sabato 19 ottobre 2024

Cosa è di Cesare? Cosa è di Dio?

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 22, 15-21.
In illo témpore: Abeúntes pharisaéis, consílium iniérunt ut cáperent Iesum in sermóne. Et mittunt ei discípulos suos cum Herodiánis, dicéntes: Magister, scimus quia verax es, et viam Dei in veritáte doces, et non est tibi cura de áliquo; non enim réspicis persónam hóminum: dic ergo nobis quid tibi vidétur, licet censum dare Caésari, an non? Cógnita autem Iesus nequítia eorum, ait: Quid me tentátis, hypócritae? Osténdite mihi numísma census. At illi obtulérunt ei denarium. Et ait illis Iesus: Cuius est imágo haec, et superscríptio? Dicunt ei: Caésaris. Tunc ait illis: Réddite ergo quae sunt Caésaris, Caésari; et quae sunt Dei, Deo.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 22, 15-21.
In quel tempo, radunatisi, i farisei tennero consiglio per sorprendere Gesù nel suo parlare. Gli mandarono i loro discepoli con gli erodiani a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo la verità, e non hai riguardo per alcuno, poiché non guardi alla persona degli uomini: dicci il tuo parere: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?" Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. E Gesù disse loro: "Di chi è questa immagine e questa iscrizione?" Gli risposero: "Di Cesare". Ed allora Gesù: "Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio".

Nella XXII Domenica dopo Pentecoste, il Vangelo di Matteo ci presenta un episodio cruciale nel ministero di Gesù, in cui viene messo alla prova dai farisei e dagli erodiani riguardo al pagamento delle tasse a Cesare. Questo brano, sebbene sia spesso interpretato in chiave superficiale come un semplice invito al rispetto delle leggi civili, racchiude un significato più profondo e spirituale che merita una riflessione attenta.

I farisei e gli erodiani, uniti in una cospirazione contro Gesù, gli pongono una domanda insidiosa: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. In questo modo, cercano di intrappolarlo in una contraddizione: se risponde affermativamente, potrebbe alienare i propri seguaci e apparire come un sostenitore dell'occupazione romana; se risponde negativamente, potrebbe essere denunciato come un ribelle. Tuttavia, Gesù, nella sua infinita saggezza, risponde: “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.

Questa risposta, pur sembrando inizialmente ambigua, invita a una riflessione profonda. Il primo aspetto da sottolineare è che "dare a Cesare ciò che è di Cesare" non deve essere ridotto alla semplice questione del pagamento delle tasse, come erroneamente sostenuto da molti esegeti, antichi e contemporanei. Infatti, Cesare non ha alcun diritto su ciò che realmente appartiene a Dio. La vera essenza del messaggio di Cristo è che nulla è di Cesare, poiché tutto è di Dio. Ogni creatura, ogni bene, ogni vita appartiene e proviene dal Creatore.

In un contesto storico in cui Cesare stesso si ergeva a divinità, il richiamo di Gesù alla distinzione tra ciò che è umano e ciò che è divino assume un significato profondamente provocatorio. Il potere romano, che si arrogava il diritto di controllo su tutto, era in realtà un’illusione, perché la vera autorità è solo quella di Dio. In questo senso, la risposta di Gesù è una rivelazione: non esiste un’autonomia del potere civile che possa esimere l’uomo dal riconoscere la propria dipendenza e responsabilità verso Dio.

Inoltre, la risposta di Gesù gioca sulla restrizione mentale dei farisei e degli scribi. Questi, che dovrebbero avere una conoscenza approfondita della Legge e dei Profeti, si trovano incapaci di cogliere il significato più profondo delle parole di Cristo. La loro visione è limitata: essi non riescono a vedere oltre il proprio interesse politico e religioso. La richiesta di Gesù di “dare a Dio ciò che è di Dio” li invita a una riflessione sull’obbligo di riconoscere la sovranità divina su ogni aspetto della loro vita. Ciò implica non solo il riconoscimento della giurisdizione divina, ma anche una chiamata alla conversione e alla vera adorazione, in cui ogni gesto e ogni atto umano si pongano sotto l’autorità di Dio.

Questo brano, quindi, ci interpella direttamente. Viviamo in un’epoca in cui si tende a separare la fede dalla vita quotidiana, come se le questioni religiose dovessero rimanere estranee alle dinamiche del mondo. Ma le parole di Gesù ci ricordano che la nostra esistenza intera, ogni nostro atto e decisione, deve essere orientata verso Dio. La vera libertà e la vera dignità dell’uomo si trovano nel riconoscere il proprio posto nel piano divino, vivendo in sintonia con la Legge di Dio.

Mentre ci apprestiamo a vivere la nostra vita quotidiana, siamo chiamati a riflettere su come dare a Dio ciò che gli spetta, superando ogni forma di idolatria e di assoggettamento a poteri che vogliono farci dimenticare la nostra origine di figli di Dio. Dobbiamo riscoprire e affermare che, in ogni ambito della nostra vita, siamo chiamati a servire e onorare Dio, riconoscendo che il nostro vero Re e Signore è solo Lui. In tal modo, siamo già orientati (anche liturgicamente) alla solennità di Cristo Re dell'Universo.

Gaetano Masciullo

Nessun commento:

Posta un commento

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13. In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce...