sabato 5 aprile 2025

Il Cuore della Quaresima

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 8, 46-59.

In illo témpore: Dicébat Iesus turbis Iudaeórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei áudit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Iudaéi, et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et daemónium habes? Respóndit Iesus: Ego daemónium non hábeo: sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego áutem non quaero glóriam meam: est qui quaerat, et iúdicet. Amen, amen dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in aetérnum. Dixérunt ergo Iudaéi: Nunc cognóvimus quia daemónium habes. Abráham mórtuus est, et prophétae: et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in aetérnum. Numquid tu maior es patre nostro Abráham, qui mórtuus est? et prophétae mórtui sunt? Quem teípsum facis? Respóndit Iesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego áutem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum, et sermónem eius servo. Abráham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gávisus est. Dixérunt ergo Iudaéi ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abráham vidísti? Dixit eis Iesus: Amen, amen dico vobis, ántequam Abráham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut iácerent in eum: Iesus áutem abscóndit se, et exívit de templo.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 8, 46-59.

In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: "Chi di voi può accusarmi di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio". Risposero dunque i Giudei e gli dissero: "Non diciamo forse bene che tu sei un samaritano e un posseduto dal demonio?" Gesù rispose: "Non sono posseduto dal demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io invece non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se qualcuno avrà servito la mia parola, non gusterà la morte in eterno". Gli dissero dunque i Giudei: "Ora sappiamo che sei posseduto dal demonio. Abramo è morto e pure i profeti e tu dici: Chi avrà servito la mia parola non gusterà la morte in eterno. Sei forse più grande del nostro padre Abramo, che è morto, o dei profeti, che sono morti? Chi pretendi di essere?" Gesù rispose: "Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla; è il Padre mio che mi glorifica, che voi dite essere vostro Dio, ma non lo conoscete: io invece lo conosco e se dicessi di non conoscerlo sarei simile a voi, un bugiardo. Ma lo conosco e servo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò perché vide il mio giorno: vide e gioì". Gli dissero dunque i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?" Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono". Allora raccolsero delle pietre per scagliarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Nel tempo sacro della Quaresima, la Chiesa ci conduce, attraverso la lettura del Vangelo secondo Giovanni, ad una progressiva e luminosa rivelazione del mistero di Cristo. Il brano in questione si colloca al cuore di questa dinamica: siamo nei giorni che precedono la Passione, e la tensione tra Gesù e i Giudei si fa estrema. Nel popolo di Israele, depositario dell'Alleanza, è virtualmente presente tutta l'umanità, perché come il peccato originale ha macchiato tutta l'umanità, così la promessa del Redentore riguarda tutti coloro che ne sono stati macchiati.

In questo passo, il Signore manifesta con chiarezza crescente la sua natura divina, fino a proclamare solennemente: "Prima che Abramo fosse, Io Sono" (Gv 8, 58), parole che riecheggiano la rivelazione del Nome divino a Mosè nel roveto ardente (Es 3, 14). In questo scontro, il Verbo eterno svela la sua ineffabile gloria, ma gli uomini reagiscono con incredulità, scandalo, invidia e persino odio.

Il Signore domanda anche a noi oggi: "Chi di voi può accusarmi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?" È una sfida tremenda: solo un innocente può proferire tali parole. La sua assoluta santità, in pubblico come in privato, unita alla perfetta trasparenza del suo insegnamento, testimonia la sua identità. Cristo è la Verità stessa e chi è da Dio ascolta la sua voce. Ma i suoi interlocutori non ascoltano, cioé non comprendono, e ciò rivela la loro reale condizione spirituale: "Per questo non ascoltate: perché non siete da Dio".

In queste parole si profila il giudizio divino: l’appartenenza a Dio non è una questione etnica o una discendenza carnale da Abramo, ma l'accoglienza della Verità. La Quaresima ci richiama proprio a questa disponibilità del cuore: siamo da Dio o dal diavolo? Ascoltiamo la sua voce nella preghiera, nella liturgia, nell'ossequio della retta dottrina? O ci irrigidiamo nella nostra superbia, nei nostri vizi, nei nostri limiti, che magari ci rifiutiamo anche di individuare e combattere con l'aiuto della grazia?

I Giudei, incapaci di replicare alla verità, si rifugiano nell’insulto: "Non diciamo con ragione che sei un Samaritano e un indemoniato?" L’insulto “samaritano” sottintende una duplice accusa di eresia e di impurità; e dire che Gesù ha un demonio significa non solo rifiutare la legittimità della sua missione intesa come mandato divino, ma soprattutto accettare il dovere di contrastare Gesù fino ad annientarlo.

Il Signore non si lascia turbare: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio; voi invece mi disonorate". Quanto sono ammirabili ed esemplari la mitezza e la mansuetudine di questo vero Agnello! Con esse Cristo manifesta la sua divina pazienza, la stessa che egli manifesta sulla Croce. La pazienza di Cristo è la forza di Cristo. E aggiunge: "In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno". È una promessa di salvezza eterna, ma solo per chi ascolta, comprende, obbedisce.

Nel tempo quaresimale, questo versetto risuona come un invito urgente alla conversione. Il peccato porta alla morte: solo l’unione con Cristo, mediante la fede viva e la grazia sacramentale, ci dona la vera vita.

I Giudei replicano con sarcasmo: "Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: Chi osserva la mia parola non conoscerà la morte in eterno? Sei tu più grande del nostro padre Abramo?”. Essi non comprendono che Gesù parla della morte eterna, non di quella corporale. È il solito fraintendimento mondano che rifiuta di elevarsi alla dimensione soprannaturale.

Nell’anima accecata dal peccato non c'è spazio per la comprensione dei misteri divini. Eppure, il Signore non smette di ammonire e illuminare. Egli sa che anche in cuori ostinati può germogliare la grazia: la sua perseveranza dell'insegnamento diviene esempio per ogni evangelizzatore e per ogni sacerdote.

Gesù continua con tono solenne e profondo: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio". Non agisce per vanagloria, ma per obbedienza e amore al Padre. In questo si manifesta l’umiltà perfetta del Verbo incarnato: Filius non potest a se facere quidquam, nisi quod viderit Patrem facientem (Gv 5,19). La Trinità agisce in perfetta unità, e la gloria del Figlio è la gloria del Padre.

Poi aggiunge: "Il vostro padre Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno: lo vide e fu pieno di gioia". Questo versetto è di una profondità mistica meravigliosa. Abramo, nostro padre nella fede, vide in spirito — secondo l’interpretazione patristica — il giorno del Cristo nel sacrificio di Isacco, figura del Calvario; e nell'incontro con Melchisedek, immagine del Sacerdozio eterno del Messia. Abramo riconobbe, nella promessa divina, la venuta del Cristo e ne fu ricolmo di gioia. È la gioia dei santi che, anche nell’Antico Testamento, attendevano colui che avrebbe riscattato gli uomini di buona volontà.

A questo punto, i Giudei rispondono con sdegno: "Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?" Essi rifiutano di credere alla preesistenza di Cristo. Ma Gesù dichiara solennemente: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". Questo è il punto più alto del brano e uno dei momenti più alti di tutta la rivelazione evangelica. Gesù non dice semplicemente “Io ero”, ma “Io Sono”: il Nome stesso di Dio, rivelato a Mosè sul Sinai. È una dichiarazione di consustanzialità col Padre. Non si tratta di una metafora, ma di un’affermazione esplicita della sua divinità eterna.

La reazione immediata dei Giudei — raccolsero, infatti, delle pietre per lapidarlo — conferma che essi avevano compreso il senso della sua affermazione. Eppure, accecati dall’invidia e dall'odio, non si prostrano davanti al Signore, ma lo vogliono uccidere. È il mistero del cuore indurito, che davanti alla luce si chiude in tenebra.

Gesù Cristo è il Dio vivente, il Verbo eterno, il “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”. E tuttavia, il mondo non lo ha riconosciuto (cfr. Gv 1, 10). Questo mistero di rifiuto, culminato nella Croce, è il cuore stesso della Quaresima: il Verbo fatto carne viene per salvare, e viene rigettato. Questo rifiuto diviene per noi mistero e sorgente di salvezza eterna.

Gaetano Masciullo

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