Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 6, 56-59.
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudaeórum: Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem, et bibit meum sánguinem, in me manet, et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui mandúcat hunc panem, vivet in aetérnum.
Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 6, 56-59.
In quel tempo, Gesù disse alle turbe dei giudei: "La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come è vivente il Padre che mi ha mandato, e io vivo a causa del Padre, anche chi mangia di me vivrà a causa mia. Questo è il pane che discende dal Cielo. Non come i vostri padri che mangiarono la manna e sono morti. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.
Nella solenne celebrazione del Corpus Domini - "Corpo del Signore" - la Chiesa proclama un breve ma intenso passaggio del Vangelo secondo Giovanni, l'evangelista che si sofferma più degli altri sulla natura divina di Gesù. Per quanto san Giovanni sia l'unico a non includere nel proprio vangelo il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia, portando molti critici protestanti a credere che l'Eucaristia e il dogma della transustanziazione siano invenzioni dei preti cattolici, diverse pagine al suo interno sono dedicate a descrivere altri eventi dell'Ultima Cena (come la lavanda dei piedi e i grandi discorsi di Gesù). Inoltre, l'intero Vangelo di Giovanni può essere visto come un grande inno eucaristico, che trova nei versetti proclamati oggi il suo culmine.
Le parole usate da Gesù sono scelte con cura. Egli afferma: "Il mio corpo è veramente cibo." L'uso dell'avverbio "veramente" enfatizza il concetto, contrastando le tendenze eretiche che già ai tempi dell'evangelista cominciavano a infiltrarsi nella Chiesa, mettendo in discussione non solo la natura divina di Cristo, ma anche i doni di grazia che Egli ha concesso alla sua Chiesa, a partire dall'Eucarestia. Dicendo che il corpo di Gesù è veramente cibo, San Giovanni vuole insegnarci che il corpo di Cristo si comunica a noi come vero cibo, e non come una semplice metafora.
Nello stesso Vangelo di San Giovanni, in un altro passaggio, leggiamo queste parole di Gesù: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Giovanni 10, 9). Non è scritto: "Io sono veramente la porta", ma semplicemente: "Io sono la porta". L'evangelista ci sta suggerendo che l'immagine della porta si riferisce a Cristo in modo allegorico, ma non è lo stesso per il cibo riguardo alla carne del Signore e la bevanda riguardo al suo sangue.
Poi, il Signore aggiunge: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, e io in lui." Questo versetto riassume il fine del Sacramento dell'Eucaristia: esso ci mantiene nella grazia, cioè nel rapporto intimo e privilegiato che Dio desidera avere con tutti noi credenti. Tuttavia, per conservare qualcosa, bisogna prima possederla: non si può conservare ciò che non si ha. L'Eucaristia, infatti, non dona la grazia a chi non ce l'ha, ma nutre coloro che già la possiedono.
Pertanto, durante questa solennità, la Chiesa canta nella liturgia la Sequenza scritta dal grande San Tommaso d'Aquino, che recita: "Lo assumono i buoni e i cattivi: ma con diversa sorte di vita e di morte. Per i cattivi è morte, per i buoni vita: oh che diverso esito ha una stessa assunzione."
Questo insegnamento solenne della Chiesa riflette ciò che già san Paolo insegna: "Chi mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Esamini ognuno se stesso, e così mangi di quel pane e beva di quel calice; poiché chi mangia e beve indegnamente, se non riconosce il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. Per questo vi sono tra voi molti deboli e privi di forza, e tanti giacciono" (1Corinzi 11, 27-30). Inoltre, ricordiamo anche l'insegnamento del Catechismo: "È conforme al significato stesso dell'Eucaristia che i fedeli, se hanno le disposizioni richieste, si comunichino quando partecipano alla Messa" (CCC 1388). Le disposizioni richieste dal Codice di Diritto Canonico sono le seguenti: "Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l'opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima" (CJC 916).
Gaetano Masciullo
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