sabato 31 agosto 2024

Cristo muta la Chiesa da vedova a Sposa e Madre

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 7, 11-16.

In illo témpore: Ibat Iesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli eius et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. - Hi autem, qui portábant, stetérunt. - Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et cœpit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 7, 11-16.

In quel tempo, Gesù andava verso una città chiamata Nain, seguito dai suoi discepoli e da gran folla. E giunse vicino alla porta della città mentre si portava a seppellire il figlio unico di una vedova, la quale era accompagnata da un gran numero di persone. Vedutala, il Signore, mosso a compassione di lei, le disse: "Non piangere". Si avvicinò alla bara e la toccò. - Quelli che la portavano si fermarono. - Egli disse: "Ragazzo, a te dico, alzati". Il morto si alzò a sedere, e cominciò a parlare, e Gesù lo rese a sua madre. Tutti furono presi da gran timore e glorificavano Dio, dicendo: "Un profeta grande è apparso tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo".

Oggi la Chiesa ci invita a riflettere sul ruolo essenziale che essa riveste nella vita dei credenti. Ogni vero cristiano non ha solo genitori secondo la carne, ma anche genitori secondo lo spirito. Il nostro Padre spirituale è Dio stesso, che ci ha rigenerati nella vera vita, quella di grazia e di eternità, attraverso il Suo Figlio, Gesù Cristo. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che abbiamo anche una Madre spirituale.

Questa Madre è la Chiesa, rappresentata oggi nella lettura evangelica come la vedova di Nain, che guida il corteo funebre del suo unico figlio. Riflettiamo, dunque, sulle caratteristiche di questa madre addolorata, colpita dal più profondo dolore che una donna possa provare: la perdita di un figlio. La vedova rappresenta la Chiesa, che, al tempo di Cristo, era identificata con il popolo di Israele, custode delle antiche promesse e dell'Alleanza con Dio. 

Tuttavia, Israele aveva tradito questa Alleanza a causa di precetti umani e dell’invidia delle sue autorità, riducendosi così alla condizione di una vedova: "È diventata come una vedova, la grande tra le nazioni" (Lamentazioni 1, 1). In questo contesto, Cristo si avvicina a questa donna, simbolicamente rappresentando Dio che si avvicina alla sua Chiesa, come uno sposo che torna dalla propria sposa, realizzando così la promessa: "Non rimarrò vedova, non conoscerò la perdita dei figli" (Isaia 47, 8).

Inoltre, è importante osservare che questa donna non è solo vedova, ma anche madre, e il suo dolore nasce dalla perdita prematura del suo unico figlio. Anche la Chiesa è una madre che, spesso, si trova impotente di fronte alla morte spirituale dei suoi figli. Il figlio della vedova è definito "unigenito", proprio come l'umanità intera è unica agli occhi di Dio, ma è morta spiritualmente a causa del peccato originale e personale. 

Il fatto che il figlio della vedova sia morto giovane, ancora nel fiore dell'età, è significativo: Gesù, infatti, lo chiama "adolescente", al momento della resurrezione. Nell'uso scritturale, l'adolescenza rappresenta simbolicamente lo stadio in cui si è introdotti alle verità della fede, ma in cui la volontà è ancora debole e incline a cedere alla tentazione: "Adolescenti, siate sottomessi agli anziani" (1 Pietro 5, 5). I figli della Chiesa sono più vulnerabili, più esposti alla perdita della grazia attraverso il peccato, poiché non hanno ancora imparato a perseverare nella carità, cioé nella grazia. È importante sottolineare che questa "adolescenza spirituale" non dipende dall'età anagrafica.

Gesù è venuto per redimere l'intera umanità, non solo il popolo di Israele, e per riunirsi con la sua comunità, che è la sua sposa e il suo Corpo mistico. Le genti che non conoscevano il Dio dell'Antica Alleanza sono rappresentate in questo episodio dalle persone che seguono il corteo funebre, che si trasforma in una celebrazione della vita. Ora, tutte le genti sono invitate a partecipare alle nozze mistiche dell'Agnello con la sua Chiesa.

Un aspetto molto significativo di questo passo evangelico è il momento in cui il giovane, risorto dalla morte, si siede sulla bara e inizia a parlare. Questo gesto non è casuale, ma rappresenta l'atteggiamento del maestro che, seduto in cattedra, insegna la verità. Simbolicamente, questo gesto indica che ogni cristiano, redento dal sangue di Cristo, partecipa della sua natura di Figlio, che è sacerdote, re e profeta. Il giovane siede sulla bara, perché in Cristo ogni credente ha sconfitto la morte per sempre. 

"E Gesù lo restituì a sua madre": la restituzione del giovane alla madre, la Chiesa, sottolinea il legame indissolubile tra il credente e la comunità ecclesiale. È nella Chiesa che troviamo sostegno, guida e orientamento necessario per crescere nella fede. La Chiesa, come madre premurosa, accoglie i suoi figli risorti alla vita della grazia, nutrendoli con i sacramenti e la Parola di Dio, affinché possano perseverare nella fede fino alla fine.

Infine, questo miracolo ci ricorda che la Chiesa, pur attraversando periodi di prova e dolore, è sempre sostenuta dalla presenza vivificante di Cristo. Egli non permette che essa rimanga vedova o che perda i suoi figli, ma continuamente interviene per risuscitarla e rinnovarla, affinché possa continuare la sua missione di condurre tutte le anime alla salvezza. La Chiesa, dunque, non è semplicemente un’istituzione umana, ma il luogo dove si manifesta l’opera redentrice di Cristo, dove i fedeli, riconciliati con Dio, camminano insieme verso la vita eterna.

Gaetano Masciullo

sabato 10 agosto 2024

Gesù si piega sulle nostre ferite

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam 10, 23-37

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens iustificáre seípsum, dixit ad Iesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Iesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Ierúsalem in Iéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera eius, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in iuméntum suum, duxit in stábulum, et curam eius egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Iesus: Vade, et tu fac simíliter.

Seguito del S. Vangelo secondo Luca 10, 23-37

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete. Vi dico, infatti, che molti profeti e re vollero vedere le cose che vedete voi e non le videro, e udire le cose che udite voi e non le udirono". Ed ecco che un dottore della legge si alzò per tentare il Signore, e disse: "Maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?" Gesù rispose: "Che cosa è scritto nella legge? Che cosa vi leggi?" E quello: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente: e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai detto bene: fa' questo e vivrai". Ma quegli, volendo giustificarsi, chiese a Gesù: "E il prossimo mio chi è?" Allora Gesù prese a dire: "Un uomo, mentre discendeva da Gerusalemme a Gerico, si imbatté nei briganti, che lo spogliarono e, feritolo, se ne andarono lasciandolo semivivo. Avvenne allora che un sacerdote discendesse per la stessa via: visto quell’uomo, passò oltre. Similmente un levita, passato vicino e avendolo visto, si allontanò. Ma un samaritano, che era in viaggio, arrivò vicino a lui e, vistolo, ne ebbe compassione. Accostatosi, fasciò le ferite versandovi l’olio e il vino e, postolo sulla propria cavalcatura, lo condusse in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, presi due denari, li dette all’albergatore, dicendo: Abbi cura di questi, e quanto spenderai in più te lo rimborserò al mio ritorno. Chi di quei tre ti sembra che sia stato prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei briganti?" Il dottore rispose: "Colui che ebbe compassione". E Gesù gli disse: "Vai e fa' lo stesso anche tu".

La parabola del Buon Samaritano è spesso oggetto di interpretazioni errate e viene talvolta utilizzata per giustificare una visione filantropica della religione, suggerendo che ciò che veramente importa a Dio è l'amore per il prossimo o, come si dice oggi, la "giustizia sociale". Questo approccio, tuttavia, non rispecchia fedelmente l'insegnamento della Scrittura e del Magistero della Chiesa.

Per questo motivo, la Chiesa non si limita a proclamare la parabola del Buon Samaritano, ma include anche il contesto in cui Gesù la racconta. Un Dottore della Legge, un esperto della Scrittura, pone a Gesù una domanda apparentemente semplice: cosa devo fare per ottenere la vita eterna, ovvero per salvarmi? Questa è una domanda fondamentale per l'essere umano, la domanda per eccellenza. Di fronte ai limiti della vita terrena, come la vecchiaia, le malattie, i lutti e la morte stessa, c'è un modo per "salvarsi" e vivere per sempre?

È curioso che questa domanda venga posta da un esperto della Scrittura, che dovrebbe già conoscere la risposta data da Dio a Mosè, ai patriarchi e ai profeti dell'antico Israele. L'evangelista Luca specifica che il Dottore della Legge si alza per "tentare il Signore". La sua intenzione era quella di mettere alla prova Gesù, forse per coglierlo in fallo, dimostrando così la sua incredulità o per vedere se Gesù fosse davvero un Maestro divino o solo un impostore. 

Nonostante la chiara intenzione inquisitoria del Dottore, Gesù non reagisce con rabbia o durezza. Al contrario, rispetta il suo dubbio e la sua volontà di mettere alla prova la sua autorità. Questa risposta pacata e rispettosa da parte di Gesù dimostra la sua comprensione profonda e la sua pazienza nel guidare gli altri verso la verità, ma dimostra anche che è dovere dei prudenti sondare ogni spirito "per saggiare se provengono da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo" (1 Giovanni 4,1).

"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso." Gesù approva: "Hai risposto correttamente; fa' questo e vivrai." Sembra una risposta semplice, ma è estremamente difficile da vivere. Amare Dio con tutta la mente, anima, cuore e forze significa amarlo con tutto il nostro essere. Chi di noi riesce veramente a farlo?

Amare Dio con la mente implica avere il dono della Fede, che illumina la nostra intelligenza e ci permette di conoscere Dio. Amare Dio con l'anima significa possedere il dono della Speranza, che orienta i nostri desideri verso i beni celesti. Amare Dio con tutto il cuore è avere il dono della Carità, dove il cuore rappresenta la volontà. Amare Dio con tutte le nostre forze significa esercitare tutte le virtù naturali: prudenza, fortezza, giustizia e temperanza.

A questo punto, Gesù introduce la parabola del Buon Samaritano, perché il comandamento continua con "e il prossimo tuo come te stesso." Questo indica che l'amore per il prossimo segue l'esercizio di tutte le altre virtù. Solo chi vive di fede, speranza, carità e virtù naturali può veramente amare il prossimo, evitando un'ipocrita filantropia che, pur apparendo come bontà davanti agli uomini, è spesso mossa dalla vanagloria. La Scrittura specifica: "come te stesso," e non "più di te stesso," sottolineando un equilibrio nell'amore verso gli altri. 

La Chiesa ci insegna anche a vedere nella Parabola del Buon Samaritano un insegnamento più profondo: il primo Buon Samaritano è lo stesso Signore Gesù. L'uomo colpito, derubato e lasciato tramortito dai briganti rappresenta l'intero genere umano, che in Adamo è stato ferito, privato delle virtù naturali e soprannaturali e lasciato semivivo, cioè in stato di peccato mortale, dal brigante spirituale che è Satana. Il sacerdote e il levita, simboli delle religioni umane dei gentili e del sacerdozio dell'Antico Testamento, passano accanto all'uomo ferito, ma non possono né vogliono assisterlo e salvarlo. In queste religioni non c'è la virtù salvifica. Invece, il Buon Samaritano, che rappresenta Gesù, è in grado di salvarlo. I samaritani erano disprezzati dai giudei, e così Gesù è diventato un abominio per Israele. È significativo che l'uomo discendesse da Gerusalemme a Gerico, ovvero dalla Città di Dio alla città dell'uomo, quando è stato attaccato.

Il Buon Samaritano versa sulle ferite dell'uomo semivivo olio e vino, simboli sacramentali che guariscono e rafforzano (si pensi alla Confermazione e all'Unzione degli infermi) e del Sacramento che nutre (l'Eucaristia). Poi, lo conduce in un albergo, che è un'immagine della Chiesa. Egli paga con due denari l'albergatore, promettendo che "il di più" sarà elargito al suo ritorno. Cristo ha dato alla Chiesa tutti i carismi necessari per prendersi cura dell'uomo ferito e risanarlo, con la promessa che al suo ritorno, alla fine dei tempi quando verrà a giudicare i vivi e i morti, ma anche nel momento del giudizio particolare di ciascuno di noi, Egli ci darà "il di più," cioè il premio per i nostri meriti.

Gaetano Masciullo

sabato 3 agosto 2024

Effatà! Ascolta la Parola di Dio!

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum 7, 31-37

In illo témpore: Exiens Iesus de fínibus Tyri, venit per Sidónem ad mare Galilǽæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas eius: et éxspuens, tétigit linguam eius: et suspíciens in cœlum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures eius, et solútum est vínculum linguæ eius, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 7, 31-37

In quel tempo, uscendo dal territorio di Tiro, Gesù venne per Sidone verso il mare di Galilea, attraversando la Decapoli. E gli conducono innanzi un sordo, scongiurandolo affinché gli imponga le mani. Allora, allontanandolo dalla folla, Gesù mise le sue dita nelle orecchie del sordo, con la saliva gli toccò la lingua e, guardando verso il cielo, sospirò dicendo: "Effeta! cioè: apriti". Subito le sue orecchie si aprirono, si sciolse il nodo della lingua e parlò rettamente. E Gesù comandò loro di non parlarne ad alcuno. Ma quanto più egli raccomandava il silenzio, tanto più quelli predicavano e lo esalvatano dicendo: "Ha fatto bene ogni cosa: ha fatto udire i sordi e parlare i muti".

Secondo l'insegnamento dei Padri e dai Dottori della Chiesa, il sordomuto del Vangelo rappresenta simbolicamente la condizione di tutti coloro che sono al di fuori del popolo eletto di Israele. Questo racconto, narrato dall'evangelista Marco, discepolo di san Pietro, è rivolto principalmente ai pagani convertiti alla vera Fede, in particolare ai credenti di Roma.

Il Vangelo menziona un sordo, ma il termine greco utilizzato e il gesto di Gesù che tocca sia le orecchie sia la lingua indicano chiaramente che si trattava di un sordomuto. Questi due difetti - la sordità e il mutismo - ci illustrano spiritualmente la condizione dell'uomo che non conosce il Vangelo. Come un sordo, egli non può ascoltare o riconoscere la voce di Dio. Come un muto, egli non è in grado di lodare o pregare il Signore.

È importante notare che il mutismo e il silenzio sono cose ben distinte e diverse. San Benedetto da Norcia, nella sua Regola, poneva la pratica del silenzio come uno dei gradini della scala che conduce all'umiltà perfetta. L'uomo silenzioso per umiltà sa quando è opportuno parlare e quando evitare parole superflue, mentre l'uomo "spiritualmente muto" utilizza il silenzio in modo disordinato, spesso dettato dalla pigrizia. Quest'ultimo atteggiamento può facilmente diventare un peccato di omissione, poiché molti atti di misericordia spirituale richiedono la parola: istruire gli ignoranti, consolare i dubbiosi, ammonire i peccatori.

La prima azione che Gesù compie in questo miracolo è quella di separare il sordomuto dalla folla. Infatti, per rigenerare l'uomo a vita nuova, è necessario che egli rinunci alle passioni mutevoli e alle idee false del mondo, cause della sua condizione spirituale. Cristo, come Medico divino, rimuove dall'anima dell'uomo le cause della sua malattia. Gesù poi tocca le orecchie e la lingua del sordomuto con la propria saliva, un gesto forte e significativo. La lingua del sordomuto è secca, incapace di articolare parole di sapienza, mentre la lingua di Gesù è sana e dalla bocca del Signore esce sapienza. L'atto di bagnare la lingua del muto con la propria saliva rappresenta la trasmissione della Sapienza divina - che è Cristo stesso - all'uomo di buona volontà. Ecco perché l'evangelista specifica che il sordo iniziò a parlare non solo fluentemente, ma "rettamente", cioè secondo verità.

Gesù alza gli occhi al cielo, sospira e dice: "Effatà", che significa "Apriti!". Questo comando è potente e immediato: le orecchie del sordomuto si aprono, il legame della sua lingua si scioglie e inizia a parlare correttamente. Questo "aprire" è molto più di una semplice guarigione fisica; è un'apertura alla verità divina e alla salvezza. Il comando "Effatà" può essere visto come un invito per tutti i credenti a lasciarsi aprire dalla grazia di Dio, ad essere recettivi alla sua parola e a testimoniare la fede con coraggio.

Alla fine del miracolo, la folla è sbalordita e dice: "Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!". Questa esclamazione ricorda il giudizio divino sulla creazione nel libro della Genesi: "E Dio vide che era cosa buona". Cristo, come nuovo Creatore, ristabilisce l'ordine originario della creazione, curando le ferite del peccato e della caducità.

Gaetano Masciullo

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13. In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce...