sabato 25 gennaio 2025

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13.

In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis potes me mundáre. Et exténdens Iesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra eius. Et ait illi Iesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod praecépit Móyses, in testimónium illis. Cum áutem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum, et dicens: Dómine, puer meus iacet in domo paralyticus, et male torquétur. Et ait illi Iesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites et dico huic: Vade, et vadit; et álii: veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Áudiens autem Iesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen dico vobis, non invéni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham, et Isaac, et Iacob in regno coelórum: fílii autem regni eiiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus, et stridor déntium. Et dixit Iesus centurióni: Vade, et sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 8, 1-13.

In quel tempo, quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. Ed ecco un lebbroso, appena giunto, lo adorava, dicendo: "Signore, se vuoi, puoi purificarmi". E Gesù, stendendo la mano, lo toccò, dicendo: "Lo voglio. Sii purificato". E subito la sua lebbra scomparve. Poi Gesù gli disse: "Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro". Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: "Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente". Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò". Ma il centurione riprese: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa". All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti". E Gesù disse al centurione: "Va', e sia fatto secondo la tua fede". In quell'istante il servo guarì.

Nel Vangelo odierno, si narrano due eventi miracolosi di guarigione, distinti ma intimamente connessi nel loro significato spirituale, tanto da essere proclamati insieme dalla Chiesa nella stessa liturgia. Il primo episodio riguarda un lebbroso completamente sanato da Gesù. L’Evangelista descrive il lebbroso che “adorava” il Signore, segno che quest’uomo, nonostante la grave malattia che lo riduceva a una condizione di estrema sofferenza fisica e umana, aveva riconosciuto in Gesù il Messia promesso, Dio stesso incarnato. Nel contesto della cultura ebraica, dove solo Dio poteva essere adorato, questo gesto rivela una fede illuminata da una grazia speciale.

La preghiera del lebbroso è un atto di fiducia e abbandono: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”. Egli non si rivolge a Gesù semplicemente come a un maestro ("Rabbì”), ma come a Dio (“Adonai”). La risposta di Gesù è piena di autorità divina: “Lo voglio: sii purificato”. L’umile sottomissione del lebbroso si incontra con la volontà onnipotente di Cristo.

La Chiesa vede in questa guarigione storica un significato simbolico: il lebbroso rappresenta Israele, piagato dal peccato, in particolare dalla superbia e dall’invidia, che avevano accecato gli occhi dei farisei e degli scribi, impedendo loro di riconoscere e adorare Gesù come vero Dio. Tuttavia, Gesù ordina al lebbroso di mantenere riservatezza e di attenersi alla Legge mosaica: “Va’, mostrati ai sacerdoti e offri quanto prescritto da Mosè, affinché serva loro da testimonianza”. Questo comando richiama le prescrizioni di Levitico (14, 1-32) sui sacrifici da offrire per la purificazione, un rito riservato ai sacerdoti.

Con questo gesto, Gesù comunica due verità fondamentali. La prima è il carattere sacerdotale della redenzione: Cristo, sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, offre se stesso come sacrificio, non con il sangue di animali, ma con il proprio sangue, per redimere l’umanità dalla lebbra del peccato. La seconda è una testimonianza per i sacerdoti del Tempio, che avrebbero dovuto riconoscere nella guarigione e nelle parole del lebbroso la natura divina di Gesù. Tuttavia, molti di loro, per invidia, rifiutarono di accettarlo e adorarlo.

A questo primo miracolo si collega il secondo, quello del servo paralitico del centurione romano. Se da un lato le autorità ebraiche mancavano di fede, dall’altro, un pagano dimostra una fede straordinaria. Gesù, colpito dalla sua fiducia, esclama: “In Israele non ho trovato una fede così grande”. Questo episodio evidenzia che la fede non è un semplice sentimento, ma una virtù soprannaturale infusa da Dio, che implica l’adesione dell’intelletto alle verità rivelate. San Tommaso d’Aquino spiega che la fede può essere esplicita, quando si conoscono e si accettano le verità rivelate, oppure implicita, quando si crede in Dio e nella sua provvidenza senza conoscere pienamente le verità di fede rivelate e particolari. 

Il centurione possedeva questa fede implicita: pur non avendo conoscenza diretta della rivelazione, egli confidava nell’onnipotenza di Dio e nel potere di Gesù. Cristo, lamentandosi della poca fede di Israele, denuncia la cecità delle autorità religiose, che avrebbero dovuto possedere una fede esplicita nel Messia. Eppure, la fede implicita del centurione pagano supera quella esplicita dei sacerdoti ebrei.

Questo paradosso prefigura la Chiesa cattolica e la Nuova Alleanza, aperta a tutti gli uomini di buona volontà: “Molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”. La salvezza non è più un privilegio esclusivo di Israele, ma un dono offerto all’umanità intera, chiamata a partecipare alla fede e alla redenzione portata da Cristo.

Gaetano Masciullo

sabato 18 gennaio 2025

Maria come mediatrice: perché il primo miracolo di Gesù passa da sua madre


Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 2, 1-11.

In illo témpore: Núptiae factae sunt in Cana Galilaéae: et erat mater Iesu ibi. Vocátus est áutem et Iesus et discípuli eius ad núptias. Et deficiénte vino, dicit mater Iesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Iesus: Quid mihi et tibi est, múlier? nondum venit hora mea. Dicit mater eius minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant áutem ibi lapídeae hydriae sex pósitae secúndum purificatiónem Iudaeórum, capiéntes síngulae metrétas binas vel ternas. Dicit eis Iesus: Impléte hydrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Iesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut áutem gustávit architriclínus aquam vinum factam, et non sciébat unde esset, minístri áutem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est: tu áutem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Iesus in Cana Galilaéae: et manifestávit glóriam suam et credidérunt in eum discípuli eius.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11.

In quel tempo, vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e la madre di Gesù si trovava lì. Alle nozze fu invitato, dunque, anche Gesù e i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli dice: "Non hanno vino". E Gesù le dice: "Che cosa c'è tra me e te, donna? La mia ora non è ancora arrivata". Dice sua madre ai servi: "Qualunque cosa vi avrà detto, fatela". Ora, c'erano in quel luogo sei giare di pietra, poste a servizio della purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù dice loro: "Riempite le giare di acqua". E le riempirono fino all’orlo. E Gesù dice loro: "Ora attingete e portate al maestro di tavola". E ne portarono. Quando il maestro di tavola assaggiò l'acqua diventata vino, non sapeva da dove venisse, ma i servi che avevano attinto l'acqua lo sapevano. Il maestro di tavola chiama lo sposo e gli dice: "Chiunque serve prima il vino buono, e quando sono inebriati, allora serve quello peggiore; ma tu, al contrario, hai conservato il vino buono fino ad ora". Gesù fece questo primo segno in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.

Il racconto delle nozze di Cana, riportato da san Giovanni apostolo ed evangelista, ci introduce al primo segno pubblico di Gesù, un termine che Giovanni sceglie accuratamente.  Nel contesto giovanneo, il termine segno assume una valenza teologica precisa, indicante un evento che non solo rivela l'identità di Gesù, ma invita i testimoni a una risposta. Non è un semplice miracolo, ma un segno, ossia un atto che rimanda a una realtà più alta e nascosta: la natura divina di Cristo. Siamo di fronte all'ennesima epifania del Signore. L’evangelista sottolinea, infatti, che questo segno servì a manifestare la gloria di Gesù, ma la gloria è un attributo proprio di Dio, che indica la sua maestà e regalità. San Tommaso d’Aquino definisce la gloria come l’evidenza della maestà divina. Magnificare Dio, rendere maggiore la gloria di Dio, significa concretamente evangelizzare: far conoscere al mondo che Dio esiste, provvede e salva. L'aumento della gloria di Dio è quindi un obiettivo supremo per noi cristiani: più uomini conoscono Dio, più la sua gloria risplende sulla terra.

Questo primo segno avviene in un contesto altamente simbolico, quello delle nozze. Nel linguaggio biblico, il matrimonio è l'immagine dell’unione mistica tra Dio e l’umanità. La Chiesa stessa è descritta come la Sposa di Cristo, e l’Eucaristia ne è il banchetto nuziale quotidiano. Quale luogo migliore per il primo segno pubblico di Gesù? Il nome del villaggio, Cana, che significa "acquisto", ci offre un ulteriore spunto di riflessione: l’umanità, decaduta a causa del peccato originale, non può riacquistare la grazia perduta. Solo Cristo, attraverso il sacrificio della croce, può compiere questo riscatto e ridonare la grazia divina.

Un elemento cruciale è, in questa pagina di vangelo, l’intercessione di Maria. Durante il banchetto, il vino finisce — simbolo biblico della grazia divina, che dà gioia e rende vivo il rapporto di amicizia tra Dio e l’uomo. Senza la grazia, l’uomo cade in uno stato di mera creaturalità, perde la "somiglianza di Dio", diviene incapace di elevarsi al di sopra della sua condizione materiale. Maria, attenta osservatrice dei bisogni umani, si accorge della mancanza di vino, cioé dell'assenza della grazia divina nell'umanità, della quale lei invece è ricolma, come rivelò l'Angelo al momento dell'Incarnazione. 

Con cuore materno, ella intercede presso suo Figlio. In questo modo, l'evangelista sottolinea il ruolo unico e prezioso di Maria come mediatrice tra l’umanità e Cristo. Maria non agisce per imporre, ma per indicare con dolce fermezza la necessità di un intervento divino, prefigurando così la sua continua intercessione nella storia della salvezza, nella storia della Chiesa. Qui emerge il ruolo unico di Maria nell’economia della salvezza: certo non è lei la fonte della grazia, che proviene esclusivamente da Cristo, ma è la mediatrice che supplica e intercede per l’umanità. 

La risposta di Gesù, "Cosa c'è tra me e te, donna?", è spesso fraintesa. Non è una risposta sgarbata, ma un invito che Gesù rivolge a Maria per riflettere, per meditare sul suo ruolo. Come già avvenuto in altri passaggi dei vangeli, Maria è chiamata continuamente a crescere e meditare sul proprio ruolo nella Chiesa. Il termie donna rimanda direttamente alla profezia contenuta in Genesi 3,15, dove Dio annuncia che la donna e la sua discendenza schiacceranno la testa del serpente. In questo modo, Gesù rivela a Maria che ella ha un ruolo privilegiato come corredentrice, un ruolo subordinato a quello di Cristo, ma essenziale nel piano salvifico.

Significativa è anche l’obbedienza di Maria, che comprende, sa bene che la risposta di Gesù non è da intendere in senso sgarbato, e infatti invita i servi a "fare tutto ciò che Egli vi dirà". Questo gesto sottolinea la fede incrollabile di Maria e la sua scienza infusa soprannaturalmente. Se la risposta di Cristo fosse da intendere in senso burbero, come intendono i protestanti per sminuire il ruolo di Maria, allora Gesù si sarebbe coerentemente voltato dall'altra parte. Avrebbe risposto a Maria: "Fatti i fatti tuoi". Maria, invece, non intende così la risposta di Gesù, cioé come un riprovero, anzi prontamente dice ai servi: "Fate ciò che vi dirà". Anche l’affermazione di Gesù, "La mia ora non è ancora venuta", è cruciale: l’ora si riferisce al momento della sua Passione, quando offrirà se stesso come sacrificio redentore. Il miracolo di Cana, dunque, rimanda ancora una volta al sacrificio della croce e alla restaurazione della grazia.

Due altri elementi molto simbolici sono i servi e le sei giare di pietra. I servi rappresentano i ministri di Dio, in particolare i sacerdoti, chiamati a obbedire e cooperare alla distribuzione della grazia divina. Le giare, usate per la purificazione rituale, richiamano il rito prescritto dalla Legge mosaica, che prevedeva l’uso di acqua per la purificazione dei peccati e l’accesso alla comunione con Dio (cfr. Esodo 30,17-21; Levitico 14). Simboleggiano il passaggio dalla Legge antica alla Legge nuova: dalla purificazione esteriore del corpo alla purificazione interiore dell'intelletto e della volontà, resa possibile dal sangue di Cristo. Il vino — qui da intendere dunque anche in senso eucaristico — diventa il segno della nuova alleanza, dove la grazia non è solo restituita, ma abbondantemente riversata sull'uomo. Le giare sono non a caso di pietra, simbolo biblico della fortezza e della stabilità, un elemento che richiama in maniera diretta la Chiesa, fondata sulla roccia di Pietro e sulla verità immutabile di Cristo.

Le giare, inoltre, sono in numero di sei, che biblicamente è il numero imperfetto che rappresenta l’umanità ferita dal peccato. Il gesto di riempirle d’acqua fino all’orlo simboleggia la grazia che coinvolge, assorbe l'intera natura dell'uomo. 

Quando il maestro di tavola, che non conosce la provenienza del vino, lo assaggia e lo trova migliore del primo, vediamo un’immagine di Israele, il popolo eletto, che nel corso della sua storia non comprende pienamente l’origine della salvezza, ma ne riconosce la bontà. Elogiando lo sposo, il maestro di tavola inconsapevolmente rende grazie a Cristo, il vero sposo dell’umanità redenta, della Chiesa.

Infine, la frase finale del maestro di tavola contiene un insegnamento fondamentale: Dio agisce in modo opposto rispetto al mondo. Nella vita pratica, questo si traduce nella necessità per ciascuno di noi di accogliere con fede e pazienza le difficoltà, riconoscendo che spesso esse sono strumenti divini per maturare spiritualmente, purificarci dai nostri peccati, e avvicinarci così a Dio. Dove il mondo cerca di evitare la sofferenza a ogni costo, la logica divina trasforma le croci quotidiane in opportunità di grazia e di gioia eterna. Se il mondo offre prima il piacere e poi la desolazione, Dio permette inizialmente la sofferenza e la croce, ma dona infine la vera gioia che non tramonta. Il segno di Cana, quindi, non è solo una manifestazione della divinità di Cristo, ma un richiamo alla logica del Vangelo: dalla croce alla gloria, dalla mancanza alla pienezza. Giovanni conclude dicendo che i discepoli credettero in lui: questo è l’obiettivo di ogni segno, condurre alla fede e alla conoscenza della gloria di Dio.

Gaetano Masciullo

sabato 11 gennaio 2025

Ciò che il Ritrovamento di Gesù nel Tempio ci dice della Croce

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 2, 42-52.

Cum factus esset Iesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Ierosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Iesus in Ierúsalem, et non cognovérunt paréntes eius. Exstimántes áutem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Ierúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos, et interrogántem eos. Stupébant áutem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis eius. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit mater eius ad illum: Fíli, quid fecísti nobis sic? Ecce pater tuus, et ego doléntes quaerebámus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quaerebátis? Nesciebátis quia in his, quae Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et mater eius conservábat ómnia verba haec in corde suo. Et Iesus proficiébat sapiéntia, et aetáte, et grátia, apud Deum, et hómines.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 2, 42-52.

Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che, dopo tre giorni, lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori e li ascoltava e li interrogava. Tutti coloro che lo ascoltavano si stupivano della sua prudenza e delle sue risposte. E vedendolo, ne furono meravigliati. E sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco che tuo padre e io, addolorati, ti cercavamo". Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che è opportuno che io mi dedichi alle cose che sono del Padre mio?". Ed essi non compresero la parola che aveva detto loro. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava loro sottomesso. E sua madre serbava in cuor suo tutte queste parole. Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e agli uomini.

L'episodio del ritrovamento di Nostro Signore Gesù nel Tempio di Gerusalemme è un passaggio ricco di significati profondi, soprattutto quando lo si contempla alla luce della festività della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. L'episodio, pur essendo solo un piccolo frammento della vita di Gesù, rivela molteplici aspetti di quella che dovrebbe essere la nostra spiritualità e offre spunti di riflessione per tutti i credenti, in particolare riguardo alla missione di Cristo, al suo rapporto con i genitori e al significato della famiglia.

Nel brano evangelico, ci viene narrato che, dopo il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, Maria e Giuseppe si accorgono a un certo punto che Gesù è rimasto indietro, addirittura è ancora nel Tempio, senza che loro se ne accorgessero. Subito si mette in moto una lunga ricerca, e l’ansia dei genitori è palpabile. Il viaggio di ritorno è lungo e arduo, e l'assenza di Gesù provoca in Maria e Giuseppe un'inquietudine profonda. La loro ansia è comprensibile: il Figlio che Dio ha loro affidato è smarrito, e il cuore di una madre e di un padre non può fare a meno di essere turbato in un simile frangente. 

Ma il loro comportamento ci insegna molto. In primo luogo, l’ansia di Maria e Giuseppe non è una semplice preoccupazione emotiva, ma un’ansia che scaturisce da un amore profondo e disinteressato, da un senso di responsabilità verso il dono ricevuto da Dio. In questo gesto, il credente è chiamato a riflettere su quanto spesso la nostra vita sia percorsa dall’ansia, non solo per ciò che riguarda i nostri affetti più cari, ma anche per le nostre preoccupazioni quotidiane, il nostro rapporto con Dio e la nostra vita spirituale. La ricerca di Gesù, per quanto dolorosa e lunga, è anche un atto di fede. L’ansia che i genitori provano, nella sua intensità, invita a non dimenticare mai che la nostra vita non è mai un cammino privo di difficoltà, ma che ogni ricerca di Cristo è anche un atto di fede che ci conduce alla verità, che è Lui stesso. In questo senso, anche le difficoltà e le ansie della vita, se vissute con fede, possono diventare occasioni per avvicinarci al Signore.

Un aspetto importante che emerge in questo brano è il riferimento all'età di Gesù. Egli aveva solo dodici anni. Nella cultura ebraica, i dodici anni segnavano un passaggio importante nella vita di un giovane, poiché si avvicinava l’ingresso ufficiale nella maturità religiosa e la responsabilità nei confronti della Legge (13 anni per i maschi ebrei). Gesù, però, non ha bisogno di questo rito di passaggio, perché è già maturo prima dell'età fissata dalla comunità israelita. 

La sua conoscenza delle Scritture e la sua capacità di insegnare ai dottori della Legge rivelano una maturità straordinaria, che diviene perciò il segno della sua divinità. Questo dettaglio non è un caso, ma un’ulteriore epifania della natura divina di Cristo. Con questa scena, l’evangelista Luca ci vuole manifestare non solo che Gesù è un bambino eccezionale, ma che la sua missione è già in atto, anche se ancora in forma nascosta. Qui assistiamo all'evidenza della piena maturità di Gesù, ancor prima del raggiungimento dei tredici anni e che si manifesta attraverso la sua capacità di insegnare, esclusiva di un maestro. Solitamente, nella mentalità antica ebraica, nessuno doveva insegnare prima dei trent'anni, dopo un periodo di silenzioso studio. 

Il cuore del passaggio evangelico è la risposta che Gesù dà a Maria e Giuseppe, quando lo ritrovano nel Tempio: "Perché mi cercavate? Non sapevate che è opportuno che io mi dedichi alle cose che sono del Padre mio?" Con queste parole, Gesù conferma non solo la propria missione, ma anche il suo rapporto unico con il Padre. Il suo compito non è solo quello di essere il Figlio di Maria e Giuseppe, ma di compiere la volontà del Padre. Tale compito è salvare, redimere l'umanità dal peccato originale. Questo è un richiamo a quella missione che, più tardi, troverà il suo compimento nella Passione e nella Croce. La menzione dei tre giorni di ricerca, infatti, rimanda velatamente ai tre giorni che separano la crocifissione dalla risurrezione di Gesù. L’ansia dei genitori, la loro ricerca e il ritrovamento di Gesù nel Tempio sono prefigurazioni del dolore che Maria vivrà durante la Passione e la gioia che proverà al mattino di Pasqua. Inoltre, il Tempio, luogo in cui Gesù viene ritrovato, è non a caso anche il luogo del Sacrificio: la Croce diverrà la nuova ed eterna cattedra del Divin Maestro. 

Inoltre, questo episodio ha una forte valenza pedagogica per la Chiesa, che vede nella Santa Famiglia il modello di ogni famiglia cristiana. La famiglia di Nazareth, pur trovandosi di fronte a una situazione che suscita ansia e preoccupazione, è al contempo un esempio di fede e di obbedienza alla volontà di Dio. In essa, Maria e Giuseppe, pur vivendo una tensione interna tra l’amore materno e paterno verso Gesù e la consapevolezza della sua missione divina, sanno accogliere con umiltà e fiducia il disegno di Dio. In questo, la famiglia cattolica è chiamata a essere un luogo di accoglienza e di crescita spirituale, dove ciascun membro, pur nella propria individualità, è sempre pronto a conformarsi alla volontà di Dio. La famiglia è un luogo in cui la fede si trasmette e si vive, un piccolo tempio in cui si rispecchia il disegno salvifico di Dio per l’uomo. La risposta di Gesù, quindi, non è solo un'affermazione della sua missione personale, ma anche un richiamo alla vocazione di ogni famiglia cristiana: quella di orientarsi verso il disegno divino, anche quando questo richiede sacrificio e discernimento, e di guidare la crescita dei figli secondo tre parametri fondamentali: sapienza, età (cioé maturità psico-affettiva), e grazia, davanti a Dio innanzitutto, ma anche dinanzi agli uomini.

Infine, la difficoltà di Maria nel comprendere la risposta di Gesù, pur essendo lei Immacolata e quindi priva degli effetti del peccato originale, è un aspetto che merita una riflessione profonda. Secondo la dottrina cattolica, Maria ha vissuto una vita senza peccato, incluso quello veniale, ma non possedeva una conoscenza infinita. La sua purezza e santità non le conferivano l'onniscienza, che è un attributo esclusivo di Dio. Maria ha vissuto una vita di fede e umiltà, crescendo nella comprensione del mistero divino attraverso la preghiera, il digiuno, la meditazione e l'elemosina. Anche se era piena di grazia e aveva una relazione unica con Dio, la sua conoscenza e comprensione dei Misteri divini si svilupparono nel tempo. Maria godeva certamente dei doni soprannaturali della scienza, dell'intelletto e della sapienza al massimo grado, ma questo non vuol dire che Maria era onnisciente. Il vangelo, infatti, dice anche che ella meditava sulle parole di Gesù: i doni dello Spirito Santo, in lei infusi con perfezione, le permisero di comprendere direttamente e in maniera ottimale cosa il Signore era venuto a svolgere su questa terra, e quale ruolo aveva anche lei in questo disegno di perfetta carità.

Gaetano Masciullo

domenica 5 gennaio 2025

Epifania: il Signore si rivela alle Genti

 

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 2, 1-12.
Cum natus esset Iésus in Béthlehem Iuda, in diébus Heródis regis, ecce Magi ab Oriénte venérunt Ierosólymam, dicéntes: Ubi est qui natus est rex Iudaeórum? Vídimus enim stellam eius in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Áudiens áutem Heródes rex, turbátus est, et omnis Ierosólyma cum illo. Et cóngregans omnes príncipes sacerdótum, et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nascerétur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Iudae: Sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Iuda, nequáquam mínima es in princípibus Iuda: ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israël. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellae, quae appáruit eis: et míttens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens, staret supra, ubi erat puer. Vidéntes áutem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt púerum cum Maria matre eius et procidéntes adoravérunt eum. Et apértis thesáuris suis obtulérunt ei múnera, áurum, thus, et myrrham. Et respónso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem per áliam viam revérsi sunt in regiónem suam.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 2, 1-12.
Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente a Gerusalemme, chiedendo: "Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto infatti la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo". Avendo dunque ascoltato, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E radunati tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere il Cristo. E quelli gli dissero: "In Betlemme di Giuda: così, infatti, è stato scritto per mezzo del Profeta: E tu, Betlemme, in terra di Giuda, non sei la minima tra i principati di Giuda: da te, infatti, uscirà il condottiero che reggerà il mio popolo, Israele". Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si fece dire in maniera dettagliata il momento in cui la stella era loro apparsa. Inviatili a Betlemme, disse: "Andate, e cercate con attenzione il bambino e, quando lo avrete trovato, fatemelo riferire, affinché anch'io venga ad adorarlo". Quelli, dopo aver ascoltato il re, partirono. Ed ecco che la stella, che avevano visto in Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Vista dunque la stella, i Magi ebbero grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono nel proprio paese per un'altra via.

L’Epifania del Signore celebra la manifestazione della divinità di Cristo alle Genti, rappresentate dai Magi, uomini sapienti persiani, provenienti dall’Oriente. Questo episodio ci invita a riflettere su alcune verità molto importanti della fede cristiana.

La visita dei Magi è, infatti, il primo segno tangibile che Gesù non è solo il Messia di Israele, ma il Salvatore di tutti i popoli. I Magi, che non conoscevano ancora il vero Dio così come si era rivelato ai patriarchi e ai profeti israeliti, sono mossi da una fame di verità che li porta a percorrere un cammino incredibilmente lungo e faticoso per poter incontrare finalmente il Re dei Giudei. Questo è il simbolo della chiamata universale di Cristo: Egli vuole rivelarsi a ogni uomo, di qualunque nazione o cultura, perché tutti possano partecipare alla sua salvezza.

La manifestazione di Gesù ai Magi è una chiara testimonianza dell’amore universale di Dio. Egli ama tutti, cioé vuole che tutti giungano alla conoscenza della verità e, per mezzo di essa, essere liberati dal peccato e dunque salvati. In Cristo, Dio si dona senza riserve, desideroso che nessuno si perda. Questo ci richiama al nostro dovere missionario: come i Magi hanno ricevuto il dono della conoscenza di Cristo, così anche noi siamo chiamati a portare questa luce a chi ancora vive nell’ignoranza del Vangelo.

I Magi sono uomini di scienza, molto probabilmente astronomi. Essi rappresentano la ragione che cerca Dio, dimostrando così che non c’è opposizione tra fede religiosa e cultura. La filosofia e la scienza, se condotte con rettitudine, non possono che condurre a Cristo, il quale è la fonte di ogni verità, anzi come Egli stesso ha rivelato, è la stessa Verità. Questo è un insegnamento prezioso: i Magi cercano e trovano Cristo tramite la loro ricerca intellettuale, ma una volta trovata la Verità, la via privilegiata diventa l’umiltà, virtù principe rappresentata bene dai pastori, e la vita nello Spirito Santo, incarnata dai due profeti, Anna e Simeone, che Maria e Giuseppe avevano trovato nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, in occasione della Presentazione e della Purificazione della Madre. Così, la fede integra e perfeziona la ragione, senza mai contraddirla.

Molti si sono interrogati sulla natura della stella che guida i Magi: un fenomeno astronomico reale o una manifestazione angelica? La risposta è meno importante del suo significato. La stella rappresenta quella luce interiore che Dio accende nel cuore di ogni uomo, il desiderio di incontrare il Creatore e che predispone a un cammino, spesso lungo e persino tortuoso. Ogni uomo, anche senza conoscere il Vangelo, porta in sé una scintilla che lo orienta verso Dio, la Verità suprema. Solo la Chiesa, tuttavia, è capace di mostrare all'uomo in ricerca la cartina da seguire per giungere alla salvezza.

I Magi, dunque, si recano a Gerusalemme, al cospetto di Erode, per chiedere informazioni su questo Re appena nato. Questo gesto, apparentemente ingenuo, è in realtà un atto al contempo di semplicità e di fede: essi non temono il potere mondano, perché cercano il Regno di Dio. La Chiesa oggi sembra attraversare un periodo oscuro, dominata da correnti neo-moderniste che paiono opporsi al vero spirito cristiano. Erode era di origini pagane (era un edomita, educato secondo la religione ebraica), che pure sedeva sul trono di Giudea sotto la protezione dei romani. Come Dio, dunque, ha guidato i Magi verso una via sicura per tornare a casa, così la Provvidenza non abbandonerà mai il suo popolo. A tempo debito, Dio agirà per riportare la Chiesa alla sua missione autentica.

Veniamo dunque ai doni che i Magi portano a Gesù. Essi portano in sè un significato allegorico molto importante. Oro, incenso e mirra non sono soltanto doni preziosi: l’oro proclama la regalità di Cristo, l’incenso la sua divinità, e la mirra, utilizzata per l’unzione dei morti, prefigura il suo sacrificio redentore, nel quale il Signore sarà al contempo il sacerdote che offre e la vittima che viene offerta. I Magi riconoscono nel Bambino la pienezza della sua missione: Re, Dio e Sacerdote.

L’Epifania ci ricorda che Dio si manifesta a chi lo cerca con cuore sincero, e soprattutto che è possibile raggiungerlo con la ragione, come insegna solennemente anche il Concilio Vaticano Primo. La luce di Cristo illumina ogni uomo che viene nel mondo, e il suo messaggio di salvezza è universale, un invito rivolto a tutti a partecipare al Regno dei cieli. Come i Magi, siamo chiamati a lasciarci guidare da questa luce, superando le tenebre del peccato e confidando nella Provvidenza divina.

Gaetano Masciullo

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