sabato 8 maggio 2021

Quinta Domenica dopo la Pasqua: Gesù promette ancora l'Ascensione e la Pentecoste

 


Il vangelo proclamato nella forma liturgica straordinaria del rito romano si pone ancora in continuità con le promesse dell'Ascensione e della Pentecoste fatte da Gesù. Siamo ormai nella settimana dell'Ascensione, che festeggeremo giovedì 13 maggio, e l'attenzione della Chiesa si volge tutta al fine ultimo della salita del Signore al Padre, ossia la promessa dello Spirito Santo, che nel Battesimo si estende a tutti i credenti e trova compimento nel Sacramento della Confermazione.

Tante volte abbiamo ascoltato la promessa di Gesù: «Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, egli ve lo concederà» (Gv 16. 23), ma forse di rado abbiamo riflettuto sul fatto che la "cosa" che Egli vuole che noi chiediamo, prima di qualunque altra cosa, è che lo Spirito Santo venga ad abitare nei nostri cuori, il che concretamente significa vivere in grazia e orientare la nostra volontà a quella divina, per essere davvero felici sin da questa vita. Ricevere lo Spirito Santo significa lasciar fruttificare le virtù teologali (fede, speranza, carità), ricevute come in germe da Dio nel Battesimo, e significa anche lasciar fruttificare i suoi sette santi doni, cioè quelle sette virtù soprannaturali - sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, timor di Dio, scienza e pietà - che il Signore ci concede in sostegno delle sette virtù. 

Il ministero terreno di Gesù Cristo ha visto il proprio apice nel celebre discorso della montagna (cfr. Mt cc. 5-7), il quale parte proprio dalla massima preoccupazione spirituale di Gesù per noi, ossia la nostra santificazione, espressa dalle otto beatitutidini, le quali - com'è unanime il giudizio dei Padri e dei Dottori - rappresentano gli effetti dei sette doni dello Spirito Santo. Anche la preghiera del Pater noster insegnataci da Gesù stesso (cfr. Mt 6, 9-13) è anzitutto un elenco di sette richieste al Padre, con le quali richiediamo appunto i sette doni dello Spirito Santo. Sotto quest'ottica, è più facile dunque comprendere l'intenzione ultima di Nostro Signore.

«Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia completa» (Gv 16, 23-30). Non abbiamo chiesto nulla, cioè nulla che valga davvero la pena di essere chiesta: lo Spirito Santo e i suoi sette doni. Tutto il resto, anche i bisogni materiali, vengono di conseguenza, perché Dio è Provvidenza. Ma l'inabitazione dello Spirito Santo è necessaria per la santità, "gioia completa". La santificazione è un processo e, come tale, richiede tempo. Il Signore aveva parlato fino a quel momento ai suoi apostoli in parabole, il cui fine - al contrario di quanto si sente spesso dire - non era certo quello di far comprendere a tutti e in modo semplice nozioni più o meno difficili, ma al contrario, era quello di rendere in un certo senso ermetica la dottrina, non facilmente accessibile, proprio perché c'è bisogno di un cammino per arrivare a conoscere come Dio conosce: «Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere» (Is 6, 9-10). C'è bisogno dell'inabitazione dello Spirito Santo per comprendere pienamente: «In quel giorno» allora, cioè nel "giorno della santità", non ci sarà più bisogno di chiedere, perché quel giorno - come commentano i santi Giovanni Crisostomo e Tommaso d'Aquino - è il giorno di Pentecoste. 

Quando si vive nella grazia, non si ha più bisogno di mediatori umani, ma è Dio stesso ad ascoltarci. Per queste ragioni, Cristo dice: «In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che io pregherò il Padre per voi», cioé Gesù Cristo non pregherà il Padre in quanto vero uomo e mediatore per gli uomini, ma gli apostoli - Chiesa nascente - ameranno Dio come Padre, non solo come Signore, e questa familiarità otterrà tutto in sovrabbondanza. San Tommaso d'Aquino, commentando questo brano di san Giovanni evangelista, commenta il concetto di familiarità. Si ha familiarità verso qualcuno quando spontaneamente si è propensi a chiedergli qualcosa. La familiarità è reciproca: il Padre si fida degli apostoli (Gv 16, 27: «il Padre infatti vi ama perché avete creduto in me»), così come il Padre si fida del Figlio (Gv 16, 28a: «Uscii dal Padre e venni nel mondo») e il Figlio si fida del Padre (Gv 16, 28b: «ora lascio il mondo e torno al Padre»).

La somma manifestazione di affetto degli apostoli verso Cristo è la confessione di fede. E tale confessione procede da tre aspetti. Il primo aspetto è la chiarezza della dottrina: «Ecco che ora parli apertamente e senza parabole» (Gv 16, 29). Infatti, una dottrina è accolta anzitutto se è comprensibile dall'intelletto naturale dell'uomo e la fede cattolica è assolutamente ragionevole. Il secondo aspetto è la certezza della dottrina ricevuta: «Adesso conosciamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno ti interroghi» (Gv 16, 30a). Se si ritiene una tale dottrina di origine divina, non possiamo dubitare della verità di essa, perché Dio sa tutto e non può mentire. In questo versetto, notiamo una apparente contraddizione: infatti, chi sa è colui che non ha bisogno di interrogare, non colui che non ha bisogno di essere interrogato. Eppure qui gli apostoli dicono: "non hai bisogno che alcuno ti interroghi". Si tratta in realtà di una confessione della natura assolutamente beata del Figlio, in quanto Dio: la necessità della preghiera è infatti dalla parte nostra, non dalla parte di Cristo. Infine, il terzo e ultimo aspetto è quello della consapevolezza dell'origine divina della dottrina, cioè della necessità che Dio riveli quella parte di verità che l'intelletto da solo non può raggiungere: «crediamo che tu sei uscito da Dio» (Gv 16, 30b).

Gaetano Masciullo

Nessun commento:

Posta un commento

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13. In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce...