sabato 1 maggio 2021

Quarta Domenica dopo la Pasqua: Il Signore promette l'Ascensione e la Pentecoste




Il vangelo proclamato dalla Chiesa nella IV Domenica dopo Pasqua, secondo il calendario seguìto nella celebrazione in forma straordinaria del rito romano, è in diretta continuazione con quanto proclamato domenica scorsa, ossia la promessa dell’Ascensione. Riviviamo con gli apostoli i quaranta giorni che separano la Resurrezione del Signore dalla sua salita al Padre. I vangeli non ci parlano, se non sommariamente, di ciò che avvenne in quei giorni, ma la cosa non deve sorprenderci. Sappiamo dalla Tradizione cattolica (che è depositum fidei tanto quanto la Scrittura) che è in questo tempo che il Signore ha indicato agli apostoli, futuri primi vescovi della Chiesa universale, le “linee guida” – per così dire – della celebrazione liturgica.

È questa la prima dimensione sulla quale dobbiamo meditare in questo periodo pasquale che ci separa dall’Ascensione: non a caso, anche nell’Ufficio Divino, la Chiesa separa il tempo di Pasqua considerando questo spartiacque. Uno spunto utile di meditazione può essere il seguente. La Bibbia – sia Antico sia Nuovo Testamento – non fu scritta innanzitutto come resoconto storico o come testo di preghiera personale: tutte concezioni che sono andate diffondendosi nell’età moderna, dopo Lutero. La Bibbia nasce come testo liturgico, da proclamare nelle assemblee. E questo risulta evidente, se pensiamo che, anche all’epoca di Cristo, la maggioranza del popolo era analfabeta e non avrebbe potuto giovare della lettura della Scrittura, se non ascoltandola dai presbiteri. Tra i Dodici, probabilmente solo san Giovanni sapeva leggere e scrivere in maniera fluente, in quanto giovane e promettente membro della casta sacerdotale ebraica. Questo spiega anche perché i primi cristiani avvertirono solo tardivamente l’esigenza di mettere per iscritto i vangeli, la cui stesura fu concepita comunque per un fine declamatorio. Le lettere paoline, ad esempio, cronologicamente sono più antiche dei vangeli ed erano lette nelle assemblee, prima dello “spezzare del pane”, cioè prima della celebrazione eucaristica.

Un secondo spunto di meditazione riguarda più da vicino il testo del Vangelo proclamato oggi. Quando il Signore promette l’Ascensione agli Apostoli, questa promessa viene percepita da loro come motivo di tristezza, anziché di gioia, tanto che Gesù appare stupito: «Vado a Colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore!» (Gv 16, 5b-6). In questo modo, Gesù ci dice due cose. La prima è che dobbiamo sempre meditare, interrogarci su tutto ciò che Egli ci riferisce nella Scrittura. La seconda è che la lontananza corporea di Cristo non deve essere per noi motivo di sofferenza, ma di gioia. Scrive san Tommaso d’Aquino: «Quantunque la presenza corporale di Cristo fosse stata sottratta ai fedeli mediante l’Ascensione, tuttavia è sempre accanto ai fedeli la presenza della sua divinità, secondo ciò che egli stesso dice in Matteo [28, 20]: “Ecco: io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine dei secoli”» (Cfr. S.Th. III, q. 57, a. 1, ad 3).

Gesù dunque spiega il significato dell’Ascensione, nonostante il turbamento degli Apostoli. «È necessario per voi – dice il Signore – che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma, quando me ne sarò andato, io ve lo manderò». Necessario per voi, cioè conveniente, dove la convenienza è una necessità di tipo pedagogico: l’uomo infatti ha bisogno di segni, percepibili dai sensi, per comprendere le verità divine, non percepibili dai sensi. In altre parole: la vista e la conoscenza dell’Ascensione serve a preparare le anime dei cristiani alla Pentecoste. Gli apostoli non capirono immediatamente questa necessità e anche noi la capiremo solo quando festeggeremo la Pentecoste.

Alla promessa dell’Ascensione si associa quindi la promessa della Pentecoste. Lo Spirito Santo discenderà per convincere il mondo «riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio» (Gv 16,8). L’affetto umano degli apostoli per Gesù è insufficiente, se non si trasforma in carità, virtù che solo lo Spirito Santo può donare. E la carità si estrinseca anzitutto nel convincere il mondo riguardo al peccato, «per il fatto che non credono in me» (Gv 16, 9). Come spiega san Tommaso d’Aquino: «Egli riprende solo il peccato di infedeltà, perché tutti gli altri peccati sono rimossi attraverso la fede» (In Ioannem, l. 3). È necessario dunque instillare negli uomini e nelle donne la fede cattolica per avviare in essi il processo di santificazione. O in altre parole, non si può essere santi se non da cristiani. In secondo luogo, questa carità divina si estrinseca nel convincere il mondo riguardo alla giustizia, «per il fatto che io vado al Padre e non mi vedrete più» (Gv 16, 10). Infatti, è giusto che Colui che è incorruttibile in divinità, anima e corpo non sia in questo mondo, che è luogo della corruttibilità, ma in Cielo, luogo dell’incorruttibilità. In terzo e ultimo luogo, questa carità divina si estrinseca nel convincere il mondo riguardo al giudizio, «per il fatto che il principe di questo mondo è già condannato» (Gv 16, 11). Il principe di questo mondo, cioè Satana, è già stato sconfitto dall’eternità. San Tommaso d’Aquino scrive che il Signore dice ciò «affinché rimuova le scuse degli uomini, i quali si scusano dei peccati attraverso la tentazione del diavolo; quasi a dire: questi uomini non possono essere scusati, perché il diavolo è stato espulso dai cuori dei fedeli per la grazia, per la fede in Cristo e per lo Spirito Santo, cosicché il diavolo non possa tentare interiormente come [faceva] prima [del Battesimo], ma solo esteriormente con un’attività permessa [da Dio]; e in questo modo possono resistere coloro che vogliono aderire a Cristo» (Cfr. In Ioannem l. 3).

Gaetano Masciullo 

 

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