sabato 30 novembre 2024

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno

Sequéntia sancti Evangélii secundum Lucam 21, 25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes cœlórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Cœlum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

Seguito del S.Vangelo secondo Luca 21, 25-33.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e nella terra costernazioni di genti sbigottite dal rimbombo delle onde e dall'agitazione del mare, mentre gli uomini tramortiranno dalla paura e dall'attesa di quello che starà per accadere alla terra: perché anche le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora si vedrà il Figlio dell'uomo venire sulle nubi in gran potenza e maestà. Quando ciò incomincerà ad accadere, sorgete ed alzate il capo, perché s'avvicina la vostra redenzione". E disse loro una similitudine: "Osservate il fico e tutti gli alberi: quando germogliano, sapete che l'estate è vicina. Così quando vedrete accadere tali cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico non passerà questa generazione prima che tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

La liturgia della Prima Domenica di Avvento ci propone il brano di Luca 21, 25-33, un testo che ci introduce con immagini apocalittiche alla riflessione sulla venuta del Signore. L’Avvento non è soltanto un tempo di preparazione al Natale, ma anche un’occasione per meditare sul mistero delle venute di Cristo: nella storia, nell’intimità di ogni anima e, infine, nella gloria alla fine dei tempi. Questo triplice Avvento è al cuore del brano evangelico, che ci invita a vigilare e a sperare.

L’Avvento che celebriamo liturgicamente si riferisce anzitutto alla venuta di Cristo nella carne, l’Incarnazione del Figlio di Dio. Con la sua nascita, il Verbo ha preso su di sé la condizione umana per redimerla e restituirle la possibilità di partecipare alla vita divina. L’umanità, ferita dal peccato di Adamo ed Eva, ha trovato in Cristo il nuovo inizio. Questa palingenesi del cosmo è espressa nel linguaggio simbolico del Vangelo di oggi: “Il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo.” Non si tratta di un disastro hollywoodiano, ma del capovolgimento radicale della condizione umana operato da Cristo. Il sole, la luna e le stelle rappresentano le potenze terrene che, senza Cristo, non danno più luce e guida. La croce del Signore ha mutato la sorte di Adamo ed Eva: il peccato è vinto, e la redenzione è il nuovo sole che illumina il cammino dell’uomo.

Il secondo Avvento è quello che riguarda ciascuno di noi personalmente: la venuta di Cristo al momento della nostra morte e del nostro giudizio particolare. San Paolo, nella lettera ai Romani (13, 11-14), ci ricorda che “è ormai tempo di svegliarci dal sonno,” perché “la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti.” Questo è un invito a vivere ogni giorno in attesa del Signore, con una consapevolezza viva della brevità della vita terrena. La vigilanza che Gesù ci chiede è un atteggiamento del cuore, cioè di una volontà ferma e ben formata, un vivere con la mente e l’anima rivolte verso Dio. Non sappiamo il giorno né l’ora del nostro incontro definitivo con Lui, ma siamo chiamati a essere sempre pronti, “rivestendoci del Signore Gesù Cristo” e rinunciando “alle opere delle tenebre.”

Il terzo Avvento è quello che avverrà alla fine dei tempi, quando Cristo tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. Il Vangelo ci parla del Figlio dell’Uomo che verrà “su una nube con potenza e gloria grande.” Questo è il compimento della storia, quando tutto sarà sottomesso al Signore, e il Regno di Dio si manifesterà nella sua pienezza. Le parole di Gesù, “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno,” ci rassicurano che, anche nel mezzo delle tribolazioni e dei mutamenti del mondo, la sua Parola rimane ferma, come guida sicura per coloro che confidano in Lui.

In questo tempo di Avvento, siamo chiamati a vivere con vigilanza e speranza, non con paura. Gesù ci dice: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.” La dimensione apocalittica non deve essere vista come una minaccia, ma come l’annuncio di un mondo nuovo, redento dalla croce di Cristo. L’Avvento è il tempo per preparare il cuore ad accogliere Cristo, sia nel ricordo della sua Incarnazione, sia nel nostro cammino quotidiano, sia nella gloria della sua venuta finale. La nostra risposta deve essere quella di una vita vissuta nella luce della grazia, come ci insegna san Paolo: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno.”

Con il cuore rivolto verso il Signore, affrontiamo il cammino dell’Avvento con fede, certi che le parole di Cristo non passeranno mai e che la sua venuta porta con sé la nostra redenzione e la nostra pace.

Gaetano Masciullo

sabato 23 novembre 2024

L'interpretazione tradizionale dei segni apocalittici

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 24,15-35.

In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur - si fíeri potest - étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 24, 15-35.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando vedrete l’abominio della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posto nel luogo santo - chi legge, comprenda - allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, e chi si trova sulla terrazza non scenda per prendere qualcosa in casa sua, e chi sta al campo non torni a prendere la sua veste. Guai poi alle donne incinte e a quelle che in quei giorni allattano. Pregate che non dobbiate fuggire d’inverno o in giorno di sabato. Infatti allora sarà grande la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo fino ad oggi, né sarà mai. E se quei giorni non fossero accorciati, nessun uomo si salverebbe, ma quei giorni saranno accorciati in grazia degli eletti. Allora, se qualcuno vi dirà: ecco qui il Cristo, o eccolo là, non credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti: e faranno grandi miracoli e prodigi, da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se quindi vi diranno: Ecco, è nel deserto, non uscite; ecco, è nella parte più nascosta, non credete. Infatti, come il lampo parte da Oriente e brilla fino a Occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, lì si raduneranno le aquile. Ma subito dopo quei giorni di tribolazione si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo: piangeranno tutte le tribù della terra e vedranno il Figlio dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà. Egli manderà i suoi angeli con la tromba e a gran voce a radunare i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli. Imparate questa similitudine dall’albero del fico: quando il suo ramo intenerisce e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina: così, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non siano adempiute tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

La liturgia della XXIV Domenica dopo Pentecoste, l’ultima di quest'anno liturgico nella forma straordinaria, ci propone un brano del Vangelo di Matteo che richiama il giudizio di Dio e la storia della salvezza, ma con un linguaggio simbolico e profondo che invita alla riflessione, alla speranza e alla vigilanza.

In questo brano, Gesù parla del giudizio universale, una verità di fede che ogni cattolico professa nel Credo: “E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti.” Questo giudizio sarà il momento in cui Dio manifesterà la giustizia e la misericordia in modo definitivo, separando il bene dal male. La descrizione del sole che si oscura, della luna che perde il suo splendore e delle stelle che cadono dal cielo richiama immagini apocalittiche, simbolo del passaggio dalla storia terrena al compimento eterno del Regno di Dio. Questi segni cosmici ci ricordano che tutto ciò che è materiale è destinato a finire, mentre ciò che è spirituale e radicato in Dio rimane per l’eternità.

Gesù, però, afferma anche che “non passerà questa generazione che non siano adempiute tutte queste cose.” Poiché la generazione dell’epoca di Cristo è tramontata da tempo senza che questi eventi cosmici siano avvenuti letteralmente, dobbiamo leggere le sue parole in un senso più allegorico. La generazione cui Gesù si riferisce rappresenta la condizione spirituale di tutti coloro che rifiutano Dio, una realtà che attraversa ogni epoca. I segni descritti – il sole che si oscura, la luna che perde il suo splendore e le stelle che cadono – sono simboli della perdita della luce della verità, dell’oscuramento della grazia e della caduta delle guide spirituali. Questo è ciò che accade quando l’uomo si allontana da Dio per seguire falsi idoli e dottrine ingannevoli.

L’inciso di Gesù: “Chi legge, comprenda,” sottolinea l’importanza di un discernimento attento. Non possiamo fermarci a un’interpretazione superficiale, ma dobbiamo penetrare nel senso spirituale del testo. L’“abominio della desolazione” descritto dal profeta Daniele (Dn 9, 27) è, infatti, secondo l'insegnamento autorevole di molti Padri, la stessa croce di Gesù Cristo, "scandalo per i giudei", come dice san Paolo, cioé abominevole. Eppure essa rappresenta il Sacrificio supremo e perpetuo, ripresentato ogni giorno nell’Eucaristia. Questo apparente scandalo – la morte del Figlio di Dio – è in realtà il cuore del piano salvifico di Dio.

Le indicazioni di Gesù – “Chi si trova in Giudea fugga sui monti,” “Chi si trova in terrazza non scenda,” e “Chi è nei campi non torni indietro” – sono indicazioni simboliche che meritano di essere approfondite. Esse ci mettono in guardia da tre pericoli spirituali, così come ci insegna san Tommaso d'Aquino nei suoi commenti ai vangeli:  

1. L’attaccamento alle cose materiali: la Giudea rappresenta le preoccupazioni mondane. Fuggire verso i monti significa orientarsi verso Dio, che è l’unica sicurezza.  

2. L’attaccamento ai desideri personali: la terrazza, la parte più alta della casa, simboleggia le aspirazioni elevate. Scendere significa abbandonarsi ai desideri effimeri.  

3. L’attaccamento al necessario: il campo, luogo di lavoro per il Regno, richiama la necessità di essere pronti a rinunciare a tutto, anche al necessario, per seguire Dio.  

Questi ammonimenti invitano alla vigilanza e alla prontezza spirituale. Gli ostacoli inevitabili – come le difficoltà familiari (rappresentate dall'immagine delle donne incinte o che allattano) o le avversità sociali o culturali (rappresentate rispettivamente dall'inverno e dal sabato) – possono essere superati solo con la grazia divina.

La “tribolazione grande” di cui parla Gesù non è solo una persecuzione fisica, ma anche un’epoca di confusione dottrinale, in cui la verità è distorta e l’uomo si crea idoli. Tuttavia, “per amore degli eletti,” Dio ha accorciato i tempi, offrendoci Cristo, la via, la verità e la vita. San Paolo, nella lettera ai Colossesi (1, 9-14), ci ricorda che siamo chiamati a crescere nella conoscenza di Dio, ad avere una fede forte che ci renda capaci di affrontare ogni prova e a vivere come figli del Regno, redenti dal sangue dell’Agnello.  

Questo brano del Vangelo ci invita pertanto a vivere nella vigilanza e nella fiducia. Il giudizio universale e le tribolazioni che precedono il compimento del Regno ci ricordano che solo la grazia di Dio può salvarci.

Gaetano Masciullo

sabato 16 novembre 2024

Il granello di senape e il lievito: immagini della fede e della Chiesa

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 13, 31-35

In illo témpore: Dixit Iesus turbis parábolam hanc: Símile est regnum cœlórum grano sinápis, quod accípiens homo seminávit in agro suo: quod mínimum quidem est ómnibus semínibus: cum autem créverit, maius est ómnibus oléribus, et fit arbor, ita ut vólucres cœli véniant et hábitent in ramis eius. Aliam parábolam locútus est eis: Símile est regnum cœlórum ferménto, quod accéptum múlier abscóndit in farínæ satis tribus, donec fermentátum est totum. Hæc ómnia locútus est Iesus in parábolis ad turbas: et sine parábolis non loquebátur eis: ut implerétur quod dictum erat per Prophétam dicéntem: Apériam in parábolis os meum, eructábo abscóndita a constitutióne mundi.

Sequenza del S. Vangelo secondo Matteo 13, 31-35

In quel tempo, Gesù disse alle folle questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. E questo granello è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande di tutti gli arbusti e diventa un albero, così che gli uccelli dell’aria vengono e abitano tra i suoi rami". Disse loro un’altra parabola: "Il regno dei cieli è simile al fermento, che una donna, dopo averlo preso, nasconde sotto tre staia di farina, finché tutto sia fermentato". Gesù disse tutte queste cose sottoforma di parabola alle folle, e non parlava loro se non con parabole: affinché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del Profeta, che dice: "Aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose nascoste dalla fondazione del mondo".

Gesù ci presenta oggi due parabole ricche di significato: quella del granello di senape e quella del lievito. Queste immagini, semplici e quotidiane, ci parlano del Regno di Dio e della sua forza trasformatrice, proprio come la virtù della fede, quel dono iniziale e piccolo come un seme che tutti noi riceviamo nel Battesimo in germe, ma che, una volta accolto, porta frutto in abbondanza. Nella prima lettera ai Tessalonicesi (1, 2-10), san Paolo loda la fede e la testimonianza della comunità cristiana, riconoscendo che, come un piccolo seme, essa cresce, si diffonde e diventa rifugio per chi cerca riposo e speranza.

Il chicco di senape è l’immagine della fede nel cuore dell’uomo. All’inizio sembra quasi invisibile per la sua piccolezza, ma, piantato nel terreno buono della nostra anima, cresce in un albero robusto, che dona ombra e riparo spirituale, e genera speranza e carità. La senape, con il suo sapore deciso, è anche un simbolo della forza spirituale della fede: come la senape è nota per il suo gusto forte, così la fede cristiana ha un carattere intenso e incisivo, capace di dare senso e orientamento alle nostre vite. Anche la Chiesa è simile all’albero di senape: si sviluppa dal piccolo seme della parola di Dio e si innalza attraverso le generazioni, offrendo riparo e rifugio a tutti i popoli del mondo, come gli uccelli che si posano sui rami dell’albero per trovare stabilità. I popoli in cerca di Dio, anche quando si sentono persi o insicuri, possono e anzi devono trovare nella Chiesa, piantata in Cristo, un luogo sicuro e accogliente.

Nel lievito, troviamo un’ulteriore immagine della fede, che agisce come principio vivificante. Gesù parla del lievito "nascosto" sotto tre misure di farina, un richiamo alla totalità della nostra anima: la razionalità, che ci permette di comprendere e meditare sulla verità di Dio; la nostra capacità di desiderare il bene (facoltà concupiscibile), cioè quella parte di noi che desidera ciò che è buono; e la forza di volontà (facoltà irascibile), che ci permette di perseverare nella vita cristiana anche nelle difficoltà. La fede si mescola con ogni parte del nostro essere, elevando ogni facoltà al servizio di Dio e della sua grazia. Come il lievito scompare all’interno della farina e trasforma l’impasto, così la fede si nasconde nel cuore, agendo in silenzio, ma trasformando profondamente chi la riceve.

Gesù parlava in parabole non per rendere difficile il proprio messaggio, bensì per raggiungere ogni persona in modo accessibile. Le parabole sono facili da ascoltare e ci parlano con immagini concrete, ma il loro vero significato richiede una meditazione più profonda. Esse ci invitano a fare un cammino interiore, a crescere nell’ascolto della Parola e nella vita di grazia. Gesù usa queste immagini semplici per parlare alla mente e al cuore, ma solo chi si immerge nella preghiera e nello studio della Scrittura può cogliere pienamente il mistero del Regno di Dio che esse nascondono.

Gaetano Masciullo

sabato 9 novembre 2024

La Legge suprema è la Salvezza delle anime

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 13, 24-30

In illo témpore: Dixit Iesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus eius, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizánia, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáte in hórreum meum.

Sequenza del S. Vangelo secondo Matteo 13, 24-30

In quel tempo, Gesù disse alle folle questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Mentre però gli uomini dormivano, venne il suo nemico e vi seminò sopra della zizzania in mezzo al grano, e partì. Quando poi vi fu cresciuta l’erba e vi fece frutto, comparve dunque anche la zizzania. Allora, i servi del padre di famiglia, accostatisi, gli dissero: Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove dunque proviene la zizzania? Ed egli a loro: Un nemico ha fatto questo. Allora i servi gli dissero: Vuoi che andiamo e la raccogliamo? Ed egli disse: No, perché, raccogliendo la zizzania, non sradichiate forse con essa anche il grano. Lasciate che entrambi crescano fino alla messe, e al tempo della messe io dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania, legatela in fastelli per bruciarla, mentre il grano raccoglietelo nel mio granaio".

Il Vangelo della V Domenica che segue l’Epifania, secondo il calendario tradizionale cattolico romano, ci presenta la parabola del buon grano e della zizzania, un racconto assai noto che illumina la realtà della Chiesa e della vita cristiana nel mondo. La colletta di oggi ci fa pregare così: "Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione." La parabola e la preghiera liturgica si intrecciano, ricordandoci che la vita cristiana è un cammino tra forze avverse e opposizioni, e che solo sotto la protezione divina la Chiesa, pur mescolata alla zizzania del vizio e del peccato, può perseverare fino alla fine, confidando nell’unica speranza, la grazia di Dio.

Gesù ci racconta che un nemico - cioé il Diavolo - seminò la zizzania nel campo, mentre i servi dormivano, sopra il buon seme seminato dal padrone. Questo padrone del campo, ovviamente, rappresenta Dio Padre, mentre il campo rappresenta il mondo. Il seme, come evidenziato altrove nel vangelo, è la Parola di Dio, la dottrina del Signore, che quando giunge nel cuore dell'uomo dà origine a una vita di santità. Il diavolo semina il cattivo seme del vizio sopra il seme buono del Signore, soffocandolo. Il Signore ha seminato la sua Parola nel nostro cuore, quando abbiamo ricevuto il Sacramento del Battesimo, ma il peccato è sempre in agguato per comprimere e soffocare il potenziale di bene che abbiamo in noi. Dobbiamo prenderci cura, dunque, di questo seme preziosissimo (fede dall'ascolto della Parola), affinché generi un albero maestoso che tenda verso il Cielo (speranza) e generi buoni frutti (carità).

L’immagine del nemico che viene a seminare mentre tutti dormono (e si noti bene che il Signore non ci dice che era notte) è un monito forte per ciascuno di noi: il peccato e il vizio sono seminati nel cuore quando viene a mancare la vigilanza, quella custodia della preghiera continua che tiene viva l’anima nella grazia. Sant’Agostino diceva: “Chi prega non peccherà mai, e chi non prega è già caduto nel peccato.” La zizzania viene seminata quando ci dimentichiamo di vegliare e di pregare, perché è nel torpore spirituale che il nemico trova occasione propizia. San Paolo, nella lettera ai Colossesi (3, 12-17), ci indica i rimedi contro questo seminatore maligno. Ci invita a vestirci “di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di pazienza”, cioè a coltivare nel nostro cuore le virtù, per rimanere vigilanti e difendere il buon seme che Dio ha posto in noi.

La parabola ci insegna anche qualcosa di molto prezioso sul giudizio. I servi, vedendo crescere la zizzania, vorrebbero subito sradicarla, ma il padrone li frena, perché il giudizio definitivo spetta solo a Dio. Questo non significa che la Chiesa debba essere passiva davanti al peccato, si badi bene. Essa ha il dovere di discernere, di giudicare gli errori e i peccati per custodire il bene delle anime, persino di condannarli quando è opportuno; come recita la massima “suprema lex salus animarum,” la legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. Il fine ultimo del giudizio ecclesiale, persino delle condanne della Chiesa, è sempre la salvezza e la conversione, mai la perdizione dell'uomo. I peccati vanno giudicati, affinché il male sia compreso, riconosciuto e respinto; ma nessuno, se non Dio, può giudicare il cuore dell’uomo, perché solo Lui ne conosce pienamente le intenzioni e le debolezze, i limiti e gli sforzi. Dobbiamo perciò stare attenti a distinguere tra il giudizio necessario e legittimo contro il peccato e il giudizio perverso contro la persona, che è sempre nostro fratello, bisognoso della stessa misericordia che ci salva. Tutti noi, come dice il Salmo 43,8-9, siamo peccatori redenti: “Signore, tu ci hai salvati… ci hai liberati dai nostri avversari.”

Alla fine della parabola, Gesù spiega che alla mietitura gli angeli separeranno il buon grano dalla zizzania. Qui la parola “angeli” va compresa con molta attenzione. Gli angeli, infatti, non sono soltanto le creature spirituali, ma anche i pastori della Chiesa, coloro che nella Scrittura sono chiamati angeli, come ci ricorda l’Apocalisse, dove Cristo parla agli “angeli delle sette Chiese”, ovvero ai vescovi. Essi hanno il compito di custodire il buon grano, di guidare i fedeli alla verità e alla giustizia, e di distinguere il grano dalla zizzania, ma sempre con prudenza, affinché la carità prevalga sul rigore. La Chiesa terrena è, come tutto il mondo del resto, un campo misto, e in essa convivono i santi e i peccatori. I vescovi e i sacerdoti, con sapienza, sono chiamati a custodire la fede e guidare i fedeli, senza cedere alla tentazione di fare pulizia affrettata, "preventiva", ma attendendo il giudizio finale del Signore.

In questa parabola troviamo, dunque, una lezione di speranza e di pazienza. Come cristiani, siamo chiamati a vivere nella vigilanza, nella preghiera e nella fiducia, consapevoli che il Signore protegge la sua Chiesa e ci invita a rimanere uniti nel cammino della fede. Lottiamo per custodire il buon seme in noi, e con fiducia attendiamo che il Signore stesso, alla fine dei tempi, faccia giustizia, separando definitivamente il bene dal male.

Gaetano Masciullo

sabato 2 novembre 2024

Gesù dorme, ma è presente

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum 8, 23-27.

In illo témpore: Ascendénte Iesu in navículam, secúti sunt eum discípuli eius: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli eius, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Iesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare obœ́diunt ei?

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 8, 23-27.

In quel tempo, Gesù montò in barca, seguito dai suoi discepoli, ed ecco che una grande tempesta si alzò sul mare, tanto che la barca era quasi sommersa dai flutti. Gesù intanto dormiva. Gli si accostarono i suoi discepoli e lo svegliarono, dicendogli: "Signore, salvaci, siamo perduti". E Gesù rispose: "Perché avete timore, uomini di poca fede?" Allora, alzatosi, comandò ai venti e al mare, e si fece gran bonaccia. Per questo motivo, gli uomini ne furono ammirati e dicevano: "Chi è costui al quale obbediscono i venti e il mare?"

L’episodio della tempesta placata è un’immagine potente che, oggi più che mai, può aiutarci a comprendere la crisi che la Chiesa sta attraversando. In questa scena, i discepoli sono con Gesù in una barca che viene scossa dalle onde e dai venti impetuosi. Anche noi possiamo vedere nella barca la figura della Chiesa, e nella tempesta, le molteplici crisi e le forze avverse che la minacciano.

La tempesta sembra essere improvvisa, sicuramente è violenta, ci appare inarrestabile. Oggi assistiamo a venti che soffiano forti contro la Chiesa: la confusione dottrinale, l’erosione dei valori tradizionali, la diffusione dell’indifferentismo religioso, la perdita della fede in molti luoghi del mondo (soprattutto in Occidente), l'infiltrazione da parte di nemici spietati e antichi. Questi venti e onde sembrano quasi travolgere la barca della Chiesa, mettendo in dubbio la solidità della fede e delle sue promesse. Eppure, come nella barca evangelica, Cristo è presente: Egli è lì, apparentemente addormentato, silenzioso nei tabernacoli di ogni parrocchia e di ogni rettoria. Gesù che, in questa pagina di vangelo, si mostra dormiente ci rivela una condizione dell'Uomo-Dio che bene può simboleggiare il nostro sentirlo “distante” o in silenzio di fronte a questa crisi. Ma la sua presenza è reale, soprattutto nell'Eucarestia, e la sua potenza non è venuta meno.

I discepoli, presi dal terrore, svegliano il Signore gridando: “Signore, salvaci, siamo perduti!” Questa invocazione potrebbe essere la stessa che tanti fedeli oggi elevano a Dio, chiedendo una guida e un intervento che ristabilisca la pace e la stabilità. Ma Gesù risponde loro con una domanda profonda: “Perché avete paura, uomini di poca fede?” Questa domanda è anche per noi: dov’è la nostra fede? In chi confidiamo davvero? Di fronte alla crisi, è facile dimenticare la promessa di Cristo: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). La sua Chiesa non sarà mai abbandonata, ma dobbiamo rafforzare la nostra fiducia e ricordare che, nonostante l’apparente silenzio, Gesù è presente e ha il potere di calmare ogni tempesta. Crediamo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Indefettibile, indistruttibile.

Infine, Gesù si alza e comanda ai venti e al mare, e subito torna la calma. È un segno della sua sovranità e della sua autorità assoluta su tutte le forze, visibili e invisibili. Per quanto la crisi possa apparire insormontabile, non dobbiamo mai dimenticare che Cristo è il capo della Chiesa, e nessun potere terreno o spirituale può prevalere contro di Lui. Anche se interno alla Chiesa stessa! La barca può sembrare sul punto di affondare, ma rimane sempre sotto la sua protezione. Gesù Cristo chiede a noi, oggi, come chiese ai suoi discepoli, di avere fede, di coltivare la speranza contro ogni speranza, e di credere nella sua promessa.

Rimaniamo uniti a Cristo e al suo corpo mistico, cioé alla Chiesa, anche nelle notti più buie e nelle tempeste più violente. Siamo chiamati a pregare, a vigilare e a confidare che, al momento opportuno, egli interverrà per riportare la pace e guidare la sua Chiesa al porto sicuro della salvezza. Come i discepoli, dobbiamo fare nostro il grido: “Signore, salvaci!”, sicuri che la sua mano non verrà mai meno a sostegno di questa nostra fragile, eppure indistruttibile, barca.

Gaetano Masciullo

Quale tipo di terreno sei tu?

Sequéntia S. Evangélii secundum Lucam 8, 4-15. In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Iesum, díxit...