sabato 22 febbraio 2025

Quale tipo di terreno sei tu?

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 8, 4-15.

In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Iesum, díxit per similitúdinem: Éxiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres caéli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtae spinae suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Haec dícens clamábat: Qui habet áures audiénti, audiat. Interrogábant áutem eum discípuli eius, quae esset haec parábola. Quíbus ipse díxit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris áutem in parábolis: ut vidéntes non vídeant, et audiéntes non intélligant. Est áutem haec parábola: Semen est verbum Dei. Qui áutem secus viam, hi sunt qui áudiunt: deínde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audíerint, cum gáudio suscípiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus crédunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod áutem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus, et divítiis, et voluptátibus vitae eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod áutem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 8, 4-15.

In quel tempo, radunandosi una grandissima folla e affrettandosi verso Gesù da tutte le città, parlò per mezzo di una similitudine: "Uscì, colui che semina, a seminare la propria semenza e, mentre seminava, una parte cadde lungo la via e fu calpestata e gli uccelli del cielo la mangiarono. E un'altra parte cadde sopra la roccia: una volta germogliata, inaridì, perché non aveva umidità. Un'altra parte cadde tra le spine e le spine, cresciute insieme, la soffocarono. E un'altra parte cadde sulla buona terra: una volta germogliata, produsse frutto cento volte tanto". Dopo aver detto queste cose, esclamava: "Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti". Lo interrogavano dunque i suoi discepoli, che significasse questa parabola. Egli disse loro: "A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio, agli altri però per mezzo di parabole: affinché vedendo non vedano, e udendo non comprendano. Questa, dunque, è la parabola: la semenza è la parola di Dio. Ora, coloro che sono lungo la via, questi sono coloro che ascoltano: poi però viene il diavolo e toglie la parola dal loro cuore, affinché non si salvino credendo. Dopodiché, coloro che sono caduti sopra la roccia sono quelli che, dopo aver ascoltato, con gioia accolgono la parola, e questi non hanno radici. Essi credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione si ritirano. Ancora, la semenza che cadde tra le spine: questi sono coloro che hanno ascoltato, ma proseguendo vengono soffocati dalle sollecitudini e dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non portano frutto. Infine, la semenza sulla buona terra: questi sono coloro che conservano la parola in un cuore buono e perfetto e portano frutto nella pazienza.

Prima della Quaresima, è necessario preparare il cuore all'accoglienza della sua Parola. Infatti, come dice san Paolo, fides ex auditu, cioé: "la fede proviene dall'ascolto" (Romani 10, 17). Avere fede non significa avere fiducia, ma conoscere chi è Dio e che cosa fa per salvare la mia anima dal peccato, e crederci. La fede è una questione di intelletto e per questo proviene dall'ascolto della parola, cioé di una dottrina vera. La dottrina di Gesù Cristo, tramandataci dagli apostoli mediante la Chiesa.

Tuttavia, in questa parabola, Gesù ci mette molto in guardia dal fatto che ci sono impedimenti a noi esterni che possono ostacolare la ricezione di questa dottrina nel nostro cuore. Infatti, non basta sapere cosa Dio ha insegnato: bisogna anche credervi, cioé aderirvi con l'intelletto in maniera tale da orientare la propria volontà sulla base di quelle conoscenze. Certo la fede non è sufficiente alla salvezza, ma è necessaria, come la Scrittura attesta in più occasioni: "Senza la fede non è possibile piacere a Dio" (Ebrei 11, 6), mentre in un altro passo leggiamo che "anche i demoni credono e tremano" (Giacomo 2, 19), a dimostrazione che è possibile credere in Dio e comunque dannarsi. La fede è condizione necessaria ma non sufficiente alla salvezza eterna. La carità - in questa parabola simboleggiata dal frutto - è ciò che porta a perfezione la fede e garantisce salvezza. Tuttavia, non c'è autentica carità senza fede, così come non c'è frutto senza seme piantato nella buona terra. Infatti, le opere buone compiute senza la fede e senza la grazia non sono meritevoli agli occhi di Dio, com'è scritto: "per le opere della legge nessuno sarà giustificato" (Galati 2, 16). La filantropia non è dottrina biblica né cattolica.

Tornando alla parabola, Gesù ci indica quattro possibili esiti per coloro che ascoltano la Parola. Il primo esito è proprio di coloro che hanno la propria anima simile a una strada, cioé dura, impermeabile all'azione divina. Questi ascoltano, cioé conoscono ciò che la Chiesa insegna, ma non vi credono perché hanno un ostacolo interiore, che può essere di varia natura, ma più abitualmente è la superbia che indurisce il cuore. La superbia, infatti, è la madre di tutti i vizi. La strada rappresenta allora l'incredulità, In questo caso, bisogna pregare che Dio rompa questo ostacolo. Il diavolo facilmente divora il seme della Parola, cioè fa dimenticare quanto appreso. Per rompere questo strato di roccia dura, sedimentata, lavorata dal vizio, e fare emergere la terra che vi è sotto bisogna anzitutto picconarla. Poi la terra va rassodata, inumidita, fertilizzata. Così spesso fa Dio: egli umilia il cuore indurito dell'uomo per predisporlo alla sua Parola, affinché si realizzi ciò che è profetizzato, "toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne." (Ezechiele 36, 26).

C'è poi l'esito di coloro che ascoltano la parola di Dio e credono, ma, illudendosi che sia foriera di gioie, si lasciano andare ad entusiasmi puerili e facili. Però sta scritto: "Il timore di Dio è una scuola di sapienza: prima della gloria c’è l’umiltà" (Proverbi 15, 33). Dio promette la gloria, ma per raggiungerla bisogna spogliarsi di se stessi e lasciarsi riempire, inabitare dallo Spirito Santo. Bisogna inevitabilmente passare per la croce, prima o poi, se si vuole raggiungere la gloria della Resurrezione. Ci sono persone che hanno il cuore simile a un terreno sassoso. Questi sassi spirituali impediscono alla Parola di Dio di avere effetto nell'anima e rappresentano i vizi, cioé le abitudini a compiere ciò che è male e sgradito a Dio. Chi ha sempre il riso sciocco e facile sulla bocca è una persona spiritualmente e psicologicamente immatura. Il Signore qui ci avverte, e con lui tanti Padri e Dottori della Chiesa, che la gioia non è semplice sintomo di grazia: esiste quella che san Tommaso d'Aquino chiamava "sciocca letizia". I vizi, come i sassi, impediscono al seme, cioé alla Parola, di fare radici, cioé di perseverare nella fede. Le radici sono ciò che portano acqua alla pianta e l'acqua è nella Scrittura il simbolo della grazia. Infatti, solo chi rimane in grazia di Dio può crescere spiritualmente. Il peccato, generato dal vizio, non consente alla grazia di Dio di trasformare il nostro cuore.

Ci sono poi coloro che, pur ascoltando e credendo, cioé avendo fede, si lasciano prendere dai pensieri cattivi, cioé dalle preoccupazioni mondane. Qui il Signore ci mette in guardia dai peccati di pensiero, che sono molto più pericolosi di quanto si creda. Il Signore mette in particolare in evidenza tre generi di peccati di pensiero, cioé quelli che hanno a che fare con l'avarizia e la sensualità (gola e lussuria), ma anche quelli che hanno a che fare con le cose lecite di ogni giorno. "A ciascun giorno basta la sua pena", dice il Signore. Gesù qui ci dice una cosa molto interessante: i rovi crescono insieme alla pianta buona, cioé i pensieri cattivi crescono insieme alla fede, ma poi la soffocano, impedendole di generare la carità. Dobbiamo stare attenti: le preoccupazioni e le ansie mondane non devono soffocare la nostra fede, ma devono lasciare la pianta libera di respirare (speranza) affinché possa divenire più alta dei rovi e produrre frutto.

Ci sono quindi coloro che ascoltano, credono e producono frutto, cioé carità, atti di amore verso Dio e verso il prossimo, perché hanno il cuore "buono e perfetto" - spiega il Signore - in quanto è stato lavorato "nella pazienza", cioé nella penitenza e nelle croci quotidiane. Bisogna vangare la terra per renderla fertile e per conservarla tale. Lo stesso vale con la nostra anima, affinché produca "frutto cento volte tanto". La carità, infatti, nutre le anime di coloro che ci sono vicini, ma come il frutto ha in se stesso il seme per generare nuova vita a propria stessa immagine, così colui che non ha semplicemente la fede, ma ha generato la carità, può attechire con la propria vita nel cuore del prossimo, e condurlo a Dio nella fede, affinché a sua volta il prossimo generi "frutto cento volte tanto".

Gaetano Masciullo

sabato 15 febbraio 2025

Settuagesima: la Misericordia completa, non contraddice, la Giustizia


Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 20, 1-16.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: Símile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne áutem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod iústum fúerit, dabo vobis. Illi áutem abiérunt. Íterum áutem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero áutem factum esset, dicit dóminus víneae procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes áutem et primi, arbitráti sunt quod plus essent acceptúri: accepérunt áutem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt, et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi, et aestus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non fácio tibi iniúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo áutem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculos tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, páuci vero elécti.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 20, 1-16.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un uomo padre di famiglia, il quale uscì di prima mattina per condurre degli operai nella propria vigna. Dopo aver dunque stipulato con gli operai l'accordo di un denaro al giorno, li inviò nella propria vigna. E uscito, verso l’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: 'Andate anche voi nella mia vigna, e io vi darò quello che sarà giusto'. Quelli, allora, ci andarono. Uscì di nuovo, tuttavia, verso l’ora sesta e verso l’ora nona; e agì in maniera simile. Uscì persino verso l’ora undicesima, e ne trovò altri che se ne stavano fermi, e disse loro: 'Perché state qui tutto il giorno oziosi?' Quelli risposero: 'Perché nessuno ci ha presi con sè'. Ed egli disse loro: 'Andate anche voi nella mia vigna'. Quando allora fu fatta sera, il padrone della vigna disse al suo amministratore: 'Chiama gli operai, e rendi loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi'. Quando dunque giunsero coloro che erano andati verso l’ora undicesima, ricevettero un denaro ciascuno. Venuti poi anche i primi, ritennero che ne avrebbero ricevuti di più: ma ricevettero anch’essi un denaro ciascuno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: 'Questi ultimi hanno lavorato per un’ora e li hai resi pari a noi, che abbiamo sopportato il peso del giorno, e del caldo'. Ma quegli, rispondendo a uno di loro, disse: 'Amico, io non ti faccio torto: non ti sei forse accordato con me per un denaro? Prendi ciò che è tuo, e va': voglio, infatti, dare anche a quest’ultimo quanto a te. Oppure non mi è lecito fare ciò che voglio? Oppure il tuo occhio è perverso, perché io sono buono?' Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi. Molti, infatti, saranno i chiamati, pochi invece gli eletti".

La parabola dei lavoratori della vigna è tradizionalmente il vangelo di Settuagesima (settanta giorni prima di Pasqua), cioé viene posto all'inizio di quel periodo che precede la Quaresima e che nel complesso prepara al grande evento liturgico della Pasqua di Resurrezione del Signore Gesù.

Il motivo di tale scelta è dovuto al fatto che la giornata di lavoro rappresenta qui anzitutto la storia dell'umanità e le settimane sono sette perché sette, tradizionalmente, sono le fasi della storia umana: (1) da Adamo a Noè, (2) da Noè ad Abramo, (3) da Abramo a Mosè, (4) da Mosè a Davide, (5) da Davide alla cattività babilonese, (6) dalla cattività babilonese a Cristo, (7) da Cristo alla fine dei tempi.

Sono ovviamente fasi convenzionali, non uniformi dal punto di vista cronologico e quantitativo, ma distinte secondo un ordine simbolico che vede il proprio fondamento nella Scrittura. Esse sono sette: il numero - come già visto in altre occasioni - è fortemente simbolico, perché richiama la perfezione naturale, ferita dal peccato originale, ma restaurata dal sacrificio di Cristo. E in tal senso il richiamo pasquale è evidente. 

Venendo alla parabola dei lavoratori della vigna, bisogna fare alcune considerazioni importanti. Anzitutto, Gesù ci dice che il Regno dei cieli è simile a un padre di famiglia che è proprietario di una vigna; cioé il Regno dei cieli è Dio stesso, che viene qui indicato significativamente come Padre e viene presentato in riferimento alla Chiesa in un duplice modo. La Chiesa è al contempo (1) la famiglia di Dio, cui egli dunque provvede proprio come fa un padre con i figli, è cioè il fine della propria azione; (2) ma la Chiesa è anche la vigna di cui il padre è proprietario, cioé è anche il mezzo con cui provvede al bene dei figli e qui è reso evidente il riferimento ai sacramenti: come un padre si prende cura dei figli lavorando la vigna e prendendo dalla vigna il necessario per sostentare la prole, così Dio si prende cura dei suoi figli prendendo dalla Chiesa i mezzi per sostentarli (in particolare l'Eucarestia).

Vediamo poi che questo padre di famiglia esce di casa cinque volte durante il giorno, ogni tre ore. Esce anzitutto all'alba (convenzionalmente le sei del mattino), poi all'ora terza (nove di mattino), poi all'ora sesta (mezzogiorno), poi all'ora nona (tre del pomeriggio), poi all'undicesima ora (cinque del pomeriggio). Significativamente l'undicesima ora è l'ora prima del tramonto, che rappresenta la fine della storia. Si badi bene: qui la storia non finisce con la fine dei tempi, ma con la venuta di Cristo. Infatti, il sacrificio di Cristo sulla croce ha in un certo senso "consumato" la storia (consummatum est) e sconfitto già in maniera definitiva satana, anche se la Chiesa dovrà amministrare fino alla parusia gli effetti di questa vittoria già avvenuta.

Da Adamo a NoèDa Noè ad Abramo Da Abramo a Mosè Da Mosè a Davide Da Davide a Babilonia Da Babilonia a Cristo Da Cristo alla Parusia
Alba
(6:00 AM)
Ora terza
(9:00 AM)
Ora sesta
(12:00 PM)
Ora nona
(3:00 PM)
Ora undicesima
(5:00 PM)
Sera
(6:00 PM)
Notte

Cristo è dunque venuto al momento della paga, nel momento in cui redime l'umanità sulla Croce, istituisce la Chiesa e amministra i meriti della Redenzione tramite i sacerdoti della Nuova Alleanza e in particolare il Papa, misticamente simboleggiato qui dall'amministratore della vigna. Il Papa, infatti, è per così dire l'amministratore della Chiesa. 

Chi sono, dunque, gli ultimi di cui parla qui Gesù? Sono anzitutto coloro che non appartengono al popolo di Israele, coloro che hanno ricevuto anticamente e direttamente l'elezione e la promessa del Messia. Per questo, l'evangelista dice che il padrone si rivolge "a uno di loro" in particolare, non a tutti, cioé gli israeliti, i quali, se consideriamo la tabella superiore, non sono a onor del vero neanche i primissimi chiamati, ma quelli dell'ora sesta (da Abramo a Mosè), che cioé sono stati chiamati all'esatta metà del giorno. Per così dire, a metà della storia dell'umanità.

Prima della chiamata di Dio, i popoli restano immobili e oziosi in piazza. Misticamente, ciò significa che senza la vocazione, senza il senso indicato dal Signore alla vita di ciascuno di noi, non possiamo che restare immobili e oziosi, sonnolenti, con una volontà debole, confusi, perché non capiamo cosa fare della nostra vita, verso dove orientare le nostre azioni e i nostri desideri passeggeri, mutevoli, incostanti. Solo Dio dà il lavoro spirituale, che produce il frutto che non marcisce, cioé la grazia.

Quando dunque vengono gli operai, cioé i vari popoli chiamati nel corso della storia a partecipare di questo grande progetto divino di salvezza, ecco che vengono chiamati prima gli ultimi, cioé i pagani. Così è avvenuto nella storia della Chiesa. I pagani hanno accolto il vangelo più volentieri e più prontamente degli altri, com'è scritto: "Vi sia dunque noto che questa salvezza di Dio è stata mandata ai Gentili, ed essi l'ascolteranno" (Atti 28, 28). Alla fine anche i primi vengono chiamati. E questi mormorano contro il padrone. 

Assistiamo allora al modo molto particolare con cui il padrone ordina di distribuire la paga agli operai. Tutti ricevono un denaro, cioé tutti ricevono la stessa paga degli operai chiamati all'alba. "Uno di loro" - gli israeliti - si lamenta in maniera particolare: "Questi ultimi hanno lavorato per un’ora e li hai resi pari a noi". Infatti, con l'avvento di Cristo, mediante la grazia, tutti gli uomini vengono riportati ad uno stato di uguaglianza originale: "Non c'è più giudeo né greco, né schiavo né libero", dirà san Paolo. 

Eppure, non solo gli operai dell'undicesima ora sono stati privilegiati, ma anche buona parte di quelli che mormoravano, perché anche loro hanno ricevuto un intero denaro, quanto, a rigor di logica, avrebbero dovuto ricevere proporzionalmente di meno in base alle ore di lavoro. E gli israeliti, chiamati a metà giornata, avrebbero dovuto ricevere solo metà denaro.


Qual è la logica che c'è dietro la decisione del padre di famiglia? E' presto detto. A tutti egli dà quanto è giusto. Giustizia è dare a ciascuno secondo il merito. Dunque ciascuno riceve una ricompensa diversa. Dio però conosce bene anche ciò di cui l'uomo ha bisogno, anche se non lo merita, e provvede: questa è la misericordia. Dio sa che l'uomo ha bisogno della grazia nella sua pienezza (un intero denaro) per tornare suo amico e, siccome egli è buono ed è padrone di fare ciò che vuole con le proprie cose, ecco che alla paga di ciascuno aggiunge quanto manca per raggiungere la somma intera di un denaro.     

Ecco dunque che all'operaio invidioso (invidiare vuol dire letteralmente "vedere di traverso", ed ecco perché il padre di famiglia dice all'operaio di avere l'occhio perverso) Dio dice: reagisci così perché sono buono, cioé misericordioso? Quegli operai invidiosi, molto probabilmente, si allontanano, rifiutano il denaro perché non accettano di essere stati trattati, a loro dire, ingiustamente. Essi serbano rancore verso il padrone della vigna, e non capiscono che la loro nozione di giustizia è imperfetta. Ecco perché non basta essere chiamati dall'amministratore per essere salvati. Molti sono i chiamati, ma pochi rispondono a questa chiamata e quindi vengono "eletti", cioé scelti e salvati. Quanto è distante questo messaggio da ciò che sentiamo dire spesso dai pulpiti, e cioé che Dio salvi tutti indistintamente.

Gaetano Masciullo

sabato 8 febbraio 2025

Cosa fare se la Chiesa è occupata da eretici? Lo spiega Gesù

V Domenica dopo l'Epifania

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 13, 24-30.

In illo témpore: Dixit Iesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum coelórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum áutem dormírent hómines, venit inimícus eius, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum áutem crevísset herba, et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes áutem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi áutem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non, ne forte colligéntes zizánia, eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite útraque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizánia, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum áutem congregáte in hórreum meum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 13, 24-30.

In quel tempo, Gesù disse alle folle questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un uomo che seminò del buon seme nel proprio campo. Quando però gli uomini dormivano, sopraggiunse il suo nemico e vi seminò sopra della zizzania, in mezzo al grano, e si allontanò. Quando però l'erba fu cresciuta e produsse il frutto, comparve allora anche la zizzania. Recandosi perciò i servi dal padre di famiglia, gli dissero: 'Signore, non hai forse seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove dunque proviene la zizzania?' Ed egli a loro: 'Un uomo nemico ha fatto questo'. I servi allora gli dissero: 'Vuoi che andiamo e la raccogliamo?' Ed egli disse: 'No, perché forse, raccogliendo la zizzania, strappereste con essa anche il grano. Lasciate che l’uno e l’altra crescano fino alla mietitura e, al tempo della mietitura, dirò ai mietitori: Raccogliete per prima la zizzania, e legatela in fastelli per bruciarla. Il grano, invece, raccoglietelo nel mio granaio'".

Secondo l'insegnamento autorevole di san Tommaso d'Aquino, questa famosissima parabola della zizzania serve a illustrare tutti gli impedimenti alla dottrina evangelica che provengono da dentro la Chiesa, anziché dall'esterno (vedi a tal proposito la parabola del seminatore; cfr. Matteo 13,1-23).

Il seminatore della parabola rappresenta lo stesso Cristo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il Regno di Dio non è il Paradiso, ma Dio stesso, cioé Gesù Cristo. Il Regno di Dio non è tanto un luogo, quanto una persona, che inabitando l'uomo redento con il suo Spirito rende lo stesso uomo coerede di Cristo, cioé altrettanto sovrano. Il Signore, dunque, semina nel proprio campo, cioé nel mondo, la semente dei santi. In altri passi della Scrittura, infatti, il seme rappresenta la Parola di Dio, ma in questo caso il seme rappresenta i santi, perché più avanti lo stesso Gesù spiega che "il buon seme sono i figli del regno" (Matteo 13, 38). Questa immagine è molto bella: come il seme propaga la vita biologica, così i santi propagano la vita spirituale. Dio, dunque, è l'origine del bene che c'è nel mondo.

Nel mondo, però, c'è anche il male. E l'origine di questo male è spiegata dal Signore con un ordine preciso. Anzitutto, il Signore indica l'occasione che permette al male di insinuarsi nel mondo. I custodi - si dice - "dormivano", cioé coloro che sono chiamati da Dio a sorvegliare sul mondo, gli uomini di Chiesa. E' per colpa del sonno, cioé della pigrizia spirituale e del peccato, che il male riesce ad insinuarsi nel mondo. I custodi, invece, (e ricordiamo che 'vescovo' in greco significa proprio 'custode') devono sempre vigilare sulla Chiesa loro affidata.

Ecco allora che il nemico, cioé il diavolo, entra nel mondo e vi semina sopra la zizzania. Chi ha dimestichezza con le specie botaniche, sa che la zizzania è una pianta che assomiglia tantissimo al frumento. Solo un occhio esperto può distinguerla dal grano. Il male, allo stesso modo, preferisce opporsi al male non in maniera di contrasto (come il nero si oppone al bianco), ma secondo somiglianza. Per questo anche san Paolo avvertirà: "Satana si traveste da angelo di luce" (2Corinzi 11, 14). Il seme del diavolo, cioé la zizzania, rappresenta i figli delle tenebre, soprattutto gli eretici. I maestri di eresie, infatti, si mostrano al popolo di Dio sotto l'apparenza del bene e della sapienza, ma con i loro errori, spesso piccoli all'inizio, conducono a gravi conseguenze. Come scrive san Paolo: "Desiderano essere maestri della legge, ma non capiscono né ciò che dicono né ciò che affermano con sicurezza" (1Timoteo 1, 7).

Si noti che, precedentemente, l'evangelista ha usato il verbo "seminare" a proposito del seminatore, mentre ora usa un verbo diverso (superseminavit), cioé "seminò sopra". Questo perché, sia da un punto di vista storico sia da un punto di vista logico, viene prima la retta dottrina, e poi l'eresia. Dice inoltre: "in mezzo al grano". Il diavolo, infatti, non si preoccupa se alcuni sono eretici tra i pagani, perché li possiede già tutti, ma in mezzo al grano, cioé al popolo fedele. Dice anche che il diavolo, dopo aver seminato l'errore, "se ne andò", cioé si rese nascosto. Qualcuno dice, giustamente, che il capolavoro di Satana è convincere l'umanità della propria inesistenza. Quando Satana istiga l'uomo a compiere il male, non sempre coopera al male: se tutto andasse secondo i suoi desideri, infatti, si potrebbe facilmente discernere e individuare l'origine maligna; poiché, invece, egli si nasconde dopo aver ispirato la cattiva azione o il cattivo pensiero, ecco che più facilmente si maschera da "angelo di luce".

Il Signore Gesù spiega poi il processo con cui il bene e il male coesistono nella Chiesa. All'inizio, quando viene seminata, le due piante non appaiono e ciò può riferirsi sia al grano sia alle zizzania. San Paolo spiega riguardo che, quando l'uomo è spiritualmente piccolo, non è in grado di discernere, ma, quando cresce e produce frutto, allora diventa spirituale e capisce: "Lo spirituale discerne tutto" (1Corinzi 2, 15). San Giovanni Crisostomo commenta dicendo una cosa molto interessante sul modo di agire degli eretici. Costoro, inizialmente, non si manifestano, perché nascondono la propria dottrina e predicano anzitutto cose buone ai laici; dopodiché, inseriscono nella loro predicazione cose cattive sugli uomini di Chiesa, che vengono ascoltate volentieri; e così distolgono il popolo dall'amore verso i chierici e quindi verso la Chiesa. Dopodiché, quando i laici accolgono la dottrina di questi maestri, ecco che giunge per loro il momento di manifestare la malizia dell'eresia.

Ci sono poi custodi buoni e fedeli che subito vogliono sradicare la zizzania. Ci sono cioé uomini di Chiesa che, a causa dello zelo, dell'amore che provano verso il Signore, trovano inaccettabile il fatto che nella sua Chiesa possano esserci eretici che agiscono e predicano apertamente insieme a loro. Il Signore dice: "Un uomo nemico ha fatto questo". Questa sottolineatura di "uomo" è importante, perché è vero che satana istiga l'uomo ad agire e pensare male, ma è l'uomo che pecca, è l'uomo che diviene responsabile del male che produce quando si lascia ispirare da satana.

Il Signore però ci insegna che bisogna tollerare il male. Tollerare significa esercitare la pazienza, che è una virtù della temperanza. Ora il temperante è colui che sa bene contare il tempo (come la parola stessa 'temperanza' suggerisce). Cunctando regitur mundus, dicevano gli antichi: "Temporeggiando si governa il mondo". La tolleranza del malvagio è ribadita anche in altri passi della Scrittura. Per esempio, in Qoelet si legge: "Perché la sentenza contro i malvagi non è eseguita prontamente, i figli degli uomini sono senza paura e commettono il male." (Qo 8, 11). 

Il motivo di questo temporeggiamento divino è dovuto al fatto che il bene può esistere senza il male, ma il male non può esistere senza il bene; quindi il Signore tollera molti mali affinché si compiano o non si perdano molti beni. Perciò egli aggiunge che, sradicando il male, si rischia fortemente di sradicare anche il bene. San Tommaso d'Aquino spiega che ci sono quattro motivi per cui i malvagi non dovrebbero essere sradicati a causa dei buoni:

1) I maligni (cioé gli eretici) temprano e fortificano i buoni, sia dottrinalmente sia moralmente: "Devono esserci eresie, affinché quelli che sono approvati siano manifesti tra di voi" (1Corinzi 11, 19); e in un altro passo: "Chi è stolto servirà il saggio" (Pro 11, 29).
2) I maligni possono diventare buoni, cioé possono convertirsi, come avvenne per san Paolo. Quindi, se Paolo fosse stato ucciso, ci saremmo privati della dottrina di un grande maestro.
3) I buoni possono confondersi, perché taluni sembrano malvagi, ma non lo sono.
4) Molti maligni hanno grande influenza sulle persone e quindi, se fosse escluso subito, trascinerebbe molti con sé, e così, con quel malvagio, molti perirebbero.

C'è però un tempo massimo. La pazienza non è mai eterna, neanche quella di Dio. Il tempo della mietitura rappresenta la fine dei tempi, la fine della storia, quando il Signore Gesù ritornerà per giudicare definitivamente l'umanità, farla risorgere con un corpo incorruttibile, e dividere per sempre i beati dai dannati. I mietitori rappresentano gli angeli (cfr. Matteo 13, 49). Nella mietitura, vediamo un ordine inverso rispetto a quello della semina. Durante la semina, prima fu piantato il buon seme, poi sopraggiunge il seme cattivo; adesso, prima viene raccolta la zizzania, poi il frumento. I maligni, infatti, saranno separati dal mondo, che sarà trasfigurato alla fine dei tempi. E saranno legati in piccoli fasci, cioé subiranno una pena eterna: chi viene legato, infatti, non può muoversi; e gettati nel fuoco eterno: subiranno cioé una pena che causa dolore estremo, analogo (e anzi peggiore) a quello che il fuoco materiale procura sul corpo.

I buoni, invece, sono come il frumento nel granaio: cioé godono di purezza, di unità e di pace. Come il frumento viene sgranato, così i santi saranno liberati di tutte le impurità; come il frumento viene raccolto senza essere legato, così i santi saranno concordi nell'unità della Chiesa trionfante; come il frumento viene posto al sicuro nel granaio, così i santi godranno della pace e della tranquillità eterna del Cielo.

Gaetano Masciullo 

sabato 1 febbraio 2025

Il grande mistero nascosto dietro il rito della Purificazione

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 2, 22-32.

In illo témpore: Postquam impleti sunt dies purgatiónis Maríæ, secúndum legem Moysi, tulérunt Iesum in Ierúsalem, ut sísterent eum Dómino, sicut scriptum est in lege Dómini: Quia omne masculínum adapériens vulvam sanctum Dómino vocábitur. Et ut darent hóstiam, secúndum quod dictum est in lege Dómini, par túrturum aut duos pullos columbárum. Et ecce, homo erat in Ierúsalem, cui nomen Símeon, et homo iste iustus et timorátus, exspéctans consolatiónem Israël, et Spíritus Sanctus erat in eo. Et respónsum accéperat a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi prius vidéret Christum Dómini. Et venit in spíritu in templum. Et cum indúcerent púerum Iesum parentes eius, ut fácerent secúndum consuetúdinem legis pro eo: et ipse accépit eum in ulnas suas, et benedíxit Deum, et dixit: Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, secúndum verbum tuum in pace: Quia vidérunt óculi mei salutáre tuum: Quod parásti ante fáciem ómnium populórum: Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.

Seguito del Santo Vangelo secondo Luca 2, 22-32.

In quel tempo, dopo che furono terminati i giorni della purificazione di Maria, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: "Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore"; e per fare l’offerta, come è scritto nella legge di Dio: "un paio di tortore o due piccoli colombi". Vi era allora in Gerusalemme un uomo chiamato Simone, e quest’uomo giusto e timorato aspettava la consolazione di Israele, e lo Spirito Santo era in lui. E lo Spirito Santo gli aveva rivelato che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore. Condotto dallo Spirito andò al tempio. E quando i parenti vi recarono il bambino Gesù per adempiere per lui alla consuetudine della legge, questi lo prese in braccio e benedisse Dio, dicendo: "Adesso lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato dinanzi a tutti i popoli, luce per rivelare alle genti e gloria del popolo tuo, Israele".

Avevamo visto che, come prescritto dalla Legge, otto giorni dopo la sua nascita, Gesù fu circonciso e gli fu imposto il nome, presumibilmente in una sinagoga o addirittura in casa. Quaranta giorni dopo, sempre secondo la Legge mosaica, la santa famiglia si reca a Gerusalemme per obbedire a due prescrizioni rituali dell'antica Legge: la purificazione di Maria santissima e la presentazione del figlio, in quanto maschio primogenito. 

Abbiamo dunque qui due protagonisti: la Madre e il Figlio, la Nuova Eva e il Nuovo Adamo. La prima non aveva bisogno della purificazione, perché, essendo immacolata, cioé concepita senza peccato originale, di quel peccato non soffriva le conseguenze corporali. Eppure, Maria si umilia e obbedisce alla prescrizione, per non insuperbirsi e per non essere occasione di scandalo per il prossimo. 

In Levitico 12, 1-8, viene prescritto il rito della purificazione. Questo rito ricordava alle donne di Israele che il dolore del parto e la condizione fisica che ne scaturiva, spesso di infermità e di perdite, è segno del fatto che l'essere umano trasmette la propria natura corrotta (cioé il peccato originale) ai figli e, se non fosse stato per l'espiazione di Cristo e la santificazione dello Spirito Santo, la benedizione originale, "Crescete e moltiplicatevi" (Gn 1, 28), sarebbe diventata una maledizione, poiché ci trasmette la colpa antica e le sue pene annesse. Analogo è il senso del rito della circoncisione per i maschi. 

Inoltre, il Levitico prescriveva quanto segue. Se la madre partoriva un maschio, allora doveva essere considerata "impura" per quaranta giorni (7 + 33); se la madre partoriva una femmina, allora doveva essere considerata "impura" per ottanta giorni (14 + 66), cioé lo stesso periodo del figlio maschio moltiplicato due volte. Dietro queste prescrizioni ci sono precisi riferimenti simbolici. Infatti, per l'antica mentalità ebraica, i numeri sono simboli, veicoli di insegnamenti. Il numero sette ricorda la perfezione naturale. Quando una nuova vita viene alla luce, in un certo senso la creazione - biblicamente condotta a termine in sette giorni - si rinnova. Il numero trentatré ha a che fare con la divinità: il numero 3 è infatti un riferimento, ancora implicito nell'Antico Testamento, alla Trinità. Il numero 40 significa la prova, o meglio la penitenza, che il credente è chiamato a vivere per riscattarsi. Infatti, è la moltiplicazione di 4 x 10, dove il 4 è il numero dell'uomo e 10 il numero della giustizia (pensiamo ai dieci comandamenti). Questo stesso periodo viene raddoppiato nel caso in cui nasce una femmina. Nel linguaggio biblico, il ripetere è segno di conferma, di esaltazione: questa dilatazione del tempo riflette un accresciuto senso del mistero della trasmissione della vita. La bambina condivide con la madre la stessa condizione, perché essa stessa un giorno potrebbe generare vita. Quindi cosa significano queste prescrizioni fuor di metafora? 

C'è una rivelazione meravigliosa per le donne in questo passaggio. Il parto può essere vissuto (non è un automatismo) come partecipazione della redenzione di Cristo, se la donna sa e vive quel dono meraviglioso che è la gravidanza come una giusta pena del peccato originale che innesta nella vita divina. Per questo san Paolo dirà in maniera molto concisa, molto diretta: "La donna si salva partorendo figli, purhcé perseveri nella fede, nella carità e nella santità con la modestia" (1Timoteo 2, 15). E' la grande confutazione biblica alle follie moderne delle femministe.

Gaetano Masciullo

Quale tipo di terreno sei tu?

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 8, 4-15. In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Iesum, díxit...