sabato 12 ottobre 2024

Il Peccato, le Conseguenze e il Perdono


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 18, 23-35

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: Assimilátum est regnum cœlórum hómini regi, qui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum cœpísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret, unde rédderet, iussit eum dóminus eius venúmdari et uxórem eius et fílios et ómnia, quæ habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Misértus autem dóminus servi illíus, dimísit eum et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: Redde, quod debes. Et prócidens consérvus eius, rogábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem, donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi eius, quæ fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quæ facta fúerant. Tunc vocávit illum dóminus suus: et ait illi: Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum? Et irátus dóminus eius, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus cœléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 18, 23-35

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. E avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma non avendo costui modo di pagare, il padrone comandò che fosse venduto lui, sua moglie, i figli e quanto aveva, e così fosse saldato il debito. Il servo, però, gettatosi ai suoi piedi, lo supplicava: Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto. Mosso a pietà, il padrone lo liberò, condonandogli il debito. Ma il servo, partito da lì, trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento denari: e, presolo per la gola, lo strozzava dicendo: Pagami quello che devi. E il compagno, prostratosi ai suoi piedi, lo supplicava: Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto. Ma quegli non volle, e lo fece mettere in prigione fino a quanto lo avesse soddisfatto. Ora, avendo gli altri compagni veduto tal fatto, se ne attristarono grandemente e andarono a riferire al padrone tutto quello che era avvenuto. Questi allora lo chiamò a sé e gli disse: Servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai pregato: non dovevi dunque anche tu aver pietà di un tuo compagno, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato, il padrone lo diede in mano ai carnefici fino a quando non avesse pagato tutto il debito. Lo stesso farà con voi il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello".

Il brano di Matteo 18, 23-35 ci offre una profonda riflessione circa il peccato, le conseguenze delle nostre azioni, e il perdono. La parabola del re che condona un debito incolmabile, ma punisce il suo servo per la mancanza di misericordia verso un debitore di minor valore, ci mette di fronte a una verità scomoda ma necessaria: il perdono ricevuto deve essere trasmesso. In un tempo in cui si tende a minimizzare il peccato, il messaggio di Gesù emerge come una forte chiamata alla responsabilità e alla giustizia.

Il re che decide di fare i conti con i suoi servi non rappresenta un Dio freddo e distante, ma un Padre giusto e misericordioso, il quale desidera che i suoi figli comprendano la gravità delle proprie azioni e che si convertano. L'immagine del re che si accinge a regolare i conti è emblematica: non possiamo pensare a Dio come a un'autorità che ignora o minimizza il male, ma come a colui che si prende cura della propria creazione e desidera che ognuno si assuma la responsabilità delle proprie scelte, per divenire davvero perfetti e liberi come egli è. Ogni peccato porta con sè precise conseguenze, non solo per chi lo commette, ma anche per coloro che vi sono intorno. Ogni nostro atto, dunque, ha un impatto e ciò vale tanto per le azioni buone quanto per quelle cattive.

Quando il servo, oppresso da un debito impossibile da ripagare, implora misericordia, ottiene il perdono del re. Questo gesto di grazia è un riflesso della misericordia divina: Dio, in Cristo, offre a ciascuno di noi una seconda possibilità, una via di uscita dal baratro del peccato. Ricordiamo che tale perdono viene amministrato in maniera sublime attraverso quelli che la Chiesa definisce "sacramenti dei morti", cioé il Battesimo e la Confessione, quei sacramenti cioé che donano al credente la prima grazia. Ma la parabola non finisce qui. Il servo perdonato, quasi avesse una memoria corta, certamente con cuore indurito e ingrato, si dimostra incapace di estendere lo stesso perdono al proprio amico. Qui risiede il nodo centrale della questione: ricevere il perdono di Dio implica un cambiamento profondo nel nostro modo di relazionarci con gli altri. Per questo motivo, all'interno del Padre nostro, modello di ogni preghiera, Gesù ci insegna a dire: "Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". Secondo l'insegnamento tradizionale dei Padri della Chiesa, questa richiesta del Padre nostro corrisponde al dono del Consiglio: attraverso il perdono dei falli altrui fatti a nostro danno, otterremo misericordia da Dio.

Il debito di cento denari, che il servo non è disposto a perdonare, ci fa riflettere su quanto spesso siamo intransigenti verso i peccati altrui, mentre tendiamo a minimizzare le nostre colpe. È facile, e quasi automatico, mettere in evidenza le mancanze altrui, dimenticando le innumerevoli volte in cui abbiamo sperimentato la grazia di Dio: "Perché guardi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello e ignori la trave che è nel tuo occhio?". Questa disparità di trattamento è ciò che Gesù condanna con forza. Egli ci invita a riflettere sulla nostra attitudine verso il perdono: siamo disposti a perdonare come siamo stati perdonati?

In un'epoca in cui il concetto di giustizia è spesso confuso con quello di vendetta o risentimento, la parabola esposta da san Matteo ci riporta al cuore della questione. La misericordia di Dio è illimitata, ma non per questo priva di condizioni. Non possiamo dimenticare che il perdono divino è stato concesso a caro prezzo, cioé con l'effusione del sangue sulla croce. Esso è anche un invito a vivere in una nuova dimensione, a diventare canali di misericordia verso i nostri fratelli.

La parte finale della parabola, in cui il servo viene "consegnato ai carnefici" per non aver perdonato, rivela che ci sono conseguenze gravi per chi sceglie di non esercitare la misericordia. Questo non deve essere interpretato come una minaccia, ma come un avvertimento: la chiusura del cuore al perdono ci allontana dalla vita vera, quella che Dio desidera per noi. Vivere nel risentimento e nella mancanza di perdono ci conduce a una vita di prigionia spirituale in questa vita, ma anche nell'altra. La realtà dell'inferno, cioé della dannazione eterna, non può essere sminuita né messa sotto silenzio.

Dobbiamo allora corrispondere all'amore e alla misericordia di Dio vivendo secondo il principio indicatoci dal Signore Gesù: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Matteo 5, 7). Quindi, mentre contempliamo la parabola, chiediamoci: stiamo vivendo questa beatitudine? Siamo pronti a perdonare come siamo stati perdonati? La nostra risposta a queste domande determinerà in maniera radicale la nostra vita spirituale e la nostra relazione con Dio e con il prossimo.

Gaetano Masciullo

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