sabato 21 ottobre 2023

Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 18, 23-35

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: Assimilátum est regnum cœlórum hómini regi, qui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum cœpísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret, unde rédderet, iussit eum dóminus eius venúmdari et uxórem eius et fílios et ómnia, quæ habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Misértus autem dóminus servi illíus, dimísit eum et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: Redde, quod debes. Et prócidens consérvus eius, rogábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem, donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi eius, quæ fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quæ facta fúerant. Tunc vocávit illum dóminus suus: et ait illi: Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum? Et irátus dóminus eius, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus cœléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 18, 23-35

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. E avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma non avendo costui modo di pagare, il padrone comandò che fosse venduto lui, sua moglie, i figli e quanto aveva, e così fosse saldato il debito. Il servo, però, gettatosi ai suoi piedi, lo supplicava: Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto. Mosso a pietà, il padrone lo liberò, condonandogli il debito. Ma il servo, partito da lì, trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento denari: e, presolo per la gola, lo strozzava dicendo: Pagami quello che devi. E il compagno, prostratosi ai suoi piedi, lo supplicava: Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto. Ma quegli non volle, e lo fece mettere in prigione fino a quanto lo avesse soddisfatto. Ora, avendo gli altri compagni veduto tal fatto, se ne attristarono grandemente e andarono a riferire al padrone tutto quello che era avvenuto. Questi allora lo chiamò a sé e gli disse: Servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai pregato: non dovevi dunque anche tu aver pietà di un tuo compagno, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato, il padrone lo diede in mano ai carnefici fino a quando non avesse pagato tutto il debito. Lo stesso farà con voi il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello".

Come stona questa parabola con quanto si sente dire da tanti sacerdoti e teologi cattolici di oggi, secondo i quali Dio non terrebbe conto di ogni singolo peccato che l'uomo commette, come se fosse un freddo contabile. Eppure, Gesù ci dice quest'oggi che "Il regno dei cieli è come un re che volle fare i conti con i suoi servi". Non dobbiamo dimenticare che quando Gesù ci parla del Regno dei cieli non sta parlando semplicemente della vita futura, ma di se stesso - Cristo è il Regno - e di conseguenza della vita della Chiesa, perché la Chiesa è il Corpo Mistico di Gesù Cristo.

Un Dio che non tiene conto, come si dice, di tutto il male e di tutto il bene compiuto, che razza di Dio sarebbe? Questo modo di concepire Dio non andrebbe tanto a scapito della sua potenza, quanto della sua giustizia e della sua misericordia. Se Dio coprisse senza criterio i peccati, e premiasse gli uomini con la beatitudine piena ed eterna senza un motivo particolare, allora i tanti torti fatti o subìti in questa vita resterebbero dimenticati e anche gli atti di bontà e ordinario eroismo verrebbero confusi con una malefatta qualunque. Questo modo di concepire Dio, che non tiene conto di ogni singola azione per quanto piccola essa sia, è un modo molto umano di ragionare, che va contro la sua Parola. Si tratta di un Dio comodo, perché asseconda le nostre voglie, il nostro desiderio di irresponsabilità, un Dio che perdona perché è tutto amore, senza capire che invece Dio ha eccome un criterio per perdonare, e la gratuità della sua Misericordia non corrisponde a un'assenza di criterio del perdono divino, quanto a un'assenza di capacità da parte delle nostre sole forze di meritarlo.

Così, se leggiamo questa parabola fuori di metafora, comprendiamo cosa il Signore vuole dirci. Il debito è nel linguaggio evangelico un sinonimo del peccato. Si pensi alla preghiera insegnata dal Cristo, che dice tra le altre cose: "rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". La cifra indicata nella parabola è veramente esagerata e sproporzionata: all'epoca di Gesù, un talento corrispondeva a un lingotto d'oro pesante quasi 60 chilogrammi. Si capisce dunque che la cifra di diecimila talenti corrispondeva a un debito impossibile da ripagare. Tale era la condizione dell'essere umano all'epoca di Cristo: il peccato originale e i peccati personali avevano chiuso le porte del Paradiso ad ogni uomo.

Gesù ci dice che questo re, per vedere saldato il debito, ordina di vendere il debitore, tutta la sua famiglia, e tutti i suoi averi. Il peccato non è qualcosa privo di conseguenze. Ogni colpa ha un duplice effetto: una macchia sulla coscienza e una pena da scontare. Spesso le conseguenze dei peccati ricadono non soltanto su chi li compie, ma anche su coloro che lo amano: "Io sono un Dio geloso che punisce la colpa dei padri nei figli" (Es 20, 5). E molto spesso le pene per certi peccati vengono scontate da persone innocenti, che soffrono al posto dei veri colpevoli. In teologia morale si parla a proposito di sofferenza vicaria, che è propria dei santi, su modello dello stesso Cristo, il quale - sommamente innocente - subì la pena destinata all'umanità tutta per espiare il debito del peccato antico.

Nella parabola, basta tuttavia la semplice supplica sincera e contrita del debitore per muovere il re a compassione, tanto da spingerlo a condonare l'intero sproporzionato debito. Il Signore però ci chiede di non fare di due pesi anche due misure, e qui ritorna ancora la preghiera insegnata da Gesù: "rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". Il debitore, ormai graziato, si mostra crudele verso un suo debitore. Notiamo però che il debito che egli aveva è assai piccolo al confronto: solo cento denari. Se l'uomo che riceve il perdono di Dio non sa perdonare a sua volta i fratelli non è degno del Regno dei Cieli, e pertanto viene escluso dalla salvezza e "consegnato ai carnefici", cioè all'Inferno.

Gaetano Masciullo

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