I misteri fondamentali della Fede cattolica sono due: la Trinità – sulla quale abbiamo meditato la scorsa domenica – e l’Incarnazione, Passione e Resurrezione di Nostro Signore. Si chiamano misteri fondamentali perché tutti gli altri dogmi procedono da questi due, ma anche perché tutti i credenti devono conoscere e credere in almeno questi due dogmi per potersi definire cattolici. Si tratta di concetti di non facile comprensione, spesso facilmente fraintesi. È paradossale vedere tuttavia come, in una società dove si pretende il diritto all’istruzione e nella quale si sente dire che tutti possono avere pari accesso alla conoscenza perché tutti hanno le stesse potenzialità, quando si finisce a parlare di dogmi cattolici, molto spesso sono gli uomini di Chiesa i primi a dire che misteri come la Trinità sono troppo alti, troppo lontani dalla vita reale per poter essere compresi. E che in fondo si può essere cattolici anche senza conoscerli. Eppure, se la Chiesa antica decise di includere il Credo nel rito della Messa, fu proprio perché i Padri ritennero che tutti i fedeli – a prescindere da sesso, etnia, cultura, status, lingua, etc. – sono capaci di comprendere queste alte verità di Fede e che esse non sono relegate al mondo di lassù, ma si ripercuotono anche nel nostro modo di concepire la realtà esterna e nel modo di praticare la carità con il prossimo.
Questa domenica, la
Chiesa ci propone di meditare su un altro grande mistero della Fede cattolica,
la cui difficoltà è forse pari solo al mistero del Dio trinitario. La Chiesa
festeggia infatti la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo (Corpus Domini). Essa fu istituita dal papa
Urbano IV nel 1264, circa trecento anni prima del Concilio di Trento, quando fu
proclamato ufficialmente il dogma della transustanziazione: alla faccia di chi
dice che solo in quest’ultima circostanza la Chiesa avrebbe “inventato” la
nozione della presenza reale di Cristo nell’Eucarestia! Chi mastica un minimo
di teologia cattolica, però, sa che i dogmi possono essere proclamati tali solo
se «creduti da tutti, in ogni luogo e in ogni tempo» (San Vincenzo di Lerins) e
sono stati proclamati proprio per difenderli dai “pensieri nuovi” che finivano
per metterli in dubbio.
Già all’epoca di
papa Urbano IV, infatti, c’era chi metteva in dubbio la dottrina tradizionale
sull’Eucarestia. Per questa ragione, il papa chiese a un grande teologo
domenicano dell’epoca, san Tommaso d’Aquino, di scrivere un inno eucaristico da
proclamare nell’occasione della solennità odierna. Ancora oggi cantiamo la
sequenza scritta da quel grandissimo teologo. In effetti, la sequenza –
intitolata Lauda Sion e composta di
24 strofe – è un ottimo compendio della dottrina eucaristica e merita di essere
compresa e meditata. In particolare, c’è una strofa della sequenza che merita
particolare attenzione oggi, viste le derive teologiche che contraddistinguono
il nostro tempo. Essa recita: «Lo ricevono i buoni / lo ricevono i malvagi / ma
con ineguale sorte: / di vita o di morte. / È morte per i malvagi, vita per i
buoni: / vedi di pari assunzione / quanto sia diverso l’effetto». Il Sacramento
dell’Eucarestia è infatti strettamente connesso al Sacramento della Confessione:
anche il Catechismo della Chiesa cattolica ci ricorda che non è permesso ricevere
l’Eucarestia in stato di peccato mortale. Eppure, quanti oggi si ostinano a
ricevere la Comunione pur senza essere in grazia di Dio? Quanti ricevono la
Comunione senza saper fare un corretto esame di coscienza, necessario per
confessarsi? L’Eucarestia, non a caso, è definita anche “farmaco di
immortalità” e la parola greca farmakon ha
un doppio significato: “medicina”, ma anche “veleno”. Come infatti assumere una
medicina in misura o in condizioni diverse da quelle indicate dal medico può
risultare in letalità, così assumere l’Eucarestia in condizioni diverse da
quelle indicate dal Medico Divino (Gesù Cristo e gli Apostoli) comporta un atto
sacrilego e peccaminoso. Ripartiamo dunque dalla meditazione di questa grande e
grave Solennità per vivere la Fede secondo le intenzioni del suo divino
fondatore.
Gaetano Masciullo
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