sabato 25 maggio 2024

La Trinità, Dio di Amore

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum, 28, 18-20.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quecúmque mandávi vobis. Et ecce ego vobíscum sum ómnibus diébus, usque ad consummatiónem saéculi.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo, 28, 18-20.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Mi è dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli.

San Tommaso d'Aquino insegnava che la Trinità è meglio rappresentata come una concatenazione di tre anelli piuttosto che come un triangolo, come spesso viene fatto. Egli riteneva che questa rappresentazione rispecchiasse più accuratamente il rapporto di generazione tra il Padre e il Figlio e di processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Al contrario, il triangolo non chiarisce adeguatamente la processione dello Spirito Santo: una questione teologica che ha portato gli scismatici orientali, che credono nella processione dello Spirito Santo dal solo Padre, a preferire il triangolo come simbolo trinitario.

Questi temi, pur apparendo come sottili distinzioni teologiche, hanno un'importanza profonda che va oltre la comprensione superficiale del dogma trinitario. Se la Chiesa ha infatti ritenuto fondamentale inserire nel Credo la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, cosa che recitiamo ogni Domenica, ciò sottolinea che tutti i cristiani sono chiamati a credere e comprendere questo dogma di Fede.

Cosa significa tutto questo? Dio è il modello di tutto ciò che esiste. Quando si rivelò a Mosè nel roveto ardente, dichiarò che il suo nome era "Io sono colui che sono", indicando così che tutte le realtà del creato, inclusi gli esseri umani, con le loro differenze e molteplicità, trovano in Dio la propria origine e perfezione. Tutto ciò che esiste è fatto a immagine di Dio, ma solo l'uomo è creato anche a sua somiglianza. Attraverso la libertà e la grazia, l'uomo può diventare simile a Dio, un alter Christus. Tuttavia, tutte le creature sono contingenti, mentre solo Dio è necessario e può affermare veramente "Io sono".

La semplicità di Dio si manifesta nell'assenza di molteplicità, parti o differenze in Lui. Tuttavia, la Chiesa insegna, sulla base della Rivelazione di Cristo, che Dio è unico e, allo stesso tempo, trino. Questa verità pone una sfida alla nostra mente, poiché nel mondo sensibile ciò che è trino non può essere uno. Ad esempio, quando vediamo tre uomini, riconosciamo che sono tre entità distinte, o tre sostanze. Nel contemplare le tre Persone della Trinità, siamo chiamati a credere che esse siano tre persone in una sola sostanza. Come possiamo accettare questo apparente paradosso? Nel cercare di comprendere questo Mistero, dobbiamo evitare di concepire la Trinità in modo eretico e, quindi, errato: non dobbiamo immaginare le Persone trinitarie come tre modalità di essere dello stesso Dio, un errore piuttosto comune. Si potrebbe erroneamente pensare che Dio sia Padre quando crea, Figlio quando salva e Spirito Santo quando santifica, ma questo modo di pensare è errato: sappiamo che Dio crea, redime, santifica e glorifica in perfetta unità. Infatti, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, essendo un unico Dio, operano insieme in ogni azione divina.

Ecco dunque la soluzione: le tre Persone trinitarie sono tre relazioni sussistenti. Quando consideriamo le relazioni umane, siamo di fronte a realtà che qualificano l'individuo non in relazione con se stesso, ma in rapporto con qualcosa di esterno (come fanno le qualità e le quantità: se dico che Marco è grosso, lo descrivo secondo quantità, ma tale quantità riguarda solo lui). Nel mondo sensibile non è possibile trovare relazioni sussistenti, cioè relazioni che non siano "applicate" a qualche individuo.

In Dio, invece, proprio perché Egli è privo di materia e parti, le sue relazioni sono sussistenti, e in tal modo Egli rimane essere semplicissimo. Questo ci aiuta a comprendere che Dio non è solo in se stesso, poiché una relazione presuppone sempre un altro. In Dio, l'Altro è Se stesso, e così possiamo veramente affermare che nulla manca in Dio, nemmeno la relazione con il prossimo. Non c'è forse modo migliore per capire il significato con cui diciamo che Dio è Amore: l'Amore infatti è la più nobile delle relazioni che possiamo intrattenere con chi ci è intorno.

Gaetano Masciullo

sabato 18 maggio 2024

La Pentecoste, festa della Carità


Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 14, 23-31.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus, et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed eius, qui misit me, Patris. Haec locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia, et súggeret vobis ómnia, quaecúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbétur cor vestrum, neque formídet. Audístis quia ego dixi vobis: Vado, et vénio ad vos. Si diligerétis me, gauderétis útique, quia vado ad Patrem, quia Pater maior me est. Et nunc dixi vobis priúsquam fiat: ut cum factum fúerit, credátis. Iam non multa loquar vobíscum. Venit enim prínceps mundi huius, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 14, 23-31.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Chiunque mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che avete udito non è mia, ma del Padre, di colui che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto mentre vivevo con voi. Il Paraclito, poi, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, insegnerà a voi ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace: ve la dò non come la dà il mondo. Non si turbi il vostro cuore, né si impaurisca. Avete udito che vi ho detto: vado e vengo a voi. Se voi mi amaste, vi rallegrereste certamente che io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso, prima che succeda: affinché, quando ciò sia avvenuto, crediate. Non parlerò ancora molto con voi. Viene il principe di questo mondo ed egli non ha alcun potere su di me; ma bisogna che il mondo sappia che amo il Padre e agisco conformemente al comandamento che il Padre mi ha dato.

La celebrazione della Pentecoste segna la conclusione del periodo pasquale. È l'ultimo giorno per adempiere a uno dei cinque principali precetti della Chiesa, che richiede di "confessare e comunicarsi almeno una volta all'anno, pena il peccato grave". Nell'antica Legge, la festa della Pentecoste, conosciuta come Shavuot in ebraico, cioè "festa delle settimane", commemorava la consegna delle tavole dei comandamenti da parte di Dio a Mosè sul Sinai. 

Il nome deriva dal fatto che cade sette settimane dopo l'attraversamento del Mar Rosso da parte degli ebrei, che rappresenta la Pasqua, ovvero il passaggio del Signore. Nella numerologia biblica, il numero sette simboleggia perfezione e completezza, come riscontriamo ad esempio nel racconto della creazione in sette giorni. "Sette volte sette" è la tipica espressione biblica che indica una perfezione rinnovata da Dio stesso, come vediamo ad esempio quando Gesù insegna che si deve perdonare il proprio fratello "non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (Matteo 18, 22; Genesi 4, 24).

Tutto ciò che si narra nell'Antico Testamento è come un riflesso anticipato di ciò che accade nella Nuova e perenne Alleanza di Cristo. L'evento centrale è la Resurrezione di Cristo, che, simile a un vero agnello sacrificale, morì sulla croce; fu poi sepolto, parallelo all'immagine degli ebrei ed egiziani passati attraverso le acque - i primi simboleggiano la vita dei battezzati, i secondi la mentalità mondana che porta alla morte. Infine, risorge per la potenza del Padre, come gli ebrei liberati dall'Egitto, ossia dal peccato. 

Nella Chiesa antica, l'Ascensione e la Pentecoste erano festeggiate in occasione della Pasqua, poi, con il passare dei secoli, la comunità dei credenti ha ritenuto opportuno estendere la festività pasquale in un vero e proprio periodo pasquale. In questo modo, queste tre festività cruciali del calendario romano rappresentano a livello liturgico le tre virtù teologali, l'apice della vita mistica cristiana: alla Pasqua corrisponde la fede, perché la Resurrezione è l'evento fondante del nostro credo; all'Ascensione corrisponde la speranza, perché Cristo ci mostra che i veri beni cui dobbiamo aspirare sono quelli invisibili; infine, la Pentecoste rappresenta la carità, perché Dio viene ad abitare nel nostro cuore con il suo Santo Spirito in quanto membra vive della sua Chiesa.

Esaminiamo ora il parallelismo tra la vecchia e la nuova Pentecoste. Lo Spirito di Dio si manifesta in Esodo come una nube sul Sinai e consegna la Legge agli israeliti. Oggi, si manifesta ancora come fuoco, donando agli apostoli radunati nel cenacolo, alla Santissima Vergine Maria e alle altre donne i suoi santi sette doni soprannaturali, necessari per annunciare la buona notizia di Cristo con forza e persuasione. Non si tratta più solo di un'alleanza stipulata con un popolo eletto confinato alla Giudea, ma riguarda tutta l'umanità. Tutto ciò che è accaduto fino a quel momento, dalla chiamata di Abramo all'avvento di Cristo, è stato una preparazione per ricondurre tutti gli uomini di buona volontà a unirsi misticamente e intensamente con il Dio uno, trino, vivo e vero.

Gaetano Masciullo

sabato 11 maggio 2024

L'Ascensione, festa della Speranza

Sequéntia S. Evangélii secundum Marcum 16, 14-20.

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum, et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, praedicáte Evangélium omni creatúrae. Qui credíderit, et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, haec sequéntur: In nómine meo daemónia eiícient: linguis loquéntur nobis: serpéntes tóllent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super aegros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in coelum, et sedet a déxtris Dei. Illi autem profécti, praedicavérunt ubíque, Dómino cooperánte, et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

Seguito del S. Vangelo secondo Marco 16, 14-20.

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici, radunatisi per mangiare, e rinfacciò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: "Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno serpenti e se avranno bevuto qualcosa di velenoso questo non farà loro male, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". E il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in Cielo e siede alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la parola con i miracoli che la seguivano.

Il periodo pasquale ci invita a riflettere in maniera particolare sulle tre virtù teologali, cioè quegli abiti dell'anima infuse direttamente da Dio nella nostra anima al momento del Battesimo e nutrite con i Sacramenti, irraggiungibili con le sole forze umane. La solennità di Pasqua, memoria della Resurrezione di Cristo dai morti, avrebbe dovuto farci riflettere sulla fede. Ora la solennità di Ascensione ci farà riflettere sulla speranza, così come Pentecoste dovrebbe farci riflettere sulla carità. 

L'Ascensione di Gesù al Cielo non è stata infatti un gesto di esibizionismo divino, ma un evento di grande significato per gli apostoli, che erano ancora smarriti dopo la crocifissione del loro Maestro. Secondo il pensiero di San Tommaso d'Aquino, la vista di Cristo che ascendeva al Cielo con il suo corpo assume diversi scopi educativi per la Chiesa. 

Prima di tutto, quest'immagine - che anche noi possiamo portare alla nostra immaginazione - serve ad aumentare la Fede già fondata sull'evento pasquale, poiché la mancanza della presenza fisica di Cristo ci fa capire che Egli, in quanto Dio, abbraccia tutto ciò che esiste e ciò che facciamo: non è affatto limitato dalla località come noi uomini. Inoltre, l'Ascensione - e questo è il tratto più importante - rappresenta la fonte della Speranza, poiché ci fa comprendere che il Bene cui aspiriamo è in alto, anche se difficile da raggiungere. Infine, serve a preparare l'affetto della Carità, orientando i nostri desideri verso le verità eterne e fornendoci una visione più completa della realtà.

Secondo il Vangelo di Luca, l'Ascensione avvenne nell'Orto degli Ulivi, lo stesso luogo in cui Gesù fu tradito e arrestato prima della crocifissione. Curiosamente, Marco, il cui vangelo è noto per la sua brevità, non menziona questo dettaglio, ma collega l'evento alla missione apostolica di predicare il vangelo, convertire i cuori, battezzare e guarire i peccatori. Nelle Sacre Scritture, si menziona che il Signore Risorto si è assiso alla destra del Padre. Ma cosa vuol dire questa espressione? La destra, nel contesto biblico, è simbolo di giustizia. Quindi, la destra del Padre si riferisce alla massima giustizia, quella divina. Nel vangelo, il Signore afferma: "Sono venuto nel mondo per giudicare" (Giovanni 9, 39), sottolineando che la giustizia divina richiede che il Figlio, che ha redento l'umanità, distribuisca attraverso la Chiesa - che partecipa misticamente al suo corpo ferito - i meriti per la salvezza. Allo stesso tempo, questa giustizia divina richiede che il Figlio punisca i demeriti delle sue creature quando necessario, quelle creature che rifiutano l'amore di Dio per l'amore del mondo.

Il Signore è definito come la "primizia di coloro che risorgono dai morti" (1Corinzi 15, 20). Come Cristo è risorto, così risorgeremo anche noi, quando verrà restaurato il Regno di Israele (Atti 1, 6). Questo regno non è il regno terreno di Davide, ma un regno eterno, del quale il regno dell'Antico Testamento era solo una pallida immagine: il regno del Paradiso, la Gerusalemme celeste, che sorge alla fine dei tempi dopo il Giudizio Universale. È interessante notare che Cristo sia risorto portando ancora i segni della sua Passione: attraverso quella sofferenza, infatti, Cristo ha guadagnato il diritto di essere un giudice misericordioso e un salvatore giusto per l'umanità.

Gaetano Masciullo 

sabato 4 maggio 2024

I sette doni dello Spirito Santo

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem 16, 23-30

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum iam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli eius: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 23-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete, e otterrete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose per mezzo di parabole. Ma viene il tempo in cui non vi parlerò più per mezzo di parabole, ma vi parlerò apertamente del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome, e non vi dico che io pregherò il Padre per voi: poiché lo stesso Padre vi ama perché avete amato me e avete creduto che sono uscito da Dio. Uscii dal Padre e venni nel mondo: ed ora lascio il mondo e torno al Padre". Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco che ora parli chiaramente e senza parabole. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno ti interroghi: per questo crediamo che tu sei venuto da Dio".

Il Maestro Gesù ci invita a rivolgerci a Dio nel Suo nome. Egli chiarisce: "Qualsiasi cosa chiederete al Padre nel Mio nome, ve la concederà". Ma c'è qualcosa di speciale a cui Gesù si riferisce in questo passo del Vangelo? C'è qualcosa di particolare che Gesù desidera che chiediamo al Padre, affinché la nostra gioia sia "completa"?

Effettivamente, nonostante il Signore sia provvido e "ricompensi coloro che Lo cercano" (Ebrei 11, 6), c'è un dono che Egli desidera conferire alla Sua creatura più di ogni altra cosa. Solo questo Dono potrà rendere completa la gioia di coloro che credono nel nome di Gesù. Ora sappiamo che il nome Gesù significa "Dio salva": credere nel nome di Gesù significa quindi riconoscere che Dio ci ha salvati attraverso il sacrificio di Cristo.

Cosa dobbiamo chiedere al Padre per rendere completa questa gioia che la croce di Cristo ha reso possibile? La narrazione evangelica di questo episodio è proclamata dalla Chiesa in un momento cruciale del ciclo liturgico pasquale, che culmina con le solennità dell'Ascensione e, successivamente, di Pentecoste. È qui che sorge il sublime Dono che dobbiamo implorare dal Signore: lo Spirito Santo, il "Signore che dà la vita", lo Spirito del Padre che è anche lo "Spirito del Figlio" (Galati 4, 6), perché da loro procede e con loro unisce i due in una sola e beata Trinità di amore.

Ma lo Spirito, oltre a unire la Trinità, unisce anche tutto il creatore alla sua creatura, redenta dal prezioso sangue, e desidera dimorare in ogni cuore dell'uomo salvato: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1 Corinzi 3, 16). Ogni credente è chiamato a essere un sacro tempio di Dio, seguendo l'esempio di Gesù stesso, che per primo chiamò il Suo puro corpo Tempio del Padre: egli lo fece affinché fosse un esempio per noi.

Chiedere a Dio il dono dello Spirito Santo significa, secondo la tradizione della Chiesa, custodire in noi sette santi doni, sette virtù soprannaturali, che completano e sostengono le virtù teologali e naturali. Ciò implica che i sette doni dello Spirito Santo perfezionano e supportano una condizione che dobbiamo coltivare in noi stessi. Questi sette doni sono tradizionalmente conosciuti come doni di sapienza, di scienza, di intelletto, di fortezza, di timore di Dio, di pietà e di consiglio.

La virtù teologale della Fede trova applicazione nella scienza e nell'intelletto. La scienza è quel dono che ci consente di discernere con chiarezza ciò che deve essere creduto da ciò che non lo deve essere. L'intelletto, invece, è il dono che ci permette di penetrare profondamente nei misteri della Fede, cioè nelle verità rivelate da Dio.

La virtù teologale della Speranza si collega al timore di Dio. Quest'ultimo ci spinge a non volere più offendere Dio, non per paura dell'inferno, ma per amore e per il timore di separarci da Lui (è anche noto come timore filiale).

La virtù cardinale della Prudenza si accompagna al dono del consiglio. Questo dono è una virtù infusa da Dio che ci guida verso le cose che sono bene ordinate per il fine eterno o verso quelle che sono necessarie per vivere bene, sia esse temporali che spirituali.

Alla virtù cardinale della Giustizia corrisponde il dono della pietà, una virtù di venerazione che ci porta a relazionarci con Dio come con un Padre celeste.

La virtù cardinale della Fortezza trova riscontro nel dono che porta lo stesso nome, una virtù soprannaturale che ci spinge a perseverare nella grazia anche a costo della vita.

Infine, la Sapienza, il dono più nobile e sinonimo di santità, si applica alla virtù più elevata, la carità teologale. Quest'ultima rappresenta l'apice della vita mistica e spirituale ed è il dono proprio dei santi. È la vetta del cammino ripido che porta all'unione con il Signore, e a cui tutti noi dobbiamo aspirare. La sapienza indica la perfezione della mente umana che ci spinge a seguire la volontà dello Spirito Santo, quasi come un istinto.

Gaetano Masciullo

La poca fede degli israeliti contro la grande fede dei pagani?

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 8, 1-13. In illo témpore: Cum descendísset Iesus de monte, secútae sunt eum turbae multae: et ecce...