Forma straordinaria del rito romano:
XX Domenica dopo Pentecoste
Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 4, 46-53.
La Chiesa continua nel suo ciclo domenicale ad annunciare i vari brani dei miracoli. San Tommaso d'Aquino commenta questo brano (cfr. Super Ev. Ioannis l. 6) affermando che esso ci dimostra come il Signore converte i cuori secondo due metodi principali. Il primo è quello di predicare la dottrina, metodo che attrae alla verità i cuori più puri, perché più liberi dalle passioni nemiche, e che favoriscono la comprensione dell'intelletto (questo metodo era stato illustrato nell'episodio descritto da Giovanni immediatamente prima, cioé l'episodio della samaritana).
Il secondo è quello di operare miracoli, perché questi rendono tangibile la verità di chi opera (un po' come accaduto nell'episodio del paralitico). Il protagonista di questo miracolo è un regulus, che in latino significa "piccolo re" e indica quindi - potremmo parafrasare - un'autorità politica locale. Possiamo immaginare che si trattasse di colui che era a capo di Cafarnao.
Il regulus anonimo di questo episodio ha un figlio malato e si reca a Cana di Galilea, dove Gesù era giunto e dove l'episodio si svolge. E' questo il secondo miracolo di Cana: san Tommaso ci legge un collegamento simbolico. I due miracoli di Cana rappresentano il duplice effetto della parola di Dio nella mente: essa infatti prima dà gioia (com'era avvenuto per i commensali delle nozze che si videro trasformata l'acqua in vino pregiato), dopodiché sana.
L'episodio del regulus vede tre persone in relazione: l'uomo malato (il figlio del regulus), l'uomo che intercede (il padre), l'uomo che sana (Cristo). Inoltre, la malattia indicata dall'evangelista è la febbre. San Tommaso nota che la parola della città da cui proviene il regulus - Cafarnao - significa "abbondanza" e vede in ciò allegoricamente una denuncia del fatto che l'abbondanza di beni temporali rischia di rendere inferma l'anima, febbricitante.
La risposta di Cristo alla richiesta di guarigione del funzionario regio ci offre qualche perplessità. Egli infatti gli dice: "Se non vedete miracoli e segni non credete". Ma come ha potuto il funzionario compiere un viaggio da Cafarnao a Cana per cercare, incontrare Gesù e richiedergli il miracolo, senza avere fede nella sua persona? In effetti, l'episodio termina con la frase "E credette lui e tutta la sua casa", facendoci intendere quindi che, prima del miracolo, essi non avevano fede.
La fede è l'adesione dell'intelletto alle verità rivelate da Dio, credute certe come se fossero evidenti. Essa è un atto libero da parte dell'uomo (come insegna la Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano Primo), ma certamente coadiuvata dalla grazia, senza la quale non è possibile avere tale virtù teologale. Ma la fede può essere perfetta e imperfetta. Quella del funzionario rientra evidentemente in questo secondo genere di fede. Pur credendo che Dio può guarire e che doveva venire il Messia, il funzionario non era certo che tale Messia fosse davvero quel Gesù da Nazaret e che in lui vi fosse quella forza divina di guarigione. Per questo, a differenza del centurione di Cafarnao che aveva una fede perfetta, questo funzionario gli dice: "Vieni, prima che mio figlio muoia" - quasi a voler verificare con i propri occhi che il miracolo si realizzi.
Ma affinché la fede del funzionario sia perfetta, Cristo pronuncia una semplice frase: "Va', tuo figlio vive". Il funzionario prestò fede a quelle parole, cioé fu obbediente, e difatti il miracolo si manifestò. E tutta la sua famiglia credette.
Gaetano Masciullo
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