Nel brano di vangelo proclamato nella XVIII Domenica dopo Pentecoste, la Chiesa ci presenta un altro episodio di miracolo corporale eseguito da Gesù. L'episodio è celebre: si tratta della guarigione del paralitico, eseguito a dimostrazione del potere soprannaturale di Cristo di perdonare i peccati.
Come è valso per gli altri episodi di miracoli corporali, anche in questo caso dobbiamo seguire la sapiente indicazione dei Padri e Dottori della Chiesa, che consigliano di vedere in questi prodigi non solo fatti storici, ma anche immagini e insegnamenti spirituali. Il paralitico è un uomo che è impossibilitato a muoversi, pur rimanendo perfettamente cosciente di se stesso e di ciò che lo circonda.
In quanto Dio, Cristo conosce i pensieri inespressi degli uomini. La sincera contrizione del paralitico assicura il perdono divino, ma gli scribi - che non compresero la situazione e che ben sapevano che solo Dio ha il potere di perdonare - accusarono l'uomo Gesù di arrogarsi un diritto proprio della divinità. Il miracolo serve dunque a dimostrare agli uomini che ciò che egli dice è vero e che egli non ha solo una natura umana, ma anche una divina. L'essere umano infatti conosce ciò che è metafisico e universale a partire da ciò che è sensibile e particolare. Cristo conosce la natura umana in quanto ne è il creatore e viene incontro ad essa. Egli non pretende che gli uomini comprendano immediatamente ciò che non è facilmente comprensibile a causa dei limiti dell'intelletto umano.
Il miracolo del paralitico è perciò anche una metafora della Rivelazione divina. Egli rende manifesto all'uomo tramite opere sensibili ciò che per se stesso è inaccessibile alla mente umana.
Ma c'è anche un altro modo interessante con cui si può leggere l'episodio. Sembra quasi che Gesù voglia insegnarci con questo miracolo che il peccato rende paralitico il nostro spirito e che solo il suo perdono riesce a donargli di nuovo "agilità", intendendo con questo termine la capacità di fare il bene e di acquistare meriti agli occhi di Dio.
Infatti, il Catechismo insegna che il peccato mortale ci rende indegni della vita eterna (per questo si chiama mortale) e rende le nostre opere buone prive di merito. Non chiunque fa atti di bontà, infatti, fa atti di carità. La carità segue la fede e la speranza, non viene prima, ed è come la perfezione di quelle due virtù.
Gaetano Masciullo
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