sabato 29 giugno 2024

Il Significato Profondo della Moltiplicazione dei Pani

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum 8, 1-9

In illo témpore: Cum turba multa esset cum Iesu, nec habérent, quod manducárent, convocátis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce iam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos ieiúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et iussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quátuor mília: et dimísit eos.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 8, 1-9

In quel tempo, radunatasi molta folla attorno a Gesù, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: "Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano". E gli risposero i suoi discepoli: "Come potremo saziarli di pane in questo deserto?" E chiese loro: "Quanti pani avete?" E risposero: "Sette". E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò.

I celebri miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci sono senza dubbio una prefigurazione del Sacramento dell'Eucaristia, che Nostro Signore Gesù Cristo avrebbe istituito più tardi, durante l'Ultima Cena, per il bene della Chiesa universale. Scrivo al plurale, poiché gli evangelisti riportano due miracoli di questo tipo, e quello che oggi la Chiesa proclama è il secondo in ordine di tempo. Il gesto di prendere i pani, rendere grazie, spezzarli e distribuirli richiama direttamente il racconto di Marco, dove si legge: "prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro" (Marco 14, 22).

Ma cosa vuole insegnarci questo miracolo dell'Eucaristia, oltre a ciò che già ci raccontano l'istituzione stessa e i grandi discorsi eucaristici di Giovanni o delle lettere paoline e apostoliche?

Nella Scrittura, i numeri non sono mai casuali. I santi agiografi, inclusi gli evangelisti, mettono in evidenza determinate cifre, gesti e dinamiche per alludere a significati più profondi, che superano i semplici avvenimenti storici. In questo caso, Marco sottolinea che gli apostoli avevano con sé soltanto "sette pani e pochi pesci". Questo dettaglio invita a una riflessione spirituale: gli apostoli erano così affascinati dal discorso di Gesù che dimenticavano persino i bisogni del corpo, trascurando che le scorte di cibo stavano rapidamente esaurendosi. In questo modo, gli apostoli pregustavano ciò che san Paolo avrebbe scritto più tardi: "Rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non abbiate cura della carne sì da destarne le concupiscenze" (Rm 13, 14).

Questa lezione spirituale ci invita a considerare come, nella nostra vita quotidiana, spesso ci preoccupiamo eccessivamente delle necessità materiali, dimenticando la dimensione spirituale e l'insegnamento di Cristo. Gesù, con questo miracolo, ci ricorda che è Lui il vero Pane della Vita, capace di soddisfare ogni nostra esigenza, ben oltre i limiti delle risorse umane. La fede e la fiducia in Lui ci conducono a una comprensione più profonda dell'Eucaristia, dove riceviamo non solo il nutrimento per il corpo, ma soprattutto la grazia e la vita eterna per l'anima.

I sette pani rappresentano, secondo l'autorevole insegnamento dei Padri, in particolare san Girolamo, i sette doni dello Spirito Santo, che Gesù ci ha insegnato a chiedere a Dio tramite la bellissima preghiera del Pater Noster. Da ciò comprendiamo come l'Eucaristia, vero pane disceso dal Cielo, moltiplichi e rafforzi in noi ciò che lo Spirito Santo ha seminato attraverso i suoi doni, proprio come Gesù moltiplica i sette pani e li distribuisce alla folla. Un altro particolare interessante è che non è Gesù a distribuire direttamente i pani alla folla, bensì lo fa tramite gli apostoli, così come nell'Antico Testamento Dio non diede direttamente a Israele la Legge, ma lo fece tramite Mosè. In questo modo la Scrittura sottolinea sempre l'importanza della mediazione della Chiesa per la distribuzione della grazia di Dio. L'Eucaristia produce in noi anche una sovrabbondanza di beni, rappresentata dalle sette ceste (ancora il numero sette) riempite dai pani avanzati.

C'è un ultimo numero importante su cui meditare in questo brano di Scrittura, ed è il numero delle persone che furono sfamate quel giorno da Gesù. Il Vangelo ci parla di quattromila uomini. Il quattro è un numero ambivalente nella Scrittura. Da un lato, rappresenta l'umanità, poiché quattro sono le virtù cardinali, cioè quelle che formano e perfezionano l'uomo da un punto di vista prettamente naturale. Dall'altro lato, i Padri hanno sempre intravisto nel numero quattro un simbolo del Nuovo Testamento e dei Vangeli. Allora i quattromila uomini raffigurerebbero gli uomini nuovi, redenti da Cristo e rinati nel battesimo alla vita nuova della grazia. L'Eucaristia è proprio l'alimento che nutre gli uomini della grazia e li sostiene in questa valle di lacrime.

Questa riflessione ci porta a considerare l'Eucaristia come il cuore pulsante della vita cristiana. È il Sacramento che ci unisce a Cristo in modo così intimo che diventa il fondamento della nostra santificazione e della nostra comunione con Dio e con i fratelli. Attraverso il segno del pane e del vino, Gesù rimane presente tra noi, alimentando la nostra fede e la nostra carità, trasformandoci progressivamente in Lui. Ogni volta che partecipiamo all'Eucaristia, siamo invitati a rinnovare il nostro impegno a vivere secondo il Vangelo, a essere testimoni autentici del suo amore e a costruire una comunità di fratelli unita nella fede e nella speranza.

Gaetano Masciullo

sabato 22 giugno 2024

La giustizia del cuore

 

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 5, 20-24.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Nisi abundáverit iustítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum cœlórum. Audístis, quia dictum est antíquis: Non occídes: qui autem occíderit, reus erit iudício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit iudício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fátue: reus erit gehénnæ ignis. Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 5, 20-24.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, sarà condannato nel Sinedrio. E chi gli avrà detto: pazzo; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta.

Dio consegnò a Mosè sul Sinai il Decalogo della Legge affinché fosse osservato da Israele con devozione e perseveranza. I dieci comandamenti divini sono disposti in un ordine di gravità, in modo tale che i peccati commessi contro il primo siano considerati più gravi di quelli commessi contro i seguenti. Tuttavia, ogni violazione è grave al punto da uccidere la grazia di Dio nell'anima dell'uomo.

Oltre alla gravità, i comandamenti furono scritti da Dio sul Sinai seguendo il principio del "massimo grado" di ciascun genere di peccato. Così, quando Dio comanda nel quinto comandamento di "non uccidere", non sta solo vietando l'omicidio, ma anche tutti i gradi inferiori di quel genere di peccato, che nell'omicidio trova la sua massima ed estrema manifestazione. Ecco perché la Chiesa insegna che il quinto comandamento non vieta soltanto l'omicidio, ma in generale tutte le manifestazioni di ira che danneggiano il nostro prossimo.

Questo insegnamento della Chiesa trova nel brano di Vangelo proclamato oggi il suo fondamento scritturale. I farisei avevano rigidamente interpretato la Legge, riducendo la sua osservanza o violazione alla lettera, anziché coglierne il senso profondo e il cuore delle parole scritturali. L'inevitabile conseguenza di questo approccio era che l'osservanza religiosa si limitava alle manifestazioni esterne. Analizzando i dieci comandamenti, vediamo che tutti si riferiscono esplicitamente a manifestazioni esteriori: il culto dovuto a Dio, il non pronunciare il Suo Nome invano, l'onore verso i genitori, il non uccidere, il non commettere adulterio, il non rubare, il non dire falsa testimonianza nei tribunali, il non invidiare. È inevitabile che il massimo grado di un peccato si manifesti in modo più evidente rispetto al suo grado minore, ma ridurre un peccato al solo suo massimo grado è un'eresia, che la Chiesa condanna attraverso la Scrittura.

Se riduciamo le opere buone alla loro sola manifestazione pubblica, l'anima rischia di essere educata all'ipocrisia, ovvero alla finzione e all'ostentazione di un bene non compiuto realmente. Questo è stato l'atteggiamento dei farisei e degli scribi, che Cristo condannava. "Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia" (Luca 12, 1).

La Legge deve penetrare profondamente nel nostro cuore, in tutte le sue sfumature. Per questo il Signore afferma che la giustizia del cristiano deve essere "più grande di quella degli scribi e dei farisei", deve cioè passare dalla mera osservanza letterale al senso profondo. Ecco perché Gesù dice: "Avete udito che fu detto agli antichi: Non uccidere; chiunque ucciderà sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico...". Gesù non è venuto a abolire la Legge, ma a completarla, rivelando il suo significato originario nei piani di Dio.

In riferimento al quinto comandamento - Non uccidere - Gesù ci rivela che esistono vari livelli di trasgressione, tutti riconducibili al vizio capitale dell'ira, oltre all'estremo caso dell'omicidio. Il primo livello è l'ira che cresce nel cuore dell'uomo e lo spinge al desiderio di vendetta. Gesù affronta e condanna questo sentimento affermando: "Chiunque si adira contro il proprio fratello sarà soggetto al giudizio." Con "soggetto al giudizio", Gesù indica che si tratta di un peccato grave, che diventa mortale se commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso. 

Il secondo livello di trasgressione è quello della volgarità e della violenza verbale o gestuale. Gesù condanna questa manifestazione dell'ira dicendo: "Chi dice al proprio fratello: 'raca', sarà sottoposto al Sinedrio." Il termine "raca", di origine aramaica, è equivalente a un insulto volgare nella nostra lingua. 

Il terzo livello è l'insulto diretto e l'offesa verbale contro il prossimo. Gesù condanna questa forma di iracondia con le parole: "Chi dice: 'pazzo', sarà condannato al fuoco della Geenna." 

In questo modo, Gesù ci mostra che non solo l'omicidio è proibito dal quinto comandamento, ma anche tutte le forme di ira che possono danneggiare il nostro prossimo, evidenziando come ciascun grado di questo vizio capitale abbia conseguenze gravi per l'anima.Questi insegnamenti ci mostrano chiaramente che il peccato non risiede solo nelle azioni visibili e manifeste, ma anche nelle intenzioni e nei pensieri del cuore. L'ira, se lasciata crescere e svilupparsi, può degenerare in parole e azioni che danneggiano seriamente il prossimo e l'anima stessa di chi la nutre. Il cammino della santità richiede dunque una vigilanza costante sui nostri sentimenti interiori, poiché da essi nascono le parole e le azioni.

Inoltre, Gesù ci invita a considerare la gravità dei peccati in modo diverso rispetto a come spesso siamo abituati. Non si tratta solo di evitare i gesti più eclatanti e visibili, ma di purificare il cuore dalle radici del peccato. La vera conversione passa attraverso un esame di coscienza profondo, che non si limita a ciò che appare agli occhi degli altri, ma scava nelle intenzioni più recondite e nelle emozioni più intime.

Questa riflessione ci ricorda anche l'importanza del sacramento della confessione, attraverso il quale possiamo ottenere il perdono di Dio e la grazia necessaria per superare le nostre debolezze. La confessione non è solo un atto di pentimento per i peccati commessi, ma anche un'opportunità per ricevere la forza divina che ci aiuta a combattere le tentazioni e a vivere secondo gli insegnamenti di Cristo.

Infine, è importante riconoscere che l'amore e il rispetto per il prossimo sono fondamentali nella vita cristiana. Ogni atto di ira, ogni parola offensiva, non solo offende l'altro, ma danneggia anche la nostra relazione con Dio. Siamo chiamati a essere strumenti di pace e riconciliazione, a riflettere l'amore di Cristo nelle nostre vite quotidiane, cercando di costruire un mondo più giusto e fraterno.

Gaetano Masciullo

sabato 8 giugno 2024

Il Sacro Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 6, 56-59

In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudaeórum: Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem, et bibit meum sánguinem, in me manet, et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui mandúcat hunc panem, vivet in aetérnum.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni, 6, 56-59

In quel tempo, Gesù disse alle turbe dei Giudei: "La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è vera- mente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, vive in me e io in lui. Come è vivo il Padre che mi ha mandato, e io vivo del Padre, così chi mangia la mia carne vive di me. Questo è il pane che discende dal cielo. Non come i vostri padri che mangiarono la manna e sono morti. Chi mangia questo pane vivrà in eterno".

Il venerdì successivo alla Domenica del Corpus Domini, la Chiesa festeggia la solennità del Sacro Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo. Solitamente tale festa viene traslata alla domenica successiva per permettere ai fedeli di dare il dovuto culto al Signore durante la liturgia domenicale. Com'è evidente, dunque, si tratta di una solennità che la Chiesa mette in stretto legame con l'Eucarestia.

Il 16 giugno 1675, fu lo stesso Signore Gesù a chiedere alla Chiesa, in una rivelazione privata a santa Margherita Maria Alacoque, la grande mistica del Sacro Cuore, di istituire una festa dedicata a questa devozione. Quasi due secoli dopo, nel 1856, la Chiesa cattolica ha accolto nel calendario liturgico tale istruzione divina. 

Nel linguaggio biblico, il cuore non rappresenta l'amore, come invece avviene nel linguaggio comune. Il cuore rappresenta invece la volontà. Più in generale, la stessa parola amore nella Scrittura indica una volontà orientata al bene. Nella Bibbia l'uomo che ama è l'uomo che vuole ciò che è buono e giusto. Il motivo per cui diciamo che Dio è amore - come dice san Giovanni nella sua lettera - è il fatto che "vuole che tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità" (1Timoteo 2, 4), anche se non tutti l'accolgono. 

Adorare il Sacro Cuore di Gesù non significa pertanto - come sostengono protestanti, giansenisti e orientali - semplicemente adorare "un organo di Cristo", allo stesso modo con cui potremmo scegliere di adorarne gli occhi, il naso, le mani o i piedi. Significa invece contemplare la volontà dell'uomo Gesù che si conforma in tutto alla volontà del Padre. Adorare il Cuore di Gesù significa eleggere la volontà di Gesù come modello della nostra volontà, e desiderare anche noi di conformare in tutto la volontà propria alla divina volontà. In questo, in fondo, consiste la perfezione della vita cristiana e la stessa carità, che è la più importante delle virtù.

Per crescere nella divina volontà, tuttavia, abbiamo bisogno della grazia di Dio. Non è un obiettivo che possiamo conseguire con le nostre stesse forze. Per crescere in questa vita tutta mistica e tutta spirituale il Signore stesso si è fatto cibo nell'Eucarestia: un cibo tutto spirituale, che nutre l'anima e la grazia, e allo stesso tempo "veramente cibo" (Gv 6, 56), cioè un alimento sensibile, che può essere odorato e ingerito. Il Signore cambia la sostanza del pane e del vino nel suo corpo, sangue, anima e divinità. Ecco il più grande miracolo che Cristo abbia mai compiuto e mai compirà nella storia. Obbedendo alla volontà del Padre, Cristo ha donato la propria vita sulla croce e questo sacrificio si rinnova quotidianamente sull'altare nell'Eucarestia, affinché noi, nutrendoci di Lui come di vero pane, possiamo imparare a vivere nella stessa obbedienza alla volontà divina.

Gaetano Masciullo

sabato 1 giugno 2024

L'Eucarestia, pegno d'amore di Cristo alla Chiesa

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 6, 56-59.

In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudaeórum: Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem, et bibit meum sánguinem, in me manet, et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui mandúcat hunc panem, vivet in aetérnum.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 6, 56-59.

In quel tempo, Gesù disse alle turbe dei giudei: "La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come è vivente il Padre che mi ha mandato, e io vivo a causa del Padre, anche chi mangia di me vivrà a causa mia. Questo è il pane che discende dal Cielo. Non come i vostri padri che mangiarono la manna e sono morti. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

Nella solenne celebrazione del Corpus Domini - "Corpo del Signore" - la Chiesa proclama un breve ma intenso passaggio del Vangelo secondo Giovanni, l'evangelista che si sofferma più degli altri sulla natura divina di Gesù. Per quanto san Giovanni sia l'unico a non includere nel proprio vangelo il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia, portando molti critici protestanti a credere che l'Eucaristia e il dogma della transustanziazione siano invenzioni dei preti cattolici, diverse pagine al suo interno sono dedicate a descrivere altri eventi dell'Ultima Cena (come la lavanda dei piedi e i grandi discorsi di Gesù). Inoltre, l'intero Vangelo di Giovanni può essere visto come un grande inno eucaristico, che trova nei versetti proclamati oggi il suo culmine.

Le parole usate da Gesù sono scelte con cura. Egli afferma: "Il mio corpo è veramente cibo." L'uso dell'avverbio "veramente" enfatizza il concetto, contrastando le tendenze eretiche che già ai tempi dell'evangelista cominciavano a infiltrarsi nella Chiesa, mettendo in discussione non solo la natura divina di Cristo, ma anche i doni di grazia che Egli ha concesso alla sua Chiesa, a partire dall'Eucarestia. Dicendo che il corpo di Gesù è veramente cibo, San Giovanni vuole insegnarci che il corpo di Cristo si comunica a noi come vero cibo, e non come una semplice metafora.

Nello stesso Vangelo di San Giovanni, in un altro passaggio, leggiamo queste parole di Gesù: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Giovanni 10, 9). Non è scritto: "Io sono veramente la porta", ma semplicemente: "Io sono la porta". L'evangelista ci sta suggerendo che l'immagine della porta si riferisce a Cristo in modo allegorico, ma non è lo stesso per il cibo riguardo alla carne del Signore e la bevanda riguardo al suo sangue.

Poi, il Signore aggiunge: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, e io in lui." Questo versetto riassume il fine del Sacramento dell'Eucaristia: esso ci mantiene nella grazia, cioè nel rapporto intimo e privilegiato che Dio desidera avere con tutti noi credenti. Tuttavia, per conservare qualcosa, bisogna prima possederla: non si può conservare ciò che non si ha. L'Eucaristia, infatti, non dona la grazia a chi non ce l'ha, ma nutre coloro che già la possiedono.

Pertanto, durante questa solennità, la Chiesa canta nella liturgia la Sequenza scritta dal grande San Tommaso d'Aquino, che recita: "Lo assumono i buoni e i cattivi: ma con diversa sorte di vita e di morte. Per i cattivi è morte, per i buoni vita: oh che diverso esito ha una stessa assunzione." 

Questo insegnamento solenne della Chiesa riflette ciò che già san Paolo insegna: "Chi mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Esamini ognuno se stesso, e così mangi di quel pane e beva di quel calice; poiché chi mangia e beve indegnamente, se non riconosce il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. Per questo vi sono tra voi molti deboli e privi di forza, e tanti giacciono" (1Corinzi 11, 27-30). Inoltre, ricordiamo anche l'insegnamento del Catechismo: "È conforme al significato stesso dell'Eucaristia che i fedeli, se hanno le disposizioni richieste, si comunichino quando partecipano alla Messa" (CCC 1388). Le disposizioni richieste dal Codice di Diritto Canonico sono le seguenti: "Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l'opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima" (CJC 916).

Gaetano Masciullo

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13. In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce...