fatto carne non per essere solo un maestro di morale o un esempio di bontà, come purtroppo insegnano anche tantissimi sacerdoti, ma per offrire se stesso come vittima perfetta per la salvezza del mondo, vero Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. La mangiatoia di legno dove è posto - in latino: praesepium - prefigura già il legno della Croce e il canto degli angeli si lega profeticamente al grido di vittoria sulla morte che sarà proclamato nella Risurrezione. Senza il riferimento alla Redenzione, il Natale si svuota del suo significato più profondo, diventando un evento sentimentale privo della sua autentica gioia, che scaturisce dalla consapevolezza che Dio è venuto a salvarci dal peccato e dalla morte eterna.

In questa dinamica la Vergine Santa assume un ruolo importante. Maria, Madre di Dio e quindi della Chiesa, cioé dell'umanità redenta, partecipa fin dal primo istante al Mistero del Figlio. Lei, Immacolata, cioé priva di peccato originale, comprende meglio di chiunque altro la missione redentrice di Cristo e il prezzo di questa salvezza. Il parto verginale, avvolto nella povertà della grotta, è già un preludio delle sofferenze che condividerà con il Figlio fino ai piedi della Croce. Maria non solo accoglie con fede il Mistero dell'Incarnazione, ma lo vive in una totale conformità alla volontà divina, offrendoci l'esempio perfetto della creatura che coopera con la grazia di Dio e "completa - come dirà san Paolo - nella propria carne ciò che manca alla Passione di Cristo".

Si badi bene che la scelta divina di nascere nella povertà non è un elogio della miseria materiale, ma un segno della rinuncia volontaria di Cristo, che si spoglia delle sue ricchezze per espiare i nostri peccati. La povertà di Betlemme è un invito a vivere la sobrietà, il distacco dai beni terreni e la penitenza come mezzi per conformarci a Lui. Cristo è il Re dell'universo, ma nasce povero per dimostrare che la vera ricchezza è l'intimità con Dio, e che il possesso dei beni deve sempre essere subordinato alla ricerca del Regno dei Cieli. Lui, che era perfettamente integro, espia per noi gli eccessi dell'avarizia e del possesso, l'uso smodato dei beni terreni.

La manifestazione al mondo del Mistero dell'Incarnazione segue un ordine divinamente prestabilito: ai pastori, i più umili e semplici; poi ai profeti del Tempio, rappresentanti della speranza di Israele; infine ai Magi, simbolo delle genti pagane e della sapienza umana. In queste categorie vediamo rappresentata l'intera umanità, chiamata alla salvezza in Cristo. Tuttavia, non tutti accolgono il Messia: la grotta di Betlemme è anche il segno tangibile del rifiuto di molti cuori, rappresentata dal rifiuto da parte dei proprietari della locanda. Questa locanda - lo vediamo anche in altri passi del vangelo, come per esempio nella parabola del Buon Samaritano - rappresenta la comunità dei chiamati, quindi Israele e poi la Chiesa. Israele rifiuta il Messia promesso, eppure il Messia si rivela e continua a chiamare a sè anche Israele. La salvezza è offerta a tutti, ma è accolta solo da coloro che si aprono con fede e umiltà alla grazia.

Arriva dunque l'annuncio dell'angelo ai pastori. L'Autore sacro usa il verbo greco evangelizo, che nell'antica Roma indicava la proclamazione della vittoria del re sul nemico. Qui la "buona notizia" è che Cristo, il vero Re, è nato per sconfiggere il triplice nemico: satana, la carne e il mondo. Il nemico, infatti, è trinitario come Dio perché è una scimmiottatura di Dio. Satana emula il Padre, la carne emula il Figlio, il mondo emula lo Spirito Santo. Quante volte la Chiesa recentemente ha parlato di nuova Pentecoste e rinnovamento dello Spirito pensando di riferirsi a Dio, e in realtà si piegava semplicemente alla mentalità del mondo? 

La presenza dell'angelo e l'annuncio ai pastori confermano che la battaglia è già iniziata e che la vittoria finale è certa. Questa consapevolezza ci invita però a vivere il Natale non come una celebrazione statica, ma a partecipare alla lotta spirituale con la fiducia nella vittoria di Cristo, una battaglia il cui campo non è fuori, ma dentro di noi.

Infine, bisogna dire qualche parola a proposito dell'inno degli angeli. Esso proclama: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. La traduzione tradizionale sottolinea che la pace è un dono di Dio concesso a coloro che, a causa di una volontà buona, cioé diretta dalla fede, si aprono alla sua grazia. La traduzione moderna, di origine luterana, sposta l'enfasi sull'amore universale di Dio, oscurando così il ruolo della cooperazione umana con la grazia. Dio ama tutti, ma non tutti accettano il suo amore e non tutti si salvano: la pace interiore, segno della salvezza, è riservata a coloro che vivono secondo la sua volontà. Dio ama tutti perché, come dice l'Apostolo, vuole che tutti giungano alla conoscenza della verità e per essa si salvino; dire che Dio ama tutti non equivale a dire che Dio salva tutti.

L'Incarnazione di Cristo è pertanto il culmine della storia della salvezza e il preludio del sacrificio redentore. Contemplando il Mistero di Betlemme, siamo chiamati a riconoscere in quel Bambino il Salvatore che viene a liberarci dal peccato, siamo chiamati ad accogliere Maria come nostra Madre e guida, per imitare la sua umiltà e la sua obbedienza. Siamo chiamati anche ad imitare san Giuseppe, autentico modello di virilità, obbediente ai comandi del Signore, padrone della propria natura e custode di Cristo e quindi della Chiesa tutta. Solo così possiamo vivere il Natale con il cuore aperto alla vera pace, dono di Dio agli uomini di buona volontà.

Auguro a tutti voi un Santo Natale!

Gaetano Masciullo

sabato 21 dicembre 2024

L'Avvento, speranza per il nostro tempo


Sequentia S. Evangélii secundum Lucam 3, 1-6.

Anno quintodécimo impérii Tibérii Caésaris, procuránte Póntio Piláto Iudaéam, tetrárcha áutem Galilaéae Heróde, Philíppo áutem fratre eius tetrárcha Ituraéae, et Trachonítidis regiónis, et Lysánia Abilínae tetrárcha, sub princípibus sacerdótum Anna et Cáipha: factum est verbum Dómini super Ioánnem, Zacharíae fílium, in desérto. Et venit in omnem regiónem Iordánis, praédicans baptísmum poeniténtiae in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíae prophétae: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas eius: omnis vallis implébitur: et omnis mons, et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta: et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 3, 1-6.

Nel quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare, quando era governatore della Giudea Ponzio Pilato, Erode tetrarca della Galilea e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della regione Traconitide e Lisania tetrarca di Abilene, quando erano sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola del Signore venne nel deserto su Giovanni, figlio di Zaccaria. E costui andò nelle terre intorno al Giordano, predicando il battesimo di penitenza in remissione dei peccati, come sta scritto nel libro del profeta Isaia: "Voce di uno che grida nel deserto / preparate la via del Signore / appianate i suoi sentieri / saranno colmate tutte le valli e i monti e i colli saranno abbassati / i sentieri tortuosi saranno rettificati e quelli scabrosi appianati / e ogni uomo vedrà la salvezza di Dio".

Questa pagina di vangelo, posta nel contesto della IV Domenica di Avvento, ci invita a contemplare San Giovanni Battista come modello dell'uomo dell'Avvento: colui che attende, prepara e spera. Egli è la voce che grida nel deserto, invitandoci a raddrizzare le vie del Signore. Giovanni incarna l'attesa attiva, non passiva, che richiede conversione e fiducia nella venuta di Cristo Salvatore.

San Luca ci fornisce coordinate temporali dettagliate: siamo nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, attorno al 29 d.C. È un richiamo all'irruzione della Parola di Dio in un tempo e in un luogo precisi: durante il governatorato di Ponzio Pilato, sotto la tetrarchia di Erode e Filippo, e con Anna e Caifa come sommi sacerdoti. Questi dettagli ci rammentano che l'Incarnazione non è un mito, ma un fatto storico, situato in un contesto umano e politico concreto.

I riferimenti storici, per i cristiani del I secolo, non erano meri dati cronologici: avevano un valore mistagogico, cioè introducevano i credenti a un livello più profondo di comprensione della fede. La storia si trasforma in una pedagogia divina. Così, il contesto politico di Tiberio e di Pilato, apparentemente distante dalla missione di Giovanni, diventa segno che Dio opera anche attraverso le pieghe della storia umana, spesso contorta e ingiusta.

San Luca vuole mostrarci che, incarnandosi, Dio non solo entra nella storia, ma la governa con la Sua Provvidenza. Pensiamo al censimento di Augusto, preludio della nascita di Cristo: un evento politico e amministrativo, che causò disagi e preoccupazioni, ma che Dio utilizzò per adempiere le profezie e far nascere il Salvatore a Betlemme. Anche oggi, di fronte a eventi storici apparentemente avversi, dobbiamo ricordare che nulla sfugge al piano di Dio.

Nel clima di crisi ecclesiale e morale che viviamo, il grido del Battista risuona come un appello di speranza. "Ogni valle sarà colmata, ogni monte e colle saranno abbassati": i dislivelli della storia e della Chiesa, per quanto gravi, saranno livellati dalla venuta del Signore. Le sette virtù (fede, speranza, carità, prudenza, fortezza, giustizia, temperanza) sono le armi del cristiano, chiamato a preparare il cuore alla venuta di Cristo, anche quando tutto sembra crollare.

San Giovanni Battista ci insegna allora che l'Avvento è un tempo di attesa attiva, in cui ogni credente è chiamato a preparare la via al proprio Signore. L’incarnazione di Cristo ci ricorda che Dio è anche il Signore della storia, capace di trasformare le crisi più profonde in occasioni di salvezza. Questo tempo confuso richiede uomini e donne di fede, che sappiano gridare con coraggio: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri".

Gaetano Masciullo

sabato 14 dicembre 2024

Riconoscere il Cristo nascosto

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 1, 19-28.

In illo témpore: Misérunt Iudaéi ab Ierosólymis sacerdótes et levítas ad Ioánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit, et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respóndit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de teípso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut díxit Isaías prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex Pharisaéis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque prophéta? Respóndit eis Ioánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius áutem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cuius ego non sum dignus ut solvam eius corrígiam calceaménti. Haec in Bethánia facta sunt trans Iordánem, ubi erat Ioánnes baptízans.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 1, 19-28.

In quel tempo, da Gerusalemme mandarono a Giovanni sacerdoti e leviti per domandargli: "Chi sei?". Ed egli riconobbe e non negò e confessò: "Non sono il Cristo". Allora gli chiesero: "Chi sei dunque? Elia?". E disse: "Non lo sono". "Sei il profeta?" - e rispose: "No". E allora gli dissero: "Chi sei, così che possiamo riferire a chi ci ha mandati? Cosa dici di te stesso?". Disse: "Sono una voce che grida nel deserto: 'Preparate la via del Signore', come disse il profeta Isaia". E quelli che erano stati inviati erano dei Farisei e lo interrogarono dicendo: "Come dunque battezzi se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?". Giovanni rispose loro dicendo: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che non conoscete, che verrà dopo di me, ma che esisteva già prima di me, cui non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari". Ciò avvenne in Betània oltre il Giordano, dove Giovanni stava a battezzare.

Questa pagina di vangelo ci introduce nel cuore della missione di san Giovanni Battista: testimoniare Cristo. In questo episodio, il Battista si presenta come la “voce di uno che grida nel deserto” (Is 40,3), ponendosi con umiltà e radicalità di fronte al mistero che annuncia. La Chiesa proclama questo passo nella Dominica in Gaudete, un momento di gioia nella penitenza dell’Avvento, perché ci richiama all’essenziale: riconoscere il Messia, preparare il cuore alla sua venuta.

Il Battista, interrogato dai sacerdoti e leviti, non si arroga titoli che non gli spettano. Egli nega di essere il Cristo, Elia o il Profeta, ribadendo la sua identità di servitore, un semplice annunciatore. Questa umiltà ci richiama al senso autentico della penitenza. Non si tratta di un mortificante annullamento di sé, ma del riconoscimento dei propri limiti e della propria necessità di redenzione. Giovanni Battista incarna la penitenza non come negazione sterile, ma come strada per incontrare il Signore.

La sua vita austera nel deserto è segno di un cuore libero da ogni attaccamento terreno. Attraverso il digiuno, la preghiera e la contemplazione delle verità divine, egli si dispone a ricevere il dono più grande: la presenza di Cristo. In questa prospettiva, l’Avvento diventa un tempo privilegiato per riscoprire la penitenza come via verso la gioia. San Giovanni Battista ci insegna che non c’è vera gioia senza l’accoglienza della Verità. “Preparate la via del Signore” è il grido che risuona nel deserto, un invito pressante a disporre il cuore all’incontro con il Redentore. Questa preparazione non è un mero sforzo umano, ma una risposta alla grazia divina che ci precede. La gioia che il Battista vive non nasce da una condizione terrena, ma dalla certezza della prossimità di Dio.

Nella terza Domenica di Avvento, questa gioia trova il suo culmine liturgico: il viola penitenziale si attenua con il rosaceo, simbolo di una letizia ormai prossima, come indicato dall’introito: Gaudete in Domino semper (Fil 4,4). È la gioia di chi riconosce che il Signore è vicino, e in Lui ogni ansia o tristezza trova risposta e termine. 

San Giovanni Battista ci insegna, infine, la vera libertà del testimone. Egli non cerca gloria per sé, non teme il giudizio degli uomini, ma vive totalmente per annunciare Cristo. Questa libertà è radicata nella Verità: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete” (Gv 1,26). Il Battista non solo indica il Messia, ma invita a scoprirlo nella quotidianità, nell’umiltà di ciò che è nascosto. Per noi, questo brano è un invito a vivere l’Avvento con lo stesso spirito: nella penitenza gioiosa, che ci rende liberi di accogliere Cristo e proclamare con la vita la sua venuta.

Gaetano Masciullo

sabato 7 dicembre 2024

Maria ci mostra che il peccato originale esiste ed è stato sconfitto


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 1, 26-28.

In illo témpore: Missus est Angelus Gábriël a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Ioseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 1, 26-28.

In quel tempo, fu mandato da Dio l’angelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nazaret, a una Vergine sposata a un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, l’angelo disse: "Ave, piena di grazia: il Signore è con te. Benedetta tu fra le donne".

Nel 1854, con la costituzione apostolica Ineffabilis Deus, il papa Pio IX proclamò solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione, dichiarando infallibilmente che: “Maria, nel primo istante del suo concepimento, per singolare grazia di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale”. Questa verità di fede dogmatica, sebbene definita solennemente e infallibilmente soltanto in quell’anno, era già radicata nella Tradizione cristiana fin dai primi secoli, anche se nel tempo rischiò di essere oscurata da dottrine eterodosse. Ad esempio, gli scismatici orientali rigettarono tale verità alla fine del primo millennio, aderendo al semi-pelagianesimo, un’eresia condannata dalla Chiesa nel II Concilio di Orange nel 529.

Questo dogma importantissimo (uno dei quattro fondamentali dogmi mariani, insieme alla Maternità Divina, la Verginità Perpetua e l'Assunzione) ci insegna che Maria, unica tra tutti gli esseri umani, fu concepita senza peccato originale, il che spiega il titolo di “Immacolata”, che significa “senza macchia”. Inoltre, Maria non subì i cinque effetti del peccato originale: la corruzione fisica, la debolezza della volontà, l'oscurità dell’intelletto, la concupiscenza violenta e la morte alla grazia divina. Nel corso della sua vita, nonostante le tentazioni, Maria non contrasse mai alcun peccato personale, accumulando così meriti straordinari agli occhi di Dio. Per questo, Maria è la più alta espressione di santità, superiore perfino agli angeli, al punto che alcuni teologi la definiscono “onnipotente per grazia”.

Alcuni teologi modernisti hanno criticato il dogma dell’Immacolata, sostenendo che fosse estraneo al pensiero di diversi Dottori medievali, inclusi grandi figure come san Tommaso d’Aquino (cosa falsa, per inciso). Tuttavia, tale critica non regge all’esame storico. Già nel 1483, papa Sisto IV, con la bolla Grave nimis (4 settembre 1483, Denz. 1425-1426), condannò i teologi che negavano questa dottrina, mostrando che l’idea dell’Immacolata era parte integrante della fede cattolica ben prima di Pio IX. In questo testo si legge: "Anche se la santa Chiesa romana celebra pubblicamente in modo solenne la festa della concezione dell'incontaminata e sempre Vergine Maria, ed ha predisposto a questo riguardo un ufficio speciale e proprio, alcuni predicatori di diversi ordini (...) non si sono vergognati di affermare [il contrario]. (...) Noi dunque, (...) di Nostra propria volontà, (...) in forza dell'autorità apostolica, (...) [li] condanniamo come fals[i] ed errone[i] e del tutto estrane[i] alla verità (...). [Essi] incorrono nel delitto di eresia o in peccato mortale". 

Anche papa Alessandro VII: "è certamente antica la pietà dei fedeli verso la Beatissima Madre Vergine Maria, i quali ritengono che la sua anima, fin dal primo istante della sua creazione e della sua infusione nel corpo, per una speciale grazia e privilegio di Dio, in vista dei meriti di Gesù Cristo, suo figlio e redentore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale; e in questo senso celebrano solennemente la festa della sua concezione" (Cost. Sollicitudo omnium Ecclesiarum, 8 dicembre 1661, Denz. 2015).

Anche il Concilio di Trento, promulgando il Decreto sul peccato originale, scrive che "questo santo sinodo dichiara che non è sua intenzione comprendere (...) la beata e immacolata Vergine Maria, madre di Dio" (Paolo III, Concilio di Trento, sess. V, Decr. de peccato originali, n. 6, Denz. 1516.).

Per questa e altre ragioni, Papa Pio IX, all'interno del suo autorevole e già citato documento, ribadisce che il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima appartiene alla Tradizione apostolica; il suo culto è sempre stato favorito dai papi del passato; i papi del passato hanno proibito la dottrina contraria; la dottrina è presente nella Sacra Scrittura e nella Patristica, sia orientale sia occidentale.

Dio, dunque, prevedendo la possibile caduta dell'umanità a causa del peccato di Adamo, predestinò Maria come madre di Gesù Cristo per la redenzione del genere umano. Per questo, la ricolmò di grazia in modo singolare, preservandola da ogni macchia di peccato originale. Questa immacolatezza era necessaria affinché la Madre di Dio fosse degna del suo ruolo nell'Incarnazione. Infatti, come poteva il Figlio (immacolato) essere concepito e crescere in un grembo macchiato dal peccato, sapendo che nell'utero la materia della madre e del figlio si scambiano e l'uno prende dall'altra ciò che gli serve per crescere e per nutrirsi? Per esempio, gli ormoni della mamma penetrano nel feto, tanto che il bambino inizia a provare sentimenti simili a quelli materni. Ma Cristo non poteva subire, provare e formarsi con le emozioni violente di chi è ferito dal peccato originale. Durante la gravidanza, il feto e la madre condividono una relazione biologica profonda, caratterizzata dallo scambio di sostanze - nutrienti, ormoni e anticorpi - attraverso la placenta. Gli studi dimostrano che il feto non è solo passivo, ma interagisce con la madre in modo bidirezionale. Persino piccoli frammenti di cellule e DNA si trasferiscono bidirezionalmente tra madre e figlio. Questo significa che la madre ospita cellule fetali anche dopo la nascita e viceversa.

Quindi, anche per ragioni biologiche, e non solo teologiche, Maria doveva essere - per Cristo, con Cristo e in Cristo - esente dal peccato originale.

I Padri della Chiesa hanno interpretato le Scritture, in particolare Genesi 3,15, come una prefigurazione dell'Immacolata Concezione di Maria e della sua vittoria sul peccato. Paragonando Maria all'Arca di Noè, alla scala di Giacobbe, al roveto ardente, e ad altri simboli biblici, hanno celebrato la sua purezza e santità. Per di più, l'angelo Gabriele chiamò Maria "piena di grazia" (Lc 1, 28). I Padri della Chiesa hanno interpretato questo saluto come prova della pienezza di grazia in Maria fin dal primo istante della sua concezione. I Padri hanno spesso anche paragonato Maria ad Eva, sottolineando come Maria, a differenza di Eva che cedette al peccato, abbia sempre perseverato nella grazia, schiacciando la testa del serpente con il suo piede immacolato.

Il dogma dell’Immacolata Concezione proclamato da Pio IX nel 1854 rispondeva anche a esigenze teologiche e pastorali cruciali per il tempo (e ancora oggi) e per la salvaguardia della fede cattolica. Nel XIX secolo, alcune correnti teologiche, anticipate dai modernisti, tendevano a minimizzare o negare il peccato originale, avvicinandosi pericolosamente all’eresia pelagiana. Questa negazione minava le fondamenta della dottrina della Redenzione, insegnando implicitamente che l’uomo poteva salvarsi da solo, senza il necessario intervento della grazia divina. Il dogma dell’Immacolata Concezione si pone come baluardo contro queste derive, riaffermando il ruolo centrale della Croce di Cristo nella salvezza.

Maria stessa, pur concepita senza peccato originale, fu resa immacolata non per un proprio merito, ma “per singolare grazia di Dio” in virtù della Passione e Morte redentrice di Cristo. Questo sottolinea che ogni salvezza deriva unicamente dal sacrificio di Gesù e che persino la preservazione di Maria dal peccato originale è un dono che guarda alla Croce, come se il frutto della Redenzione fosse stato applicato anticipatamente a lei.

Il dogma proclamato da Pio IX trovò una straordinaria conferma nel 1858, quando la Madonna apparve a Bernadette Soubirous a Lourdes, presentandosi con le parole: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Questo evento soprannaturale non solo avvalorò la proclamazione dogmatica, ma contribuì a radicare profondamente questa verità nel cuore dei fedeli, mostrando il ruolo privilegiato di Maria nel piano salvifico di Dio.

Lourdes divenne così il luogo dove si manifestava la misericordia divina attraverso Maria, immacolata per grazia, e divenne uno strumento potente di evangelizzazione contro gli errori modernisti. Le innumerevoli conversioni e guarigioni legate al santuario testimoniano l’efficacia della grazia divina che opera attraverso la Vergine Maria.

Gaetano Masciullo

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13. In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce...