sabato 23 settembre 2023

L'esame dei Farisei e l'esame di Gesù

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 22, 34-46

In illo témpore: Accessérunt ad Iesum pharisǽi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Iesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisǽis, interrogávit eos Iesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cuius fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius eius est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogáre.

Séguito +︎ del S. Vangelo secondo Matteo 22, 34-46

In quel tempo, i Farisei si avvicinarono a Gesù, e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: "Maestro, qual è il grande comandamento della legge?" Gesù gli disse: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due comandamenti è racchiusa tutta la Legge e i Profeti". Ed essendo i Farisei radunati insieme, Gesù domandò loro: "Che cosa vi pare del Cristo? Di chi è figlio?" Gli risposero: "Di Davide". Egli disse loro: "Com’è allora che Davide in spirito lo chiama Signore, dicendo: Dice il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra, fino a che io non metta i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, com’è egli suo figlio?" E nessuno sapeva rispondergli; né da quel momento in poi vi fu chi ardisse interrogarlo.

Nella sequenza di vangelo proclamata in occasione della XVII Domenica dopo Pentecoste, assistiamo a due scene di esame. Nella prima scena, i farisei interrogano Gesù "per tentarlo", cioè per testare che la sua dottrina sia effettivamente conforme alla Rivelazione di Dio. Nella seconda scena, invece, il rapporto si inverte, ed è Gesù - una volta superato il primo esame - a interrogare ed esaminare i farisei, i quali però non riescono a superare la prova del Signore.

Andiamo con ordine. Nell'esame condotto dai farisei a Gesù, la domanda è di importanza capitale e riguarda il massimo comandamento, cioè il più importanti. La risposta di Gesù, che riprende quanto scritto nell'Antico Testamento, è puntuale, ma aggiunge qualcosa che funge da insegnamento per gli stessi farisei. Egli dice anzitutto che bisogna amare Dio "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente". Questa tripartizione dell'uomo corrisponde, per utilizzare un termine a noi più prossimo, alla volontà, ai sentimenti e all'intelligenza. Queste tre parti dell'uomo sono la materia su cui si applicano le tre virtù teologali: la fede infatti si applica sull'intelligenza, la speranza sui sentimenti, e la carità sulla volontà; ma se san Paolo li nomina in ordine generativo (nel senso che la fede genera la speranza, e la fede spira insieme alla speranza la carità), il Signore li nomina implicitamente in ordine di importanza: anche san Paolo poi dirà che la virtù più importante è la carità.

Il Signore Gesù aggiunge che il comandamento immediatamente successivo "è simile" - si badi bene: non uguale - al primo: "ama il prossimo tuo come te stesso". In questa frase sono condensati tutti i precetti del Decalogo che sono rivolti a disciplinare il rapporto e il rispetto degli altri uomini: onorare i superiori, non uccidere, non fornicare, non rubare, non mentire, non invidiare. E tuttavia, il Signore dice che il prossimo va amato come se stessi, mentre Dio va amato con tutto se stessi. I due comandamenti più grandi sono simili, dunque, ma allo stesso tempo considerevolmente diversi nella misura. Oggi si tende ad anteporre la filantropia alla "filotea" (l'amore verso Dio), ma non è questa la direttiva evangelica.

L'esame che Gesù rivolge ai farisei è collegabile a quello che i farisei avevano rivolto a lui. Infatti, il Signore rivolge ai farisei una domanda molto particolare. Diremmo oggi: una domanda di esegesi - cioè di interpretazione - della Scrittura. 

Il riferimento di Gesù è al Salmo 109: "Oracolo del Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi»". Se il Messia, cioè il Cristo, è figlio di Davide, cioè discendente di Davide, allora perché lo stesso Davide chiama il proprio figlio "Signore"? La cosa dovrebbe suscitare un doppio scandalo nella mentalità dei farisei. Primo, perché è il padre ad essere signore del figlio, non il contrario; secondo, perché quel preciso titolo di "Signore" (in ebraico: Adonai) si può dare solo a Dio. I farisei non sanno rispondere alle domande di Gesù e non superano l'esame. Ma il Signore voleva trasmettere un insegnamento ben preciso: il Cristo gode della figliolanza divina, gode della stessa natura divina del Padre.

Se questo è vero, quel comandamento che impone di amare Dio con tutto se stessi vale anche per l'amore verso Cristo. Non è un caso dunque che nello stesso vangelo secondo Matteo, troviamo in bocca a Gesù questa frase: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me" (Mt 10, 37). Solo l'amore verso Dio può e deve superare l'amore verso le creature. In questo modo, dunque, Gesù afferma ancora una volta la propria natura divina, anche se in maniera velata e quasi segreta. Alcuni farisei forse bene compresero quello che Gesù sottintendeva, e anziché aprire gli occhi indurirono ancora di più il proprio cuore. Forse pensarono anche a queste parole di Gesù quando, mentre lo processavano per ucciderlo, lo accusarono di aver detto di essere Figlio di Dio.

Gaetano Masciullo

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